Portiamoci avanti col lavoro, e proviamo a individuare da subito che cosa sfilerà sulle passerelle dell’autunno 2021-inverno 2022, tra gli applausi (potete contarci) di mainstream media che saranno felicissimi da fare da cheerleaders alle nuove tendenze illiberali, o se vogliamo al nuovo travestimento del trend di sempre: su le tasse, su la regolamentazione, colpevolizzazione dell’Occidente e del mercato, più una spruzzatina “etica”.
La tattica ormai la conosciamo bene. Se aggredire il capitalismo liberale, il modello occidentale, i valori atlantici in modo immediato e diretto, prendendo il toro per le corna, è esercizio troppo rischioso per i volponi politicamente corretti, allora – dicono a se stessi – meglio cercare vie laterali, percorsi ammiccanti e suggestivi.
E, dopo un anno e mezzo abbondante di sciagure e apocalittismi, la “ricetta” è già pronta: una bella green wave, un’ondata verde che arriverà dalle elezioni tedesche, e che qualcuno cercherà di importare anche in Italia. Già si è messo in prima fila il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che, nel dormiveglia del centrodestra, rischia di essere confermato: e ha comunicato al mondo che lui è verde, si sente verde, e vuole esprimere e rappresentare quella sensibilità. Vedrete che sarà (purtroppo) una piccola valanga.
Ci si spiegherà, a partire dal voto in Germania, che i Verdi sono una forza in ascesa (vero), che sono un po’ meno ideologici del passato (falso), che vogliono governare (vero), che stanno erodendo consenso a sinistra e anche a destra (vero). Resterà invece sullo sfondo (lo si scoprirà solo a disastro conclamato) l’insieme delle brutte notizie: che buona parte dell’operazione Recovery Fund è concepita per mettere a carico dell’intera Ue la transizione ecologica tedesca; che arriverà una bella scarica di tasse “europee”; che gli oneri fiscali e regolatori a carico delle nostre imprese rischieranno di appesantirsi.
Ma – ecco il giochino emotivo, neanche troppo subliminale – si tenterà di farci sentire tutti più buoni. Lo aveva spiegato, con lungimirante anticipo, Nicola Porro nel suo saggio di un paio d’anni fa Le tasse invisibili, prendendo tra l’altro spunto dall’operazione Greta e dall’appiccicosa narrazione green che ci è stata inflitta da allora.
Parliamoci chiaro: i tassatori sono sempre gli stessi, ma hanno cambiato metodo. Non se la sentono più di dire che le tasse sono “bellissime”, e allora hanno scelto un astuto maquillage, una furbissima operazione cosmetica di make-up tributario. Per un verso mimetizzano le nuove richieste fiscali, e per altro verso le caricano di una valenza morale, di una dimensione etica per renderle “buonissime”, e per additare al pubblico ludibrio chi osi contestarne i fini.
Sei contro le tasse ambientali? Ma allora – è come se ci dicessero – non sei più solo un evasore, ma “un malandrino che vuole la fine del pianeta”. Un essere spregevole, insomma.