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40 anni fa il trionfo di Margaret Thatcher

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Cade in questi giorni il 40esimo anniversario della prima vittoria elettorale di Margaret Thatcher, il momento che diede il via alla sua Rivoluzione Conservatrice. Dopo l’Inverno dello Scontento il popolo britannico si recò alle urne con l’intento di cambiare le cose: la Gran Bretagna era infatti the Sick Man of Europe, il Grande Malato d’Europa, con un’economia stagnante e inefficiente, un’inflazione a due cifre, e un panorama politico bloccato da anni dalla “politica del consenso” sostenuta sia dai laburisti che dalla vecchia guardia del partito Conservatore, rappresentata dall’ex premier Edward Heath. L’ultimo governo Tories, presieduto dallo stesso Heath, era naufragato nel 1974, sconfitto dallo sciopero dei minatori, dalla crisi petrolifera, dalla settimana lavorativa corta (“three days a week”) e dai tumulti in Irlanda del Nord.

Gli inglesi, che avevano tollerato per anni lo stato di disfacimento del paese e delle sue istituzioni, dissero basta, scegliendo Thatcher e licenziando il premier laburista in carica James Callaghan, il quale aveva detto, nel periodo precedente alla sua caduta, che, “se fosse stato un giovane, sarebbe emigrato”.

Il nuovo Primo Ministro non condivideva certo l’atteggiamento disfattista e autocommiserativo di Callaghan. Eppure, gli inizi per “Maggie” non furono di certo facili. La presenza dei Tories fedeli a Heath nel suo governo era ancora molto consistente e ritardava la messa in pratica della sua rivoluzione. Quando il Daily Mirror pubblicò in prima pagina il dato sul numero dei disoccupati, che aveva superato i 3 milioni di inglesi, ci fu chi, all’interno del suo stesso Cabinet, la invitò a cambiare la sua politica economica, basata sulle teorie di Milton Friedman e di Sir Keith Joseph e che prendeva il nome di “monetarismo”. Nessun paese al mondo l’aveva mai testata, tranne il Cile di Augusto Pinochet.

Thatcher andò avanti come se nulla fosse. Al congresso del partito disse di non essere una donna incline alle retromarce, anche se il paese dimostrava di non gradire. In un sondaggio il popolo la votò come “peggior Primo Ministro di sempre”. Tra i Tories, Michael Heseltine era già pronto a farle le scarpe. Un nuovo partito di centro, il Social Democratic Party (SDP), veniva dato per vincente alla prossima tornata elettorale.

Poi, però, arrivò la guerra delle Falklands, con il premier che seppe interpretare il sentimento di una nazione che per troppo tempo era stata realmente incline alle retromarce. Quando il dittatore argentino, Generale Galtieri, invase le isole dell’atlantico territorio dello stato britannico, Maggie decise che la Gran Bretagna avrebbe dovuto mantenere il suo rango di grande potenza mondiale e scatenò una guerra che vide, in breve tempo, la Union Jack sventolare su Port Stanley, la capitale delle Falklands.

Il grande letterato argentino Jorge Luis Borges paragonò la guerra tra Argentina e Inghilterra a quella di “due uomini calvi che combattevano per un pettine”. Non aveva tutti i torti. Ma Thatcher capitalizzò quel successo. Da leader più impopolare divenne leader più popolare di sempre. Alla parata militare nel centro di Londra per celebrare il successo nella guerra omise di invitare la famiglia reale. Quando i soldati tornarono da Port Stanley a Portsmouth pronunciò un celebre discorso in cui disse: “La Gran Bretagna non accetta più di essere messa da parte. Questo è il nostro sentimento prevalente oggi in Gran Bretagna. Abbiamo smesso di essere una nazione in ritirata”. Alle elezioni del 1983 il popolo si schierò nuovamente con lei. L’SDP ottenne solo 6 seggi.

Le grandi battaglie di Thatcher furono contro il sindacato dei minatori di Arthur Scargill che minacciava di sovvertire l’ordine costituzionale britannico, a favore dell’economia di mercato, e contro l’IRA che, nel 1984, attentò alla sua vita con un attentato dinamitardo al Grand Hotel di Brighton. Proprio in quell’occasione, colpita e affranta per il ferimento di alcuni suoi colleghi di governo, Thatcher si presentò davanti al microfono dell’inviato della BBC, John Sargeant, affermando che “la democrazia sarebbe andata avanti come se nulla fosse successo” e confermando il programma della conference, nonostante la tragedia.

Nonostante gli inevitabili errori che hanno contrassegnato il suo mandato (l’eccessivo svilimento della PA britannica e degli alti dirigenti di Whitehall, l’aver considerato fino alla fine Nelson Mandela alla stregua di un terrorista, il rapporto fin troppo amichevole con Pinochet e altro ancora) Thatcher fu una vera leader che seppe connettersi con quella Middle England che i conservatori corteggiavano senza successo da anni.

La sua ultima battaglia fu sull’Europa. Nel celebre discorso al Collège d’Europe di Bruges, il Primo Ministro si scagliò contro la creazione di un super-stato europeo fondato sulla burocrazia di Bruxelles e non sui rapporti di fratellanza tra le Nazioni. Un punto di vista perfettamente in linea con la storia della Gran Bretagna nell’Unione, ma che le valse il defenestramento. Il 23 giugno 2016 Thatcher ebbe la sua rivincita. Ventisei anni dopo essere uscita da Downing Street con le lacrime agli occhi la Middle England era ancora con lei.

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