Non poteva certo mancare J.R.R. Tolkien nell’elenco dei dannati compilato dalla pseudocultura woke. Il grande scrittore e filologo britannico, diventato celeberrimo per aver scritto la saga de “Il signore degli anelli”, tuttora popolarissima, rischia pure lui la decapitazione simbolica. Il che equivale, visto che è mancato nel 1973, alla messa al bando delle sue opere. A meno che, come dirò tra poco, esse non vengano adeguatamente “purgate” e rese compatibili con i criteri di base del politically correct.
Il wokismo, o “ideologia woke”, è un fenomeno pseudoculturale che prende il nome dall’aggettivo woke il quale, letteralmente, significa “sveglio”. Al contempo ha preso pure piede il sostantivo wokeness, che viene di solito tradotto in modo libero con l’espressione “non abbassare la guardia”. Ma non abbassare la guardia di fronte a chi, di grazia?
Secondo i promotori e cultori del fenomeno, occorre sempre stare svegli e all’erta di fronte a ingiustizie sociali vere o presunte. Tuttavia il tratto più originale di questa “corrente di pensiero” (vogliamo chiamarla così?) è il fatto di riguardare il passato ancor più del presente. In altri termini si vanno a cercare i personaggi che in tempi più o meno lontani hanno violato le norme del wokismo contemporaneo e si applica ad essi la damnatio memoriae.
Scrittori, filosofi, politici, scienziati e quant’altro, non importa quando siano vissuti, vanno per l’appunto cancellati dalla memoria collettiva per rendere di nuovo pura e civile la società. Alcuni di loro – i casi meno gravi – possono sfuggire alla distruzione se qualche solerte cultore del wokismo si assume generosamente il compito di mondare i loro testi da tutte le imperfezioni che li rendono indegni di essere non solo letti, ma anche conservati nelle biblioteche pubbliche. A quelle private – si spera – i wokisti non avranno accesso, anche se non si può mai dire.
Cos’aveva dunque combinato Tolkien di così grave? Notiamo innanzitutto che era un cattolico conservatore, spesso definito “reazionario” senza mezzi termini. Tutto questo nonostante non nutrisse la benché minima simpatia per le grandi dottrine totalitarie del suo tempo: fascismo, nazismo e stalinismo.
Il mondo narrato dallo scrittore britannico è ovviamente un universo di fantasia. Vi si svolge l’eterna lotta tra il Bene e il Male, ma luoghi e personaggi non appartengono affatto al mondo concreto in cui noi tutti viviamo. Cosa potevano inventarsi, allora, i paladini della pseudocultura woke? Gli orchi, orrende creature al servizio delle forze del Male, anzi vere e proprie truppe d’assalto da esse utilizzate in ogni battaglia, secondo i wokisti sarebbero vittime di una rappresentazione razzista (sic).
In sostanza, pare di capire, pur essendo al servizio dei malvagi avrebbero dovuto essere descritti come belli, buoni e gentili. Inoltre non c’è segno di cultura legata al gender tra orchi e Hobbit e questo, secondo la vulgata woke, è un peccato mortale. Qualcuno ha pure parlato di scarsa presenza femminile nelle pagine della saga. Sorprendente, se appena si pensa invece alle numerose donne presenti. Si rammenti soltanto la principessa elfa (o mezzelfa) Arwen Undomiel.
Tutti pretesti speciosi, come si capisce sin troppo bene. Ai cultori della pseudocultura woke non interessa che quello di Tolkien sia un universo di fantasia. Per loro conta, piuttosto, il fatto che le pagine dello scrittore contengono una rappresentazione del mondo antitetica a quella woke, per nulla politicamente corretta, e quindi da cancellare.
Come dicevo dianzi, si spera che in futuro ci lascino leggere in pace i suoi libri nelle nostre biblioteche private. E che a qualche woke estremista non venga in mente l’idea di bruciare le opere di Tolkien in roghi pubblici, come usavano fare i nazisti quando conquistarono il potere nella Germania hitleriana. Si tenga conto, però, che questo tipo di pseudo-cultura sta diventando dominante in molte università americane e inglesi, il che induce a un certo pessimismo.