CulturaPoliticaQuotidiano

Al voto l’Italia più “istruita” di sempre: così i progressisti non hanno saputo creare l'”uomo nuovo”

E quindi è successo il patatrac. E così alla fine hanno vinto i “populisti”.
I fatti paiono questi, ma contrariamente ad una lettura comoda e molto snob, i vari Grillo e Salvini non sono stati votati da “rozzi plebei”, non sono stati votati dal “popolo ignorante”. L’Italia che ha plebiscitato il Movimento 5 Stelle e la Lega è l’Italia più istruita che sia esistita nella Storia – è l’Italia della scuola secondaria universale, dell’università ormai di massa e di un accesso alla cultura agevole quanto mai in passato.
Ma non è solo l’Italia più “istruita” di sempre, è anche l’Italia più “educata” di sempre – avendo ben presente la differenza che sussiste tra questi due termini.
Educazione all’antirazzismo, alla diversità culturale, al rispetto della donna, alla lotta al bullismo, al contrasto dell’omofobia, alla tutela degli animali, alla preservazione dell’ambiente, alla tutela del clima, alle buone maniere, al linguaggio “corretto”, alla buona alimentazione, agli stili di vita salutari, al sacrosanto rispetto dei “Buoni” ed all’imperativo rigetto dei “Cattivi”. Nessuna generazione passata è stata mai sottoposta ad un processo così pervasivo di “educazione al Bene” e di “igienizzazione morale”.
Ma com’è possibile, allora, che proprio ora qualcosa vada storto? Com’è possibile che un paese così zelantemente preparato al “brave new world” si rivolti contro i propri “educatori” e voti per politici che si collocano così al di fuori dei canoni etici ed estetici “previsti”?
Eppure, praticamente, tutto quello che in Italia si propone di “allevare le coscienze” – dalla scuola, al mondo della cultura, ai telegiornali che contano, ai “newspapers of record” – è riconducibile ad uno spettro politico che, stringi stringi, va da Liberi e Uguali alla coalizione tra Partito Democratico e +Europa.
Fuori da quest’ambito, secondo i bene informati, non può esistere “cultura”, ma possono esserci solo istinti ed interessi.

La verità, tuttavia, è che il progressismo ha fallito nel suo vero obiettivo di fondo che, prima ancora che quello di implementare una qualche agenda di governo, è quello di creare l'”uomo nuovo”, cioè di cambiare la natura intima dell’uomo, per eliminare qualsiasi “deviazione” possa rallentare o contrastare il percorso unidirezionale che viene attribuito alla Storia.
La verità è che la tenuta tranquilla di un Paese non la si assicura con gli appelli a valori alti e nobili, al “buon senso”, alla “responsabilità”, al “realismo”, al “galateo” della politica ed al doveroso orrore per i “nuovi barbari”.
La tenuta tranquilla di un paese, la si garantisce creando le condizioni per la crescita e la prosperità – cioè perché le persone siano troppo impegnate a costruire con successo la propria vita per avere il tempo di pensare a “fare la rivoluzione”.
Se la Nuova Zelanda, l’Australia, il Canada, l’Irlanda o la Svizzera continuano a vivere una dinamica politica di piena normalità, senza alcun significativo rischio di estremismi, non è perché le classi politiche siano più brave a mettere in guardia contro il pericolo populista, ma perché sono state assicurate nel tempo condizioni compatibili con un continuativo sviluppo economico.

Il problema della sinistra italiana è che da un lato ha promosso una cultura del “diritto a tutto”, crescendo due generazioni di italiani nel sogno di un futuro “petaloso”, fatto di generose opportunità per tutti ed immaginari paradisi scandinavi; dall’altro ha sabotato sistematicamente per molti anni qualsiasi tentativo di avviare nel nostro paese quelle riforme strutturali, che altri paesi hanno intrapreso, e che ci avrebbero mantenuto nel lungo termine un po’ di praticabilità economica.
Era inevitabile che i nodi venissero al pettine e che un numero crescente di persone si trovassero nel tempo di fronte allo shock del divario tra le aspettative maturate e le opportunità sempre più ridotte offerte da un paese in crisi.
Se gli studenti sono ancora schermati dal reale stato del mercato del lavoro e, quindi, ancora disposti, in qualche misura, a dar credito al progressismo tradizionale, la fascia di età tra i 25 ed i 45 anni è oggi composta in prevalenza da persone che si sentono “defraudate” dei diritti sociali che erano stati convinti di avere – in primis il diritto ad un lavoro sicuro e possibilmente in linea con il proprio percorso di studi.
In queste condizioni non stupisce più di tanto che queste persone cerchino un “liberatore” ed un “salvatore” e che votino, banalmente, chi offre di più. Certamente è difficile negare che il programma del Movimento 5 Stelle proponesse a queste elezioni un’offerta di “diritti gratuiti” difficilmente superabile.
E’ chiaro che, di fronte all’ingiustizia percepita, la gente reagisce in modo spiccio, financo scomposto; e così l'”educazione al Bene” e la riconoscenza per gli “educatori al Bene” vanno rapidamente a farsi benedire.

Dov’è che tiene il voto progressista? Certamente ancora regge in vari ambiti della società, ma anche lì ciò non avviene perché si sia meglio riusciti nell’obiettivo di creare questo famoso “uomo nuovo”, bensì per ragioni similmente utilitaristiche di autoprotezione.
Il voto per il centro-sinistra regge laddove la politica riesca ancora a premiare i portatori di consenso con un adeguato ritorno in termini economici e tutele; è il mondo dei pensionati retributivi, dei lavoratori del pubblico e dei dipendenti delle grandi aziende. Ed ancor più il voto per il centro-sinistra regge presso tutte quelle categorie professionali che proprio grazie alle idee progressiste possono costruire la narrazione della propria indispensabilità per la società tutta.

Nell’Italia del declino e degli attuali livelli di debito pubblico e di spesa pensionistica, il centro-sinistra si è trovato nella condizione di non avere più le risorse per mantenere abbastanza elettori dalla parte dei “garantiti”. Sono ormai troppi i “senza rete” a cui la politica tradizionale non è più in grado di assicurare una retribuzione adeguata per il loro voto.
Di fronte a questo prosaico dato di fatto, tutta l’impalcatura culturale creata dal moderno progressismo per plasmare il “cittadino modello” cade rapidamente. La gravità della situazione sociale dell’Italia è ancora in gran parte ammortizzata dalle risorse passate che consentono in molti casi ai genitori di sostenere i figli, ma il problema di importanti settori della popolazione destinati ad arrivare a 40, 50 e poi 60 anni con carriere irregolari, senza risparmi da parte e senza contribuzioni pensionistiche si porrà nei prossimi anni in modo drammatico.
In questo senso, o si riesce a far ripartire il paese o non sarà gridando in modo sempre più scandalizzato al lupo populista che si eviterà che l’Italia si consegni a qualche Chavez o a qualche Hitler.