Nell’articolo pubblicato il 17 maggio 2023 abbiamo iniziato una conversazione con Giovanni Brussato, ingegnere minerario e opinionista per numerose testate, tra cui Panorama, sulle questioni legate al clima e alle materie prime necessarie per la produzione di energia da fonti rinnovabili (audio integrale in fondo).
La crisi del rame
MARCO HUGO BARSOTTI: Le materie prime sono una componente essenziale anche nel campo energetico, ma se ne parla sempre troppo poco. Poco fa lei ci faceva l’esempio del rame, materiale chiave per quasi tutti i settori industriali moderni grazie alla sua versatilità, durabilità e conduttività.
GIOVANNI BRUSSATO: Infatti, il rame è fondamentale per le infrastrutture ed essenziale nelle reti elettriche. In Occidente ne consumiamo mediamente 10 chilogrammi pro capite l’anno, ma un indiano ne usa a stento 1-1,5 kg e un africano ancora meno. Dobbiamo dunque pensare a cosa accadrà se e quando tutti i Paesi raggiungeranno il nostro livello di sviluppo.
È un dato di fatto che esistono risorse limitate e un consumo evidentemente insostenibile, come dimostrano i numeri. Preferiamo non vederlo, ma la crisi del rame ci attende già nella seconda metà di questo decennio.
I rifiuti radioattivi delle terre rare
MB: In Francia il presidente Emmanuel Macron insiste sul fatto che l’energia nucleare debba essere considerata “verde” in quanto non produce Co2. Quando avevo intervistato il professor Umberto Minopoli, scomparso di recente, si era detto d’accordo, in quanto a suo avviso le scorie sono oggi trattate e smaltite in modo sicuro. È d’accordo sul fatto che il nucleare sia green?
GB: Condivido l’opinione di Macron e Minopoli sul nucleare e la gestione sicura delle scorie. Ma farei un ulteriore passo: perché non si parla della gestione dei rifiuti radioattivi delle terre rare? I magneti permanenti permeano ogni dispositivo che ci circonda, comprese auto elettriche e turbine eoliche.
Se non ci fossero, una Tesla non potrebbe far girare le ruote. E ovviamente molte turbine eoliche offshore usano magneti permanenti. Il problema è che provengono principalmente da un minerale, la monazite, che contiene torio e uranio.
Perché non ci si preoccupa, vedendo un’auto elettrica o una turbina eolica, di dove siano finite le scorie radioattive e gli elementi radioattivi estratti?
Vista la preoccupazione per le scorie nucleari italiane, come mai non ci preoccupiamo delle 20.000 tonnellate l’anno di magneti permanenti che l’Europa importa, molti dei quali arrivano in Italia? Preferiamo non capire e spostare costi sociali e ambientali lontano dagli occhi, scelta estremamente conveniente.
Sganciarsi dalla Cina
MB: E poi c’è la questione Cina.
GB: Oggi ci troviamo di fronte a una situazione complessa in cui la sicurezza e il controllo di gran parte delle materie prime – e soprattutto della raffinazione di queste materie prime – sono saldamente nelle mani della Cina.
Due anni fa ho scritto un report di 60 pagine presentato dall’attuale ministro delle imprese del made in Italy Adolfo Urso che spiegava il controllo della Cina su queste materie prime. Dalla crisi del Covid-19 abbiamo finalmente capito che è meglio sganciarsi un po’ dalla Cina.
Macron l’ha capito e sta facendo il possibile. Ma la Francia ha quello che noi abbiamo scelto di non avere trent’anni fa.
L’impatto delle rinnovabili
MB: Nel suo intervento su Radio Radicale, che ho ascoltato l’altro giorno, lei ha spiegato come la produzione di pannelli solari abbia un impatto ambientale di per sé. In particolare, ha parlato del vetro, dicendo che per ogni chilogrammo di vetro prodotto vengono immesse 0,68 kg di Co2 equivalente in atmosfera.
GB: L’esempio del vetro che ho portato deriva da una ricerca che mostra come le stesse pubblicazioni oggi usate per descrivere il ciclo di vita di un prodotto siano palesemente in contraddizione tra loro. La prima ricerca era basata su dati forniti da un istituto cinese e includeva una percentuale di vetro riciclato che in teoria dovrebbe ridurre l’impronta di carbonio. Il risultato era 0,68 kg di Co2 equivalente per kg di vetro.
Nel 2022, altri ricercatori hanno condotto la stessa analisi nell’industria del vetro nel Regno Unito, utilizzando dati di Eurostat e Garden Europe. Hanno calcolato un’impronta di carbonio di 1,12 kg di Co2 equivalente per kg di vetro prodotto, senza vetro riciclato.
Dal momento che il mix energetico cinese si basa per oltre il 75 per cento sul carbone, mentre quello europeo proviene dalla combustione di gas naturale e in parte da energia rinnovabile, è evidente che uno dei due studi deve aver sbagliato qualcosa.
La Co2 nell’auto elettrica
Parliamo di automotive. L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), nel suo rapporto del 2021 “The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions” produceva questo grafico da cui un lettore non esperto poteva ritenere che l’intensità carbonica di un’auto elettrica fosse meno della metà di quella di una dotata di motore endotermico.
Ma il diavolo com’è noto si nasconde nei dettagli ed in questo caso negli intervalli di confidenza, cioè le linee grigie più sottili che fanno intuire che le cose forse non stanno proprio così.
Infatti, in un altro grafico un centinaio di pagine dopo spiega come l’intensità carbonica del nichel, un componente fondamentale delle batterie delle EVs, dipenda da dove viene estratto.
Se il nichel viene estratto da depositi di solfuri, come ad esempio quelli di Norilsk in Russia, la sua impronta carbonica è di circa 10 kgCO2e/kg, ma se viene estratto da lateriti indonesiane la sua impronta carbonica sarà fino a sei volte superiore: 60 kgCO2e/kg.
E questo spiega le linee grigie degli intervalli di confidenza, perché il medesimo ragionamento può essere fatto per buona parte dei metalli che costituiscono la batteria. Aspetto singolare è che il nichel estratto in Indonesia ha l’impronta carbonica più elevata e proprio l’Indonesia è il Paese dove la Cina, produttore di oltre il 70 per cento delle batterie per EVs oggi sul mercato, ha legami di fornitura più stretti…
MB: Difficile davvero orientarsi!
GB: Perché quando si analizza il ciclo di vita di un prodotto, bisognerebbe dire da dove proviene la materia prima e avere una fotografia esatta del momento e delle condizioni in cui viene estratta.
L’estrazione di una materia prima dipende esponenzialmente dalla quantità di minerale contenuta nella roccia. Se c’è il 3 per cento di nichel, serve una certa energia per estrarlo; se c’è lo 0,1, ne serve molta di più, e l’energia tende all’infinito man mano che il minerale si esaurisce.
Oggi dire quale sia l’impronta di carbonio di un metallo in questo modo è impossibile. Bisognerebbe avere i dati forniti dalla compagnia mineraria stessa, che per definizione non li fornisce. I valori che danno sono medi, e si prende ciò che viene fornito. È chiaro? Spero di essere riuscito a spiegarmi.
La Co2 nei pannelli solari
MB: Direi di sì, il concetto è chiarissimo. Si può riassumere così: la realtà è infinitamente più complessa delle semplificazioni che ci vengono date da leggere, perché in questo modo è facile sostenere una tesi. Due ultime domande sui pannelli solari. Dopo aver ascoltato la sua recente intervista su Radio Radicale mi sono chiesto se produrli emetta più Co2 di quanta se ne risparmi durante la vita utile, ipotizzando ad esempio una vita di 25 anni.
GB: Eh! 25 anni. E chi lo dice?
MB: Bard. In ogni caso, su Amazon ho visto un pannello con potenza dichiarata 1800 Wp (picco) che – si afferma – produrrebbe 7200 kWh/anno! Ma dove? A me sembra che senza indicare dove, sia aria fritta. Basandosi su SolarGIS, ad esempio a Milano dovrebbe produrne molto meno della metà, circa 2280 kWh/anno.
GB: Qui dovremmo entrare nel concetto di densità energetica. Purtroppo, le energie rinnovabili hanno una densità molto limitata. Nel caso dell’energia solare, abbiamo l’intermittenza giorno-notte e la dipendenza dalle condizioni atmosferiche, il che rende imprevedibile il loro rendimento. D’altra parte ricadiamo in ciò che ho detto prima: non abbiamo un ciclo di vita certificato che mi dica quanta energia è stata necessaria per produrre quel pannello.
Questo è il grande vulnus dell’intera questione. È il fattore EROEI, ossia l’energia restituita sulla base di quella spesa per costruire quell’elemento. Una questione oggetto di grandi dibattiti e continui scontri, proprio perché non esistono dati certi sull’effettivo consumo, dalla materia prima in avanti. Fare questo tipo di analisi, quindi, è impossibile.
Le promesse green
MB: In sostanza, manchiamo di informazioni essenziali…
GB: È un quadro sfaccettato. Le promesse del “green” necessitano di controllo indipendente e dati certi, oggi assenti. Non so se lei se lo ricorda, ma due anni fa, o anche meno, Polestar rese pubblica una ricerca sul ciclo di vita della loro intera vettura, compresa la batteria, che in effetti era l’unica cosa che pesava nell’intero quadro.
Inserirono un numero, dicendo che quel numero era stato fornito dal produttore della batteria, ma non giustificarono nulla, non fornirono alcun dato, informazione o criterio. Lo scrissi e io sono abbastanza convinto che nemmeno chi ha fatto la batteria aveva una reale consapevolezza di quel valore. E questo è il problema.
MB: Da quanto dice lei, la transizione verde è basata su un’assenza totale dei dati…
GB: Infatti, oggi si cerca di bypassare tutto questo discorso facendo un bel salto e dicendo: “Tu non dici quello che diciamo noi, quindi sei un negazionista. Quindi non ti interessa l’ambiente”.
Si danno per scontati fatti che sono tutti da dimostrare. Queste analisi dovrebbero invece essere affidate ad un’agenzia indipendente o a qualcuno che effettivamente analizzi e certifichi il risultato del ciclo di vita di quello specifico oggetto, di quella specifica batteria.
La rete elettrica
MB: Altro tema. Le nostre infrastrutture sono pronte per un’elettrificazione intensiva?
GB: Guardi, partiamo proprio dal rame, di cui abbiamo già parlato. un’indagine di Bloomberg, che tutti hanno preso con la massima serenità non più tardi di 15 giorni fa, spiega che per adeguare le reti elettriche e utilizzare le energie alternative serviranno 450 milioni di tonnellate di rame entro il 2050. Consideri che di rame ne produciamo, quando va bene, 20 milioni di tonnellate…
MB: Noi chi? Italia o Europa?
GB: Parlo di dati globali. In questo momento: nel mondo si estraggono 20 milioni di tonnellate con un tasso di circolarità che copre altri 4 milioni e mezzo… a proposito di economia circolare. Il rame è un metallo prezioso e costoso, e ne ricicliamo meno del 20 per cento!
Noi e il resto del mondo
E ci raccontiamo che l’economia circolare salverà il mondo… E poi un altro aspetto. La transizione la facciamo noi, ma il resto del pianeta non fa niente.
MB: Quest’ultima frase non l’ho capita completamente. La transizione la facciamo noi, cioè l’Occidente? Intende dire che noi ci riempiremo di pannelli, pale e auto elettriche mentre il resto del pianeta continuerà nel suo incedere normale e dunque la Co2 continuerà a salire tranquillamente?
GB: Lei pensa veramente che ci sia qualcuno, tra 1 miliardo e 400 milioni di indiani, che sente concretamente il problema di riempire il suo Paese di pale, pannelli e tutto il resto? Prima devono campare.
E questo vale per l’Africa, per più della metà del pianeta. Questa è la follia di cui parliamo: cose che non hanno senso. Noi guardiamo il nostro orticello, ma non siamo nessuno. Se chiudiamo i nostri confini, la Co2 non è più nostra? Il mondo in cui viviamo è un condominio!
Rinnovabili marginali
Un’ultima cosa. A me piacciono molto le politiche tedesche, perché mi offrono sempre infiniti spunti di analisi. Ora, la rete elettrica tedesca si sta strutturalmente staccando gli impianti eolici quando producono troppo, perché l’energia viene prodotta al Nord, nel Mare del Nord, e non hanno le linee per trasferirla al Sud.
Il governo dice ai tedeschi: “Guardate che dovete comprarvi le auto elettriche, dovete montare le pompe di calore entro il 2030”, eccetera. Dall’altro dice alle utility: “Io adesso preparo una legge per cui, quando avete bisogno, potete staccare la corrente alle utenze più onerose, che sono per l’appunto quelle delle auto elettriche e delle pompe di calore”.
Le rinnovabili sono una tecnologia marginale da utilizzare dove le condizioni climatiche ne massimizzino la già modesta efficienza. Non servono pannelli o pale ovunque, né un mix predefinito, ma flessibilità e realismo. Oggi tutti sono esperti di energia, ma è una materia complessa, con materie prime essenziali scarse. Servono politiche basate sui dati, non semplici proclami.
P.S. L’intervista è durata quasi un’ora: chi volesse approfondire quanto riportato – necessariamente in sintesi – in questi articoli può ascoltare il podcast.