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Altro che “Campo largo”: all’Italia serve un “Campo Atlantista”, basta Armate Brancaleone

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Campo largo (o allargato), alleanze che durano lo spazio di una tornata elettorale, Armate Brancaleone che si sfaldano nonostante un apparente gradimento dei cittadini, esistente finora più sulla carta che non nelle urne. Tra un anno finirà la legislatura, eppure, nel sistema politico italiano, sono tanti i nodi irrisolti. 

La guerra in Ucraina ha definitivamente scoperchiato il Vaso di Pandora di coalizioni ormai arrivate al capolinea, con visioni contrastanti tra i partiti che le compongono su questioni dirimenti per articolare una qualsiasi concreta azione di governo. La solennità del momento storico impone una riflessione sullo stato del nostro sistema politico. Appare chiaro che l’atteggiamento nei confronti della guerra è diventato il nuovo baricentro del sistema stesso e, cosa ancora più importante specie per una nazione come l’Italia, il prisma attraverso il quale il Paese sarà valutato a livello internazionale da alleati politici e partner economici.

E allora perché non scomporre alleanze già sgangherate e dare atto già nel 2023 che il maggiore cleavage tra i contendenti sarà quello tra pro-atlantisti e anti-atlantisti? Perché non lavorare alla creazione di un Campo Atlantista che sostenga la tradizionale posizione dell’Italia nella Nato e nelle istituzioni europee e marginalizzi politici e movimenti politici che strizzano l’occhio a soluzioni autocratiche che non meritano di ambire alla guida del Paese?

La storia dell’Italia repubblicana si fonda sulla sua alleanza con gli Stati Uniti, sulla sua appartenenza all’Unione europea, sulla sua importanza in alcune aree considerate strategiche per gli interessi nazionali e per l’intero Occidente. Pensiamo al Mediterraneo e ai Balcani. Qualsiasi partito che ambisca ad incarichi di governo dovrebbe aderire a una cornice che ha consentito all’Italia uno sviluppo economico senza precedenti e a una cooperazione in materia di sicurezza e difesa che hanno allontanato guerre e tensioni dal nostro Paese dopo il Ventennio fascista e la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Queste dovrebbero essere le basi per un Campo Atlantista che riconosca il primato di democrazia, libertà individuali e libero mercato e non si faccia sedurre da improbabili e impraticabili sirene cinesi e russe (in alcuni casi persino latino-americane).

Questo nostro posizionamento non è supino agli Stati Uniti, come molti affermano rivelando l’antiamericanismo di fondo che si respira in alcuni consessi, ma è quello che abbiamo confermato dopo la scelta dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale a Yalta di inserirci nella zona di influenza americana nel campo delle democrazie occidentali. Scelta confermata dal voto popolare del 1948. Fanno sorridere – ma sono al contempo anche preoccupanti – le derive orsiniane e kirilliane di ampi settori del centrodestra e dei grillini, convinti di racimolare qualche punticino di percentuale in più nei sondaggi anteponendo l’interesse personale e partitico a quello del futuro del nostro Paese. Derive tanto più fastidiose in quanto ammantate di un pacifismo e un umanitarismo codini e ipocriti finalizzati solamente a risalire nella Hit Parade dei gradimenti. Siamo alla DJ Television della politica internazionale.

Se anche l’operazione dovesse funzionare – ed è legittimo avere dubbi al riguardo – cosa potrebbero mai raccontare ai nostri alleati e alle istituzioni sovranazionali coloro che vogliono smettere di inviare sostegni militari all’Ucraina, mentre continuano a mandare sostegni economici a Putin e al suo regime pagandogli il gas che gli consente di radere al suolo Mariupol, Bucha e Melitopol? Non è difficile ipotizzare che venendo meno ai suoi obblighi ed impegni – presi non meno di due mesi fa – l’Italia andrebbe incontro a pesanti ripercussioni politiche, economiche e commerciali da parte dei suoi stessi alleati. Altro che “tenersi buoni Putin”.

I vertici delle nostre istituzioni stanno fornendo una buona prova in questo drammatico momento storico dopo gli sbandamenti e gli eccessi della pandemia. Ma è il sistema dei partiti e delle alleanze che sembra essere sfibrato da continue zuffe e liti velleitarie. L’incapacità di guardare alla gravità della situazione internazionale in senso più ampio, con la serietà e la responsabilità che questo dovrebbe imporre è ormai cronica nel momento in cui i leader si perdono nel bicchiere d’acqua delle scelte dei candidati per i comuni alle prossime amministrative e non riescono più a nascondere la loro inimicizia tra sgarbi e ripicche infantili.

Forse, mentre si ridiscute di una nuova legge elettorale proporzionale – che segna il definitivo de profundis delle coalizioni che hanno marcato la storia di questa ennesima legislatura sgangherata – è il caso che i partiti discutano in modo approfondito su quello che vogliono fare da grandi. Il tempo della politica acchiappalike deve restringersi al cospetto di quello dedicato a una politica che aspiri a una democrazia governante, competente e fatta di valori e principi non negoziabili. Chissà se gli attuali partiti avranno la forza di riproporsi anche in questa veste.

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