Federico Bini è collaboratore de Il Giornale e saggista. Con lui abbiamo parlato della sua ultima opera, “All’ombra di Enrico Cuccia” (Giubilei Regnani, 2022), la cui uscita è prevista nelle librerie per la metà del mese di luglio.
TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: In che modo nasce l’idea di scrivere un libro sulla figura di Enrico Cuccia?
FEDERICO BINI: Sono sempre stato appassionato della vita dei grandi italiani, che con i loro pregi e difetti hanno scritto la storia del ‘900 del nostro Paese. In particolare, l’idea del libro nacque molti anni fa, quando passavo frequentemente da Piazzetta Cuccia, e sapevo dell’importanza di Mediobanca.
Così mi sono messo a fare un po’ di ricerche in merito al fondatore, prima parlandone con gli amici Mazzuca e Vitale, poi iniziando a tirare giù una breve scaletta. Una cosa che ci tengo a precisare è che i miei libri non sono mai lunghi perché – nonostante il tema – sono rivolti ai giovani affinché possano conoscere il passato senza acquistare dei veri e propri “malloppi” accademici.
TADF: Quali sono gli aspetti principali trattati nel libro?
FB: Sicuramente due sono i punti centrali: l’ascesa del giovane Cuccia dalla Comit alla fondazione di Mediobanca e quindi l’inizio di quel capitalismo di relazione che lo vede protagonista in molte delle principali operazioni nevralgiche italiane: dalla Fiat al gruppo Ferruzzi.
Sana concorrenza
TADF: Le capacità di Enrico Cuccia sarebbero utili in un momento storico di difficoltà per l’Italia come quello attuale? Se sì, perché?
FB: Io credo, come ebbe giustamente un giorno a dirmi il già direttore de il Giornale Alessandro Sallusti, che “ognuno è figlio della propria epoca”. Dal punto di vista politico oggi siamo rappresentati da una figura di caratura internazionale che anche Cuccia avrebbe apprezzato, nonostante le difficoltà nel tenere unita la maggioranza di unità nazionale.
Non scordiamoci inoltre che Draghi viene dal mondo bancario. Dal punto di vista economico Mediobanca vive una fase nuova, più lanciata sul mercato e meno attenta alle logiche familistiche. Questo è un Paese che ha bisogno di una sana concorrenza e non di un capitalismo di relazione protetto e difeso dall’alto.
Credo che questo fosse lo scopo a cui puntasse anche Leonardo Del Vecchio, scomparso da poco, grande azionista di Mediobanca e Generali (due tesori italiani) e figura di esempio per i tanti giovani che oggi non vedono prospettive in Italia, se non quella di adeguarsi al reddito di cittadinanza.
Capitalismo senza capitali
TADF: Ritiene che in merito al periodo d’oro del capitalismo italiano e alle sue figure di riferimento sia ancora presente oggi una dose di scetticismo da parte dell’opinione pubblica? Se sì, la narrazione mediatica su scandali ed inchieste ha contribuito a crearlo?
FB: In Italia purtroppo non abbiamo mai avuto una vera e propria classe dirigente capitalistica, ad eccezione di qualche celebre figura come Serafino Ferruzzi, Gianni Agnelli, Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli, Achille Boroli.
Ci sono stati molti avventurieri, improvvisi scalatori di banche e giornali, ma alla fine ha sempre prevalso un capitalismo senza capitali, perché gran parte del Pil continua ad essere controllato dallo Stato. Questo è un dato che fa male al sistema produttivo.
Il “quarto capitalismo”
FB: La fortuna è di aver un capitalismo di piccole e medie imprese che però sono vittime di tasse, burocrazia e non ultimo di costi elevati per le materie prime.
Personalmente ritengo che gli scandali non abbiano aiutato a far emergere un buon capitalismo in Italia, privo di corruzione e legami con la politica. L’auspicio per il futuro è che essendo privi ormai di grandi gruppi, si possa sviluppare ulteriormente quello che il prof. Coltorti chiama “quarto capitalismo” e che rappresenta il vero tessuto sociale del nostro Paese.
Dove sono i nuovi Cuccia?
TADF: Le idee di figure del secolo scorso come Cuccia sono ancora attuabili ai giorni nostri? Potremmo attenderci l’ascesa di persone di simile calibro nei prossimi decenni?
FB: Credo che ad oggi il potere che un tempo aveva Cuccia sia molto ridimensionato dalla presenza di fondi d’investimento e dai grandi colossi tecnologici. Secondo Business Insider, nel 2017, Apple, con 205.269 miliardi di dollari, ha superato addirittura il Pil del Portogallo, e Amazon, con 110.873 miliardi, quello del Kuwait. Insomma, anche per Cuccia sarebbe stata dura.
Sull’ascesa di figure di simile calibro, con le dovute differenze, mi viene in mente Carlo Messina, un grande banchiere che ha fatto di Intesa San Paolo un vero e proprio colosso internazionale mantenendo alto il suo prestigio personale e il nome dell’Italia all’estero.
Tuttavia, sono due figure molto diverse, anche se una caratteristica in comune ce l’hanno: entrambi come da prassi parlano poco con i giornali, anche se Cuccia in questo caso faceva un’eccezione perché spesso si fermava a colloquio con Montanelli (riservatamente). L’unico a cui riconoscesse la grandezza e la statura di vero giornalista.