L’Indice della Libertà economica 2020 pubblicato da Heritage Foundation, think tank conservatore attivo negli Stati Uniti, delinea per l’Italia una situazione preoccupante e decisamente sotto gli standard per un Paese che, con la sua storia e la sua cultura, potrebbe e dovrebbe essere un modello occidentale di libertà e democrazia.
L’Indice raccoglie i dati di 186 Paesi e assegna punti in base a 4 macro-aree: l’amministrazione della giustizia, l’entità dell’intervento statale nell’economia, l’efficienza e la trasparenza del quadro legislativo e l’apertura del mercato e degli scambi. Il punto più alto della classifica, cioè quello delle economie più libere, è in colore verde mentre man mano che si scorre verso il fondo, cioè nella zona delle economie più oppresse dallo Stato, si tende verso il rosso.
L’Italia si classifica 74esima con 63,8 punti, tre posizioni sotto la Turchia e ancora più distaccata dalle Filippine, il che dovrebbe preoccuparci, dato che non stiamo parlando di Paesi campioni di libertà o democrazia. Rispetto all’anno scorso l’Italia ha visto un miglioramento di 1,6 punti; una buona notizia, se non ci trovassimo comunque nella “zona arancio” della classifica, quella delle economie “poco libere” o, come potremmo altrimenti definirle, dei “socialismi mascherati”.
Nonostante il miglioramento il rapporto precisa che le politiche governative volte a una maggiore presenza dello Stato nell’economia, con programmi di spesa e politiche assistenzialiste accompagnate da proposte illiberali (come ad esempio una legge sui salari minimi), in futuro non potranno certo migliorare il nostro posizionamento nella classifica. Se andiamo a vedere i dati e le singole tematiche in base alle quali sono stati assegnati i punteggi emergono delle pillole davvero interessanti: nella classifica riguardante la pressione fiscale e in quella della spesa pubblica siamo spesso in “zona rossa”. La pessima performance del nostro Paese in termini di crescita negli ultimi 5 anni non fa che aumentare il peso del “colosso pubblico” rispetto al privato, mentre provvedimenti come il Decreto Dignità hanno portato a un forte irrigidimento nel mercato del lavoro e abbassato la competitività del nostro Paese nella corsa per attrarre investimenti.
Un elemento che stupirà i commentatori mainstream è invece la performance del Regno Unito, che non solo si attesta in settima posizione nella classifica generale della libertà economica, ma addirittura non accenna a flessioni nemmeno per quanto riguarda gli indici di “open market”, nonostante la narrazione nostrana della Brexit avesse raccontato la “fine” di una “ex potenza” che avrebbe scelto di “chiudersi ai mercati e al mondo”. L’uscita dall’Unione europea e la forte maggioranza conquistata da conservatori nelle elezioni del dicembre scorso permetteranno al Regno Unito, secondo il rapporto, di proseguire in una politica economica di stampo liberista sia a livello interno (dal punto di vista fiscale e dei conti pubblici) sia dal punto di vista esterno tramite i numerosi accordi di libero scambio con gli altri Paesi e con lo storico alleato, gli Stati Uniti. Il rapporto ci conferma ancora una volta che “Mercato Unico” non significa “Mercato Libero” e che nel caso dell’Unione europea le eccessive regolamentazioni, i vincoli, gli standard e i dazi imposti verso l’esterno non fanno che accentuare questa differenza di significati.
L’emergenza virus sta naturalmente cambiando, a livello europeo e mondiale, le tradizionali politiche governative. Gli esecutivi dei Paesi più coinvolti si trovano a fronteggiare esigenze di spesa e di intervento che al loro insediamento non avrebbero mai immaginato: la situazione critica ha portato un governo come quello britannico ad abbandonare dopo quasi dieci anni l’austerity (pro-crescita e molto diversa dal corrispettivo montiano sperimentato in Italia) per approvare un budget di 30 miliardi di sterline a sostegno di famiglie, imprese e del National Health Service.
In Italia la risposta è stata diversa e meno incisiva ma, al netto della situazione particolare che ci troviamo davanti, il report di Heritage Foundation ci mostra un Paese comunque arretrato e molto chiuso su aspetti che nel 2020 sono fondamentali. La mancanza di flessibilità nel mercato del lavoro, il perenne “bisogno” di intervento statale nella politica industriale senza un minimo di rispetto per la concorrenza (vedi la questione Alitalia) e, infine, un welfare sbilanciato che grava sulle spalle delle giovani generazioni sono sfide che vanno affrontate al più presto, e la via per la loro soluzione non può che essere quella liberale.
L’Italia di oggi può essere considerata a tutti gli effetti un’economia pianificata e, come Hayek ci insegnava nel 1944 nell’immortale opera “La via della schiavitù”, le economie pianificate sono parte integrante di un processo molto lungo che può davvero portare a una perdita delle libertà civili e politiche qualora non ci siano più le libertà economiche a sostenerle. Se c’è un fattore determinante dell’inefficienza cronica di cui sembra soffrire il nostro Paese è proprio il suo status di economia pianificata: una “via di mezzo” tra libertà e totalitarismo, un compromesso basato su una sorta di socialismo democratico che alla lunga non può reggere.
Le economie totalitarie e completamente socializzate rappresentano un fallimento incredibile a livello umano, sociale e del benessere: domanda, offerta e prezzi sottratti alle logiche di libero mercato impediscono una corretta allocazione delle risorse e col tempo l’accumularsi di errori negli investimenti, insieme a molti altri fattori di ordine più politico che economico, causa una povertà diffusa e distrugge il benessere della popolazione.
L’Italia, naturalmente, non è arrivata a questo punto, ma vedere un Paese che si definisce “occidentale” in un punto così basso della classifica è davvero preoccupante, soprattutto pensando che al governo attualmente non c’è nessuno che abbia davvero a cuore un fattore fondamentale come la libertà economica e che sia disposto a farsi carico di queste istanze di riforma. In una democrazia la risposta può venire solo dalla politica ed oggi è importante più che mai diffondere la sensibilità verso temi come il libero mercato e la libertà economica in generale, perché dei cittadini più informati e consapevoli abbiano l’opportunità un domani di dare la svolta a questo Paese con una delle poche armi loro rimase, il voto.