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Analisi, o meglio autopsia del Decreto Liquidità: tempi lunghi, importi modesti, imprese indebitate

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Pubblichiamo l’intervento del professor Alberto Dell’Acqua, Direttore Master in Corporate Finance, SDA Bocconi

Caro Direttore,
occupandomi di economia e finanza d’impresa, sia a livello universitario che professionale, mi permetta di sentirmi chiamato in causa sul tema degli aiuti finanziari alle imprese nell’emergenza coronavirus. Il riferimento esplicito è al “Decreto Liquidità”, appena emanato dal governo e inserito in Gazzetta Ufficiale. Ora che c’è qualcosa di più ufficiale, è possibile fare analisi e considerazioni più precise sull’efficacia di questi interventi. Mi permetta sin da subito di osservare come all’interno delle business school di tutto il mondo siamo soliti ripetere il seguente monito: “Le idee possono essere anche ottime, ma senza una valida esecuzione non valgono nulla”. Per questo motivo, sarà forse una deformità professionale, tendo ad applicare questo metro di analisi anche alle dichiarazioni, promesse o proclami, di natura governativa. Leggendo i contenuti del decreto sono tre i punti di particolare preoccupazione: le tempistiche, gli importi e le modalità di erogazione dei finanziamenti previsti. Per meglio comprendere ciò che le andrò a dire, partiamo da ciò che realmente servirebbe e andrebbe fatto su questi tre punti.

È palese che trovandoci di fronte ad una crisi repentina ma con durata imprevedibile, sia necessario assicurare liquidità per la sopravvivenza di molte imprese, in particolare quelle medio-piccole, ma anche le micro (pensiamo ai ristoranti, le officine, i centri estetici e i parrucchieri solo a titolo di esempio). Ciò andrebbe fatto con una tempistica veloce, la più veloce possibile, e certa (esempio: a partire da oggi ed entro due settimane avrete i soldi sul conto corrente…), come tra l’altro già fatto nel Regno Unito e in Germania. Inoltre, gli importi dovrebbero essere certamente calibrati in funzione delle singole necessità, ma dovrebbero anche tenere conto che esiste una “soglia minima” di sostegno, quale base anche solo psicologica per ripartire, riprogrammare, pensare a come andare avanti attivando ulteriori soluzioni per finanziare le attività produttive. Difficile stabilire quale possa essere questa “soglia minima”, diciamo pure i 25.000 euro che sembravano inizialmente destinati a tutti, senza condizioni e vincoli. Infine, come modalità di erogazione, essendo una crisi senza precedenti, che ha determinato la serrata forzosa di molte attività produttive, è pacifico riconoscere che una contribuzione a fondo perduto sia quella più idonea.

Cosa emerge invece dal decreto? La tempistica è molto incerta, poiché il decreto dovrà poi passare al vaglio dei relativi decreti attuativi. Successivamente, poiché chiama in causa il ceto bancario per la sua implementazione, dovrà passare da una sequenza articolata e soggettiva di interpretazioni e circolari bancarie. Finito questo tourbillon di interpretazioni, chiarimenti, informative, arriverà sulle scrivanie dei funzionari delle banche che dovranno, dopo aver fatto opportune analisi, decidere sulla delibera. Quindi, nella più fortunata delle ipotesi, con una burocrazia italiana che non depone però certo a favore, è possibile prevedere che le prime (e fortunate) erogazioni alle imprese e ai professionisti arrivino non prima di due o tre mesi. Tempi normali in periodi normali, ma biblici in periodi di coronavirus. È possibile auspicare che i tempi lunghi saranno controbilanciati da importi lauti? Come per dire “tieni duro per un po’, poi arriveranno grandiose truppe di rinforzo”. La lettura del decreto, tra l’altro assai difficoltosa a causa del burocratese stretto in cui è scritta, non fa presagire che gli importi siano così trascendentali, né che esista una cosiddetta “soglia minima”. In particolare, il limite al finanziamento per un importo pari al massimo del 25 per cento del fatturato potrebbe porre seri problemi alle micro-imprese e ai lavoratori autonomi, e creare solo una magra provvista per le imprese medio-piccole. A ciò dobbiamo aggiungere anche le considerazioni sulla modalità di erogazione. Anziché contributi a fondo perduto qui siamo di fronte a finanziamenti a titolo di debito, erogati dalle banche. I tassi saranno pur molto bassi ma le somme andranno comunque restituite. Il debito aggiuntivo potrebbe risolvere soluzioni emergenziali di molte imprese e professionisti nel breve periodo, ma potrebbe poi appesantire di molto i bilanci in fase di ripresa, il classico “zainetto pieno di sassi sulla schiena del centometrista”.

Ebbene Direttore, mettendo insieme le analisi su questi tre punti del decreto, lei può comprendere quanto sia fondata la mia preoccupazione. Per poi non parlare dell’assenza di misure per le imprese innovative, le start up e le società che fanno ricerca e innovazione tecnologica. Questi ambiti, che potrebbero rappresentare le radici del nostro futuro e favorire una nuova rigenerazione economica, sono completamente esclusi dalle misure del Decreto Liquidità. Perdiamo inoltre una occasione per intervenire con strumenti di politica industriale in una fase complessa che però dovrebbe darci la forza per cogliere tutte le opportunità che sono, da sempre, il contraltare di una crisi. Infatti, in questo momento possono essere presi provvedimenti per convogliare le risorse in quei settori che sono stati al centro dell’emergenza coronavirus, come il settore medico-sanitario e della ricerca clinica e sperimentale, il turismo e l’agroalimentare. Tre settori fondamentali per la nostra nazione, soprattutto in prospettiva, poiché potrebbero diventare i perni strategici del nuovo sviluppo. Nessun riferimento a questo però nel decreto. Forse tante buone idee erano alla base del decreto… ma la sua esecuzione, Direttore mi creda, non è per nulla efficace.