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Anche il “liberale” Calenda tra i ministri europei terrorizzati dalla competizione fiscale

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Regno Unito (già con l’ex primo ministro Cameron). Stati Uniti con la riforma fiscale voluta da Trump. Prima di loro l’Irlanda… Insomma, il treno della competizione fiscale è partito ma alcuni governi europei, appesantiti dai loro bagagli, non sono riusciti a prenderlo e ora si sbracciano sulla banchina… Invece di attrezzarsi, prevedendo di abbassare la spesa pubblica e il livello della tassazione e della regolazione anche nei loro paesi, questi governi pretendono di rispondere a suon di carte bollate.

Prima la lettera dei cinque ministri delle finanze europei contro la riforma di Trump, con Francia e Germania a tirare le fila e Italia al seguito. Ora, dello stesso tenore la lettera inviata dal ministro dello sviluppo Carlo Calenda al commissario europeo alla concorrenza Margrethe Vestager sulle vicende Embraco e Honeywell. Le multinazionali delocalizzano perché l’Italia non offre un contesto economico competitivo. Tassazione elevata, burocrazia asfissiante e inefficiente, troppe regole e incerte, rigidità del mercato del lavoro, bassa produttività.

Ma anziché preoccuparsi del nostro “inferno fiscale”, il ministro tuona contro la Slovacchia, e in generale contro tutti i paesi dell’Est Europa, accusandoli di un “inaccettabile” “dumping fiscale e sociale”, e invocando la protezione di Bruxelles. E’ questo il modo migliore di difendere gli interessi italiani? Così facendo, Calenda esprime una cultura politica ed economica non molto diversa da quella di Salvini. Toni più sobri ed eleganti, un linguaggio più appropriato, ma di fatto sempre di una richiesta di protezionismo si tratta. “Abbiamo sbagliato con l’allargamento, ma non vuol dire che dobbiamo subire tutto questo”, aggiunge Calenda (e qui sembra di sentire addirittura Farage…).

Può darsi che ci sia qualche caso, competitor sia interni che esterni all’Unione europea (la Cina, per citarne uno), di concorrenza sleale, di aiuti di stato occulti (e in questo proprio l’Italia è maestra…), ma bisognerebbe innanzitutto guardare a cosa ci rende meno competitivi a casa nostra, e magari anche essere meno ipocriti quando altri parlano di commercio fair oltre che free… Sono tutti bravi a fare i “liberali” con i posti di lavoro e le aziende degli altri (vero Calenda?).

Molti leader europei che pretendono di fare i maestrini su globalizzazione e apertura dei mercati, in realtà denotano un grosso problema con la competizione a tutti i livelli, ma quella fiscale è il tasto più dolente. Quelli che accusano Donald Trump di protezionismo, sono gli stessi che fanno i “trumpiani” dentro la Ue (nei confronti di altri stati membri come i paesi dell’Est, appunto) e al di fuori (nei confronti della Cina).

Se il presidente americano sta facendo ricorso all’arma dei dazi “difensivi” (l’Ue ha introdotto i dazi sui pannelli solari cinesi nel 2013!), è anche vero che per combattere il dumping dei concorrenti e la delocalizzazione, e per rilanciare la manifattura Usa, sta innanzitutto agendo con decisione per rendere più competitivo il contesto fiscale e regolatorio statunitense, con deregulation e tagli di tasse. Certo, è aiutato da maggiori margini di indebitamento, ma qui in Europa continentale nemmeno si discute seriamente di come rivedere in misura consistente i livelli di tassazione. Anzi, si vorrebbe convincere con le buone o con le cattive chi ha scelto la strada di un fisco leggero ad abbandonarla.

Al ministro Calenda e agli altri ministri firmatari di lettere indignate, occorre ricordare che la concorrenza fiscale non è mai “dumping”, è semplice concorrenza. E’ virtuosa competizione, perché spinge i governi (almeno quelli più saggi) ad abbassare le proprie pretese fiscali e a rendere le proprie spese più efficienti.

Per evidenti ragioni storiche e culturali i paesi dell’Est offrono un modello diverso rispetto a quello nordico e centro-europeo. Bisogna però rassegnarsi all’evidenza che purtroppo nell’Unione europea verso cui andiamo è tollerato un unico modello economico e sociale, caratterizzato da elevati livelli di spesa e tassazione. Si procede a tappe forzate verso la cosiddetta “armonizzazione fiscale”, sacrificando la competizione virtuosa tra diversi modelli economici e fiscali. Chi non si adegua, prima o poi viene additato come sleale e sanzionato, e di fatto spinto alla porta. La Germania soprattutto e i paesi nordici vantano livelli di efficienza della pubblica amministrazione e di produttività tali da poterselo – forse – permettere. Ma gli altri, l’Italia in primis?

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