In un mondo che si occupa in modo ossessivo della sostenibilità ambientale e del rispetto formale del genere, iniziare finalmente a parlare di sostegno alle famiglie e della loro sostenibilità economica, è un gran passo avanti. L’assegno unico, che può arrivare a 175 euro per pargolo al mese, razionalizza il sistema e, a regime, avrà fondi per quasi venti miliardi l’anno. Un Paese come l’Italia, in cui si assiste ad un’infelice decrescita demografica, è morto. E non si tratta di una congettura sulla temperatura del pianeta, si tratta di una realtà che da anni certifica, numeri alla mano, l’Istat: l’anno scorso sono morte trecentomila persone più di quante ne siano nate. Una tendenza che dura da anni.
I soldi non sono tutto. Quando non ne avevamo crescevamo alla grande, ma comunque servono. Eccome.
Fatta questa lunga premessa, ci sono diverse considerazioni da fare su alcune incongruenze dell’assegno unico appena approvato.
1. La prima riguarda il sistema studiato. Comprensibilmente scende all’aumentare del reddito. Ma, come dimostrano le tabelle di Gian Maria De Francesco all’interno del Giornale, il «decalage» penalizza fortemente il ceto medio. Si tratta di una misura assistenziale che non può riguardare i ricchi. Ma che tali si possano considerare coloro che insieme hanno redditi sui trentamila euro annui sembra assurdo. I venti miliardi di costo che ha questa manovra alla fine graveranno, in termini di imposte, proprio su quelle fasce che non avranno il beneficio: e che, dunque, rischiano di essere colpite due volte.
2. Si prevede inoltre un automatismo tra l’ottenimento del reddito di cittadinanza e la corresponsione dell’assegno unico. Un meccanismo, anche in questo caso, che ha una sua logica. Ma solo in un mondo perfetto. Quello del reddito è talmente mal congegnato (si legga il rapporto Caritas su truffe e poveri assoluti che non ne godono o si leggano le critiche di Pietro Ichino che ridicolizzano le migliorie adottate dal governo Draghi) che si somma ingiustizia ad ingiustizia.