Parliamo di auto elettriche. Uno degli aspetti del problema dell’elettrificazione totale, non si sa quanto soltanto preconizzata e quanto impostaci, trae le sue origini dalla diffusa sfiducia dei consumatori verso i fornitori di energia elettrica, che poi, gira gira, è soltanto uno e si chiama Enel.
I costi di ricarica
Supponiamo di avere un’auto full electric, come quelle che, a quanto pare, dovremo usare dal 2035. Orbene, allo stato attuale della conoscenza tecnologica, l’energia elettrica con cui farla muovere (ed è mostruosamente tanta) o la compriamo alla colonnina di ricarica lungo la strada o la preleviamo dal contatore di casa, pagando le ricariche quanto deciderà mamma Enel al momento dell’emissione della bolletta.
Con la conseguenza che quando ricarichiamo “il coso” con la presa in garage (ammesso di disporne d’uno) potremo soltanto stimare quanto ci costerà. Di qui non si scappa e dovranno passare un bel numero di anni prima di poter dotare l’auto di pannelli fotovoltaici, eolici e chi più ne ha più ne metta, in grado di prodursi autonomamente l’energia elettrica per ricaricare le sue batterie. Sulle auto ibride, la faccenda si chiude subito: se non cambierà la norma, anche le ibride saranno tagliate fuori dal 2035.
Le batterie
Consideriamo un aspetto particolare: non v’è dubbio che i mezzi a combustione abbiano un serbatoio nel quale viene immagazzinato il carburante che permette al motore di farli muovere, e ciò avviene in modo concettualmente simile con il comparto batterie che immagazzina l’elettricità, con la stessa funzione per il motore elettrico.
Tuttavia, il serbatoio dell’auto a combustione è niente più e niente meno che un pezzo di lamiera o di plastica modellato a banale contenitore, mentre le batterie per mezzi elettrici sono costosissimi e complicatissimi pezzi di alta tecnologia, la cui produzione richiede la disponibilità e le tecniche di trasformazione dei materiali più rari e difficili da trovare nel sottosuolo di tutto il pianeta Terra.
Le batterie per autotrazione, anche dopo averle comprate dai cinesi, pesano un botto e non si possono piazzare in qualunque parte del mezzo, ma soltanto in quella più delicata, ossia sotto tutta la parte inferiore dell’auto. Già questo dovrebbe bastare a raffreddare tanto entusiasmo europeo per la transizione elettrica, ma non basta ancora: ci sono altre considerazioni da fare.
Perché prima le auto?
Considerando che i più importanti ed insostituibili mezzi di trasporto commerciali nel mondo sono, in stretto ordine di volume di merci scambiate, le navi, gli aerei, i treni, i camion, ci sarebbe già da chiedersi perché, invece di pensare al trasporto merci, che anche in tema di emissione di gas nocivi pare abbia un ruolo preminente, si vogliano prima elettrificare i mezzi privati di tutti noi.
La risposta odora tanto di pasticcio politico e interessi commerciali e strategici delle superpotenze, da giustificare enormi perplessità e non parlo di dubbietti da poco ma di punti interrogativi alti come grattacieli asiatici. Ho detto grattacieli asiatici? E cosa ne pensano i governi delle nazioni con grattacieli alti 350 metri, alcuni dei quali producono miliardi di barili di petrolio che rivendono proprio a quei Paesi europei che vogliono ripudiarlo per sempre?
I grandi produttori se la ridono
In linea di massima, i grandi produttori di idrocarburi dovrebbero reagire con veemenza alla sconsiderata scelta europea di vietare, entro una dozzina d’anni, la produzione di automobili a combustione interna. Perché tacciono?
Probabilmente gli emiri sorridono di noi, di tanta pochezza nel predisporre il programma di una green economy che fa acqua (peraltro non propriamente limpida) da tutte le parti. Sanno che, in un modo o nell’altro, torneremo a Canossa.
In questo campo le previsioni, almeno quelle basate su principi scientifici condivisi, stanno a zero, ossia: vedremo presto coi nostri occhi dove tutto questo amore non ricambiato per l’elettrico ci porterà. Perché parlo di amore non ricambiato?
Il problema dello stoccaggio
Principalmente per un motivo. Gli idrocarburi, fintanto non li si voglia bruciare, se ne stanno buoni buoni dove si sia deciso di stoccarli, con più che accettabili livelli di sicurezza conseguenti alle attuali tecnologie diffuse ormai ovunque.
L’elettricità no, è ben diversa cosa, a partire dalla sua immaterialità, per cui non possiede consistenza volumetrica né la si può vedere ed è assai difficile da stimare in termini di scorte (anche strategiche) nazionali.
Dire di quanta elettricità disponiamo oggi in Italia è un non sense: al massimo possiamo stimare quanta ne possiamo produrre autonomamente e quanta ne possiamo importare (attraverso insostituibili elettrodotti, assai soggetti a interruzioni di fornitura anche gravi e perduranti, come abbiamo sperimentato anche nell’ultimo ventennio).
Senza nemmeno voler considerare come si produce elettricità in Italia, e ben sappiamo che una fetta enorme di questa provenga da centrali termiche. Non sembra che questi solerti elettrificatori europei (che hanno elettricità a iosa e a basso costo dalle loro centrai nucleari) si pongano il problema di come stoccarla per renderla disponibile al motore elettrico, che, lo ripeto, ne richiede flussi tutt’altro che trascurabili, in termini di Ampere, anche per muovere un ridicolo, pericoloso e fastidioso monopattino elettrico.
Incidenti mortali
Parrebbe che l’unico problema tecnico che s’intraveda sia quello dello smaltimento delle batterie per trazione, ma quello è soltanto uno dei problemi e di certo non esaurisce la necessaria valutazione preventiva delle conseguenze negative di troppa elettricità gestita dagli automobilisti in modo del tutto autonomo ed incontrollabile.
Manca la conoscenza diffusa, vecchia di duecent’anni, dei pericoli connessi all’uso dei liquidi e gas infiammabili. Diciamolo chiaramente: a parte il “chi tocca i fili muore” sui pali della catenaria del treno, ne sappiamo pochino e considerare un’auto elettrica alla stregua di un frullatore potrebbe essere assai pericoloso.
Ci stanno raccontando la favoletta del petrolio nemico ed elemento scatenante di tutte le guerre, mentre l’elettricità sarebbe buona, pacifica e sicura per definizione. Una balla colossale. Si dia un’occhiata alle statistiche Inail sugli incidenti mortali derivati da elettrocuzione e ci si renderà conto che l’elettricità (chiamiamola così in generale, ed i tecnici mi perdoneranno per la semplificazione) richiede addirittura più cautele di quelle connesse agli infiammabili.
Né pulita né sicura
Parlare, poi, di elettricità come energia “pulita” è una colossale fesseria. I prodotti finali che generano energia motrice o termica non sono né puliti né sporchi. Ciò dipende da come o da cosa vengono prodotti, come vengano immagazzinati, come vengono utilizzati alla fine del loro percorso funzionale.
Non serve un fisico o un ingegnere, fatevi spiegare da Roberto, il vostro elettricista di famiglia, perché quando vedete qualcosa di elettrico che sia connesso con cavi spessi come un dito, bisogna sempre stare assai accorti ed averne quel minimo di paura che può salvarvi la pelle.
Egli vi dirà anche che non basta fidarsi del basso voltaggio di una apparecchiatura per trattarla con troppa confidenza, ma più che la differenza di potenziale tra voi stessi e l’aggeggio elettrico è l’intensità della corrente elettrica che scorre attraverso il vostro corpo per scaricarsi a terra ad essere pericolosissima.
Quindi, prima di parlare di automobili elettriche come mezzi “puliti” e sicuri per eccellenza, parliamone con chi ne capisce perché con l’elettrico ci lavora ogni giorno.