Assalto al Campidoglio: colpa di Trump o dell’Fbi?

Contro-inchiesta sugli scontri a Capitol hill dei fan di Trump

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Che cosa è successo davvero il 6 gennaio 2021? Nella giornata ribattezzataInsurrection Day” – e paragonata, per gravità, alle minacce domestiche più terribili mai accadute negli Stati Uniti quali Pearl Harbor e l’11 Settembre – qualcosa non quadra. L’Fbi potrebbe avere avuto un ruolo attivo nel “plot” degli eventi che hanno portato all’assalto di Capitol Hill? Ogni Paese ha gli infiltrati che si merita, verrebbe da ironizzare. Se non fosse che quelli americani ancora non si sono specializzati nel moto ondulatorio” dei veicoli ma sono fermi al semplice “incitamento” delle masse, come dei Castellino qualsiasi. Ma mentre la nostra stampa non pare interessata ad approfondire un eventuale ruolo dell’intelligence durante l’occupazione della Cgil il 9 ottobre scorso, su quanto avvenuto in Campidoglio la stampa americana ha iniziato a porre domande scottanti. Rilanciate da Fox News, la tv del magnate australiano Rupert Murdoch, ma anche dal prestigioso e liberal New York Times, che lo scorso 25 settembre titolava: “Un informatore dell’Fbi tra coloro che hanno marciato in Campidoglio”.

L’indagine della stampa

In un pezzo a firma di Alan Feuer e Adam Goldman si spalanca la porta a quella che potrebbe diventare una contro-inchiesta sugli eventi del 6 gennaio 2021: “Mentre decine di Proud Boys si dirigevano, cantando e urlando, verso il Campidoglio il 6 gennaio, un membro del gruppo di estrema destra era impegnato a mandare messaggi in tempo reale sul resoconto della marcia. Il destinatario era il suo responsabile dell’FBI. Nel bel mezzo di una baraonda selvaggia che ha scosso un pilastro della democrazia americana – il trasferimento pacifico del potere – l’ufficio aveva un informatore tra la folla, che forniva uno sguardo dall’interno dell’azione, secondo i documenti riservati ottenuti dal New York Times”. L’identità dell’informatore non è stata rivelata ma la documentazione in mano al quotidiano solleva “nuove domande sulle prestazioni dell’FBI nel tracciare la minaccia di gruppi di estrema destra” e indica “che i funzionari dell’FBI a Washington sono stati avvisati in anticipo dell’attacco dato che l’informatore si stava recando al Campidoglio con molti altri Proud Boys”. Questo farebbe cadere anche l’accusa, sin qui prevalente, di una predeterminazione dell’assalto violento al Campidoglio da parte dei sostenitori del presidente sconfitto Donald J. Trump.

Ray Epps, l’uomo che suscita dubbi

A questi scoop, oggi si aggiunge un altro tassello. Che tavolta ha un nome e un volto: quello di Ray Epps. Da filmati e frame riportati in homepage da Revolver News, sito internet conservatore, si vede l’uomo intento ad arringare, sin dalla sera precedente il rally, un gruppo di manifestanti: “Tomorrow we need to get into the Capitol!”. Di rimando, alcuni gli urlano: “Fed, Fed!”. Quasi a volerlo esporre come agente provocatore in borghese.

Ma c’è un’altra stranezza su cui indaga la commissione Giustizia del Congresso. La foto di Epps, mai incriminato nonostante fosse attivo nell’incitare all’insurrezione in Campidoglio, il 1° luglio è stata rimossa dall’elenco dei principali ricercati dell’Fbi. Così il deputato repubblicano Thomas Massie, durante l’audizione del procuratore Merrick Garland, ha chiesto conto non solo del ruolo di Ray Epps nei fatti del 6 gennaio. Ma anche se altri agenti dell’Fbi fossero presenti, e in che numero, a incoraggiare i partecipanti alla “Save America March”, culminata nell’occupazione violenta del Congresso, e se agenti federali vi siano entrati mischiati alla folla.

“Una delle norme del mio dicastero mi proibisce di commentare le inchieste in corso, in particolare se riguardano scene o individui specifici” è stata la laconica risposta del procuratore generale degli Stati Uniti nominato da Joe Biden. Al di là dei silenzi, o forse proprio a causa di questi, il direttore di Revolver News, Darren Beattie, ha buon gioco a rilanciare sospetti di infiltrazioni dell’intelligence: “Epps è ripreso ovunque nei video del 6 gennaio, e sin dalla sera prima aizza la folla a invadere il Campidoglio. Davanti a Capitol Hill, viene ripreso mentre sussurra nell’orecchio di un manifestante e 20 secondi dopo avviene la prima breccia. Curiosamente, però, l’Fbi non sembra nutrire alcun interesse verso di lui e anzi lo cancella dal suo database di ricercati il giorno successivo alla nostra prima inchiesta”.

Uno dei sospetti infiltrati cancellato dal database dell’Fbi

Da documenti ufficiali sempre citati da Revolver, oltre 20 personaggi, tutti noti al governo, erano presenti al raduno poi trasformatosi in assedio al Campidoglio. Alcuni parteciparono con ruoli attivi e, talvolta, anche violenti. Nessuno di loro è mai stato incriminato. A differenza di centinaia di attivisti pro-Trump, rintracciati in tutto il Paese grazie anche all’uso di tecnologie di riconoscimento facciale. Tutti i soggetti rintracciati sono stati arrestati applicando il massimo della pena, in quanto giudicati “cospiratori”. Tuttavia, oltre 14mila ore di filmati delle telecamere di sorveglianza non sarebbero stati diffusi pubblicamente dal governo, che pure ha definito quello avvenuto al Campidoglio “un atto di guerra” perpetrato da suprematisti bianchi.

“È difficile immaginare uno scandalo potenzialmente più esplosivo di questo” ha dichiarato su Fox News il giornalista Tucker Carlson. Che già a settembre ha aperto il suo seguitissimo show fornendo ulteriori dettagli sull’Insurrection Day: “Sappiamo che il governo sta tenendo celata l’identità di diversi agenti federali presenti a Capitol Hill, e non solo quella dell’agente che ha sparato a Ashli Babbitt. Questi agenti hanno partecipato alla devastazione del Campidoglio, incitando altri manifestanti alla violenza. Nei documenti ufficiali del governo, vengono definiti “co-cospiratori” ma sono degli agenti operativi”. Uno di loro, indicato come “Person 2”, alloggiava nello stesso hotel di Thomas Caldwell, un 65enne veterano della Viriginia, accusato di appartenere all’organizzazione estremista “Oath Keepers”. A Caldwell fu fatto credere che un agente “di reazione rapida”, definito “Person 3”, si sarebbe unito per aiutare gli insorti. “Il governo conosce l’identità di “person 2” e “person 3” ma non li ha mai incriminati, come mai? – ha rilanciato in tv Carlson – Perché forse si tratta di agenti sotto copertura dell’Fbi che avrebbero non solo monitorato, ma diretto il copione della rivolta? Non sarebbe la prima volta che l’Fbi, anche in casa, oltrepassa la linea”. Ieri sera, Carlson ha invitato Epps a farsi intervistare nel suo programma: “Saremmo felici di poter ascoltare la sua testimonianza”.

Putin e le ombre sul 6 gennaio

Con molta abilità, lo stesso presidente Vladimir Putin ha preso tempo fa la palla al balzo, sfruttando a suo vantaggio l’opacità che ancora avvolge la rivolta trumpiana di Washington. Intervistato durante l’incontro bilaterale a Ginevra da NBC News, il presidente della Federazione russa ha così ribattuto all’accusa di un suo ruolo nell’assassinio dell’oppositore politico Alexei Navalny: “Noi non facciamo queste cose in Russia. Ma a lei voglio chiedere: chi ha ordinato l’uccisione della donna entrata nel Campidoglio e uccisa da un poliziotto? Sa che oltre 450 individui sono stati arrestati solo per essere entrati a Capitol Hill per una protesta? Erano lì dentro per manifestare politicamente il loro dissenso”. A una domanda non si risponde con un’altra domanda, secondo il fairplay giornalistico. Ma il leader russo ha voluto mandare un messaggio. Se lui è stato accusato dagli americani di essere un “killer”, la loro democrazia interna non sta messa tanto meglio. Babbitt, la giovane veterana californiana a cui Putin fa riferimento, era infatti disarmata e sulla sua uccisione da parte di un agente non è mai stata svolta un’indagine per accertarne la responsabilità e la causa.

Non sarà facile, come per la parallela inchiesta sull’origine del Covid-19, arrivare a una verità condivisa. Il pericolo di depistaggi, manipolazione dei fatti e inquinamento delle prove resta incombente. Anche se quella dell’Fbi potrebbe sembare la solita “teoria complottista”, nei media c’è chi ha evocato un inquietante precedente. Dai documenti processuali dell’attentato di matrice islamista avvenuto nel 2015 a Garland, in Texas, si scoprì che nel gruppo dei fondamentalisti islamici figurava un agente sotto copertura dell’Fbi. Un uomo, non identificato, che scambiava messaggi con i terroristi armati nei giorni precedenti l’attentato. Per questo le domande poste da Revolver News e dal NYT meriterebbero, urgentemente, una risposta di alto livello.

Beatrice Nencha, 27 ottobre 2021

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