Ci risiamo. Puntualmente, come in ogni tornata elettorale che si rispetti si torna a parlare della mancanza di “classe dirigente” nei partiti politici italiani. Questa volta è stato il centrodestra a finire nell’occhio del ciclone, complice la batosta alle urne e la scelta poco felice di alcuni candidati, ma lo stesso problema si ripropone per il centrosinistra, e, manco a dirlo, per il Movimento 5 Stelle.
Senza mitizzare i partiti e i personaggi della Prima Repubblica, occorre inquadrare la questione nell’ottica di quanto prodotto dalla Seconda Repubblica in poi, dopo la cessata esistenza dei movimenti che hanno tirato fuori l’Italia dal fascismo eredi del CLN (ci tornerò in seguito) e l’inchiesta di Mani Pulite.
Dal 1993 in poi gli ormai ex partiti e i partiti neonati dal terremoto giudiziario ci hanno provato in tutti i modi: ve lo ricordate il “partito dei sindaci”? E poi ancora imprenditori “prestati alla politica”, magistrati-giustizieri, e, infine, i personaggi della mitica “società civile”, le cui virtù venivano curiosamente e alquanto semplicisticamente opposte a quelle di una società politica atta a ogni nefandezza. Si sono organizzate summer school, istituiti think tanks e corsi di formazione ma il risultato è stato inequivocabile: nulla e nessuno ha potuto sostituirsi ai partiti di massa e alle loro strutture di ricerca e selezione della classe politica.
Nei casi migliori i civici hanno espresso il loro contributo in sede di amministrazione dei territori e nella gestione della cosa pubblica, ma non sono mai stati capaci di lasciare alle loro spalle un percorso che abbia portato alla creazione di qualcosa che andasse oltre la loro esperienza. Certo, i tempi sono cambiati: oggi la parola “partito” è quasi tabuizzata, le sezioni sono moribonde e i percorsi di ingresso – e di uscita – nel mondo della politica sono repentini. Il Novecento ha lasciato sul campo le ideologie, lo si sente dire fin troppo spesso: ma con l’acqua sporca è stato buttato via anche il bambino. Ecco perché serve un’analisi approfondita delle ragioni e delle motivazioni per cui l’Italia, da almeno un ventennio a questa parte, si trova con una delle classi dirigenti politiche meno preparate d’Europa.
L’attuale forma organizzativa dei partiti che concorrono alle elezioni ruota attorno al leaderismo. Nella scheda elettorale tutti i partiti ormai inseriscono il nome del loro segretario o presidente accanto al simbolo che li identifica. È la conseguenza del famoso “voto alla persona e non alle idee”, che tanta strada ha fatto nelle intenzioni di voto degli elettori. Morto, politicamente, un leader – e in Italia ormai il ciclo della loro esistenza è quello di uno yogurt – non se ne fa un altro, ma muore il partito. Di fronte a questa personalizzazione estrema della politica, che interesse può avere un segretario di partito a creare qualcosa che resti anche quando lui non ci sarà più? E che interesse può avere lo stesso segretario a circondarsi di potenziali concorrenti – la famosa “classe dirigente” – quando già sa che il suo ciclo sarà breve e che più i politici sono preparati e più piacciono e più punteranno a scalzarlo?
Naturalmente, sarebbe ingeneroso e sbagliato puntare il dito sugli attuali leader del nostro panorama politico. Sono anch’essi vittime e carnefici di un sistema, che frulla le persone e i partiti come nessun altro in Europa. Peraltro, ci sono anche considerazioni storico-politiche che attenuano le responsabilità di chi, non dimentichiamolo, viene comunque scelto dagli elettori (le cui responsabilità, ovviamente, non sono mai prese in considerazione).
In Italia – ma più in generale si potrebbe dire in tutto il mondo – le classi dirigenti si sono formate grazie a processi storici che hanno rappresentato una profonda cesura nel percorso della nazione: il Risorgimento, la Prima Guerra Mondiale, l’ascesa del fascismo, la Seconda Guerra Mondiale, la lotta al terrorismo e i conflitti sociali degli anni Settanta hanno fornito al Paese – nel bene e nel male, il giudizio non è di merito – gli uomini che hanno guidato l’Italia nei momenti realmente drammatici della sua storia. Non è un caso che la classe dirigente della ricostruzione post 8 settembre 1943 sia stata quasi interamente di derivazione ciellenistica, essendo il CLN il movimento che ha guidato la transizione dal fascismo alla democrazia (con l’appoggio e l’aiuto imprescindibile degli Alleati).
Dal CLN sono nati i partiti che hanno dominato le istituzioni fino a Tangentopoli, producendo in Parlamento, nelle società controllate dallo Stato e in quelle come la Fiat che avevano un rapporto quasi incestuoso con esso, gli uomini che hanno gestito il potere politico, economico, sindacale e culturale nell’Italia repubblicana. Pensiamo ad Alcide de Gasperi, emarginato dal fascismo e protagonista degli anni migliori della nostra storia democratica. A Enrico Mattei e alla sua Eni, destinata ancora oggi a essere il faro della politica estera italiana. A un intellettuale come Franco Antonicelli, presidente del CLN di Torino, precettore di Gianni Agnelli, chiamato dalla stessa famiglia Agnelli a occuparsi di cultura in Fiat nonostante il rapporto teso con un altro uomo “di peso” dell’epoca, Vittorio Valletta.
Questi percorsi nel mondo odierno sono meno difficili e tortuosi ma proprio per questo meno formativi. Spesso nei candidati che vogliono apparire “competenti” in opposizione a un populismo ormai innervato nelle democrazie odierne, vediamo una sfilza di cv con master, lauree, esperienze nello sport e nel volontariato. Tutte qualità e percorsi lodevoli, per carità, ma che non preparano alla politica e ad affondare, come scriveva Jean-Paul Sartre, “le mani nel sangue e nella merda”.
Volendo si potrebbe dire che una pandemia come non ce ne sono state da 100 anni a questa parte avrebbe potuto forgiare una nuova classe dirigente, migliore di quelle che l’hanno preceduta. Non possiamo sapere a breve quale lascito erediteremo dagli attuali uomini che hanno gestito la crisi del Covid-19, ma le esigenze della politica spettacolo, le lotte a colpi di tweet, e le decisioni prese sulla spinta dell’ultimo sondaggio non fanno ben sperare. Insomma, AAA cercasi classe dirigente per paese del G7 di rango medio-alto: chi ha idee si faccia avanti. Anzi, fate presto!