La conclamata crisi che sta sconvolgendo il settore automotive europeo, principalmente a causa dei modesti volumi di vendita delle auto elettriche, non ci coglie impreparati. Anzi, come forse si ricorderà, all’indomani dell’approvazione da parte del Parlamento europeo del c.d. “pacchetto Fit for 55” scrivemmo che era una follia ideologica che avrebbe finito con il favorire Pechino.
Potremmo quindi rallegrarci perché a distanza di appena due anni i fatti stanno dimostrando la bontà dei dubbi espressi allora sia sui tempi serrati previsti dalla normativa europea, col divieto di vendita di motori endotermici nel 2035, sia sugli obiettivi finalistici della stessa transizione ambientale.
Nessun cambiamento
Eppure, prevale in chi scrive lo sconcerto di chi matura la consapevolezza di essere governato da una classe dirigente non all’altezza e lo sconforto di chi non vede comunque nessun cambiamento malgrado il disastro. Infatti, sembra incredibile che l’intera governance europea non vedesse ciò che appariva chiaro anche ad un semplice cittadino.
Sembra ancora più incredibile che dopo un esito elettorale che ha bocciato in modo evidente le forze che più hanno sostenuto (e sostengono) queste misure, nulla sia sostanzialmente cambiato. Ci troviamo addirittura le medesime persone nelle posizioni di vertice delle principali istituzioni europee e la “nuova” presidente della Commissione intende accelerare sulla transizione ambientale, mantenendo fermo e irrevocabile il termine del 2035 per il divieto di vendita di motori endotermici e quello del 2050 per le zero emissioni.
Ciò da un lato non sorprende perché conferma la natura principalmente ideologica che sottende la transizione green, altrimenti con mero senso empirico l’evidenza di risultati negativi dovrebbe condurre ad un ripensamento anche solo della tempistica.
La crisi tedesca
Eppure, le evidenze negative ci sono e sono plurime e gravi. Forse il dato più choccante è quello tedesco. Basti pensare che la Volkswagen sta valutando la chiusura di stabilimenti in Germania per la prima volta nei suoi 87 anni di storia. E anche gli altri due grandi produttori tedeschi, BMW e Mercedes, registrano dati economici negativi.
In altri termini, il cuore della principale manifattura europea è molto malandato e probabilmente sarà necessario più di un semplice check-up e non è detto che l’esito sia fausto alla fine.
Il crollo di Stellantis
Ma anche altrove il cielo dell’automotive non è sereno. È cronaca di questi giorni la grave crisi di Stellantis con i rumors per una futura dipartita dell’amministratore delegato Tavares per i deludenti risultati ottenuti sia in Europa sia negli Stati Uniti, con numerose auto non vendute, tra cui la scommessa persa della 500 E di cui recentemente è stata sospesa la produzione per quattro settimane, appunto per non alimentare le scorte di invenduto.
Per avere una idea di ciò che sta avvenendo, si pensi che dal mese di marzo ad oggi il titolo Stellantis ha perso più di metà del proprio valore, dimezzando la capitalizzazione della società. Non si tratta quindi di fisiologiche fluttuazioni di mercato, ma qualcosa di più profondo.
La concorrenza cinese
Ed è propria notizia di queste ore che la Commissione europea abbia approvato dazi del 45 per cento nei confronti dei produttori di auto cinesi con la speranza di giungere un accordo con il gigante cinese per una concorrenza meno spietata.
Appare dunque sempre più evidente come l’industria dell’auto del Vecchio Continente non stia riuscendo a competere con le società cinesi che hanno ovviamente costi (di manodopera, ma non solo) più bassi, e con la statunitense Tesla nel passaggio alla mobilità elettrica. E la crisi dei principali produttori europei di auto ovviamente determina anche la crisi dell’indotto che, in particolare, per il nostro Paese ha sempre rappresentato l’ossatura della manifattura.
Rinviare non basta
Di fronte a questo disastro annunciato, qualcosa comincia a muoversi. Si vuole chiedere di rivedere il percorso che porterà al 2035 e allo stop alla vendita di nuove auto diesel e benzina “all’inizio” del prossimo anno e non nel 2026, come inizialmente previsto: è questa, come largamente anticipato, la proposta che il governo italiano porterà ufficialmente a Bruxelles.
In buona sostanza, l’Italia vuole proporre alla Commissione di mitigare i vincoli previsti per le automobili a benzina e gasolio, perché “la religione dell’elettrico ha fatto deragliare gli obiettivi dell’Europa sulla decarbonizzazione del settore auto”, dichiara il ministro Adolfo Urso riproponendo la linea del governo.
Per questo, è necessario proseguire “senza una visione ideologica, guardando la realtà per quella che è”. Anche perché l’elettrico “richiede catene di approvvigionamento” e, almeno per il momento, “quello che l’Europa pensa e i tempi che ci mette per realizzarlo sono inadeguati nella competizione globale. Nel settore automotive si avverte la necessità di una revisione per quanto riguarda il percorso del Green Deal“, ha continuato il ministro. “C’è una crisi evidente in atto, con il crollo del mercato elettrico, con le difficoltà che incontrano tutte le multinazionali europee, che ci obbliga a prendere delle decisioni. Possiamo aspettare altri due anni per eventualmente esercitare la clausola di revisione e magari modificare percorso obiettivi e modalità nel settore? Anticipiamo quella clausola di revisione a inizio 2025 e diamo certezze a imprese e consumatori”.
In verità, limitarsi a spostare il termine del divieto di motori endotermici rischia di essere un insufficiente palliativo. Infatti, l’annuncio che una tecnologica sarà bandita nel futuro comporta nell’immediato conseguenze negative, soprattutto nel caso in cui, come quello dell’automotive, i costi da sostenere non sono irrisori. Chi comprerebbe un’auto con il rischio che questa diventi “vietata” dopo pochi anni?
È, infatti, facile immaginare che dopo l’entrata in vigore del divieto, ci troveremo di fronte a molteplici ostacoli all’uso delle auto, vietate in molti comuni. Inoltre, malgrado la notevole spinta propagandistica per la transizione green, ancora oggi l’auto elettrica ha molti limiti di utilizzabilità che la rendono poco attrattiva, nonché costi complessivi, inclusi quelli di assicurazione e manutenzione, decisamente superiori.
Ecco perché, pur condividendo la proposta del governo italiano di anticipare di un anno la revisione dello stop alla vendita nel 2035, si considera questa misura minimale perché l’obiettivo strategico non può essere quello di una scansione temporale più distesa, cosa comunque buona e giusta, ma deve essere invece proprio il divieto stesso.
Forse un giorno il progresso tecnologico renderà i motori endotermici sorpassati e allora come tutte le tecnologie divenute obsolete verrà messa da parte dai consumatori che le preferiranno altre tecnologie: più convenienti, più performanti, più economiche, più sostenibili ambientalmente. È sempre accaduto così. E anche le nostre generazioni hanno conosciuto radicali transizioni tecnologiche (basti pensare al successo dello smartphone), senza che le precedenti tecnologie fossero state messe al bando dalle autorità governative.
Rischio autoritarismi
In definitiva, i nostri governanti, nazionali ed europei, dovrebbero fare ciò che fanno i loro omologhi cinesi e statunitensi: pensare in via prioritaria all’interesse del proprio Paese e al benessere del suo popolo.
Ciò vale soprattutto per ordinamenti democratici dove gli elettori stanno ripetutamente ribadendo che non sono interessati a salvare il pianeta e l’intera umanità se ciò significa il loro impoverimento materiale e sociale.
E speriamo che i decisori pubblici europei facciano tesoro di questa verità, altrimenti, credo, l’Europa potrà conoscere una nuova stagione di autoritarismi perché la storia ci insegna che i popoli disperati seguono più facilmente coloro che promettono percorsi di salvezza che spesso finiscono con il condurre in nuovi inferni.