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Arriva Letta, ma nel Pd è guerra

C’è il Paese reale e poi c’è il Pd. Un parlamentare di centrodestra a Montecitorio così bofonchia: “Ci rendiamo conto che i nostri alleati di governo si stanno dilaniando per il congresso, l’Assemblea, il futuro segretario e le menate statutarie?”. Succede che il Partito democratico è davvero quell’amalgama mal riuscito di cui parlava Massimo D’Alema: avvitato su se stesso in un dibattito politicista e autoreferenziale.

Oggi, per dire, c’è il gran ritorno sulla scena di Rosaria Bindi detta Rosy. Do you remember? Tutto questo accade nel pieno della terza ondata, di un piano vaccinale che non decolla e soprattutto nei giorni dei primi passi dell’esperienza del governo presieduto di Mario Draghi. Chiusi nelle stanze del Nazareno, i dirigenti democrat litigano sull’ultimo codicillo dello statuto, si mandano pizzini sui giornali, provano già a sabotare l’Opa di Enrico Letta. Correnti contro, padri fondatori contro, ex segretari che sgomitano e cercano di sedersi al tavolo per stabilire chi dovrà essere il numero uno del Nazareno.

Sul Domani, quotidiano fondato da Carlo De Benedetti, riecco dunque Bindi con tanto di annuncio: “L’unica possibilità che il Pd ha di futuro è tornare alle origini. E cioè all’Ulivo, che è precedente e non si può identificare con il Lingotto”. E cosa dire poi di Nicola Zingaretti, il segretario dimissionario che solo un mese fa sbottava contro Renzi: “Non si apre una crisi di governo nel pieno di una pandemia”. E adesso cosa fa il nostro Zinga? Il presidente della Regione Lazio innesca una crisi, a tratti incomprensibili, nel partito dei più sapienti d’Italia. Si dimette dunque sbattendo la porta e accusa a destra e a manca chi ha bombardato la sua segreteria. Parole che al Paese reale non interessano. Semmai forse all’ultimo circolino del Pd rimasto aperto.

Antonio Russo, 12 marzo 2021