Con SBF cade la maschera buonista del “capitalismo woke”: un grande imbroglio

FTX era l’antitesi del Bitcoin, eppure ora la truffa di SBF offre il pretesto perfetto per creare consenso attorno all’idea di un controllo statale delle criptovalute

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Conosciamo tutti la battaglia per l’utilizzo del contante, quella che vede opposti i libertari (che ormai si limitano a chiedere di “aumentare il tetto” anziché di eliminarlo) ai progressisti, che vorrebbero tracciare (spiare) tutte le transazioni, anche quelle di pochi euro.

Da anni ne esiste anche una parallela nel mondo online. Si tratta della contrapposizione tra il sistema centralizzato, quello delle commissioni a banche, Visa, MasterCard, Bancomat S.p.A. (che in passato aveva sede in via delle Botteghe Oscure 4) e il mondo delle criptovalute, come originariamente immaginato da Satoshi Nakamoto.

Ebbene, gli eventi di quest’ultima settimana, con il crollo del sistema FTX/Almeda messo in piedi dall’amico dei Democratici, Sam Bankman-Fried (SBF) rischia di far pendere l’ago della bilancia a favore dei centralizzatori, che oltretutto diranno di farlo nel nostro interesse.

L’altruismo efficace

Circa sette mesi fa, un gruppo di celebrità di prim’ordine si era riunito a una conferenza sulle criptovalute alle Bahamas. C’era il quarterback star Tom Brady, la top model Gisele Bundchen, due ex leader mondiali, Bill Clinton e Tony Blair, e anche la cantante pop Katy Perry.

Ma una delle più grandi celebrità alla conferenza non era un nome familiare. Era un ragazzo senza pretese con i capelli crespi che indossava una maglietta spiegazzata e pantaloncini. Era proprio Sam Bankman-Fried, fondatore dell’exchange di criptovalute FTX e della “quantitative cryptocurrency trading firm” Alameda, entrambe con sede alle Bahamas.

Cosa ha reso subito simpatico il giovane imprenditore a leader come Clinton e Blair e successivamente all’insieme di finanza ed editoria “etica”?

La spiegazione viene direttamente da un’intervista dello stesso SBF a Forbes:

Come studente universitario al MIT, ho incontrato un movimento chiamato altruismo efficace. L’idea è: perché fare beneficenza ora, perché lavorare per un’organizzazione no profit oggi che sono giovane? È meglio per l’umanità che (noi giovani imprenditori) guadagniamo un sacco di soldi oggi, in modo da poter regalare in seguito. Il mio obiettivo è fare il meglio che posso per il mondo. Faccio parte di un’efficace co-nicchia di altruismo.

Il green-washing

SBF non dimenticava nessuna parola chiave: ad esempio, l’impegno a rendere FTX “Carbon Neutral” (che per un’impresa che opera nelle criptovalute è quasi come impegnarsi a rendere Dio un ateo).

Tutti messaggi che risuonano nel pensiero e nell’anima di giornalisti, politici e decision-makers progressisti. Che “vogliono” credere a queste panzane. Così come hanno creduto a Elizabeth Holmes di Theranos e perfino a Trevor Milton, che prometteva camion a zero emissioni tramite idrogeno con la sua società Nikola.

Il motivo? Come ha scritto Michael Shellenberger, a tutti piace la ricchezza ma solo ai progressisti (non ebrei) questa fa sentire colpevoli. L’avidità, la voglia di accumulare ricchezza va giustificata, per discolparsi.

E oggi lo si fa con il green-washing, con il coro sul pianeta messo in pericolo dai cattivi occidentali (senza mai mettere in relazione il global warming alla sovrappolazione dello stesso pianeta). E con la promessa di donazioni miliardarie.

In realtà, conclude Shellenberger, lo scandalo Bankman-Fried mostra come il “capitalismo benefico”, “socialmente responsabile”, quello dei criteri ESG (environmental, social, governance), dovrebbe far scattare segnali d’allarme.

Il bilancio

Ma nel caso di SBF c’è un piccolo problema: si trattava di un nuovo Ponzi e la cosa era sotto gli occhi di tutti. O meglio, lo sarebbe stato se le stesse entità che quando chiediamo un mutuo o anche un prestito di 5 mila euro ci fanno la radiografia (“know your customer”) e ci chiedono i collateral (le “garanzie”) avessero fatto il loro lavoro.

Ma Sequoia, SoftBank, Lightspeed Venture, BlackRock e decine di altri investitori non lo hanno fatto. E men che meno i politici e gli opinionisti che hanno eletto SBF a eroe del nuovo mondo delle criptovalute.

Eppure avrebbero potuto, anzi dovuto, chiedere il bilancio e fare il mirabile lavoro di analisi appena pubblicato da Matt Lavine sulla base del file XLS inviato dallo stesso SBF ai possibili salvatori e pubblicato da FT Alphaville:

Per comprendere tutti i dettagli occorre dedicare un’oretta alla lettura dell’articolo sopra indicato.

Come nel Monopoli

In ogni caso, tenendo presente che “liabilities” significa “soldi che gli investitori/clienti ci hanno fornito e che dobbiamo restituire” e che “assets” significa “beni acquistati con i soldi degli investitori”, salta subito agli occhi un vago squilibrio: 16 miliardi di dollari di liabilities e solo 900 milioni di asset rapidamente liquidabili.

Ma non è finita, in quanto gran parte degli asset erano/sono “token” creati dalla stessa FTX, dunque per nulla liquidi. L’analogia più semplice che ci viene in mente è il gioco Monopoli. È (circa) come se con i soldi (veri) degli investitori ci si comprasse una villa miliardaria alle Bahamas e contemporaneamente si stampassero banconote del popolare gioco mettendole a bilancio come garanzia.

L’antitesi del Bitcoin

A seguito dell’incredibile crac delle imprese di SBF, politici e giornalisti hanno deciso che era il momento buono per attivarsi, creando consenso sull’idea che è arrivato il tempo di regolamentare le criptovalute.

Una cosa che senz’altro desideravano da tempo, considerato che queste per definizione sono soggette solo alle leggi del mercato e non sono né emesse né controllabili da banche centrali e poteri politici. Senza contare che risulta spesso difficile tracciarne i movimenti, motivo per cui è stata messa fin da subito in giro la solita accusa, che Bitcoin e similari “sono utilizzate da trafficanti di stupefacenti e pedofili”.

Ed ecco il punto. SBF è stato elevato a volto delle criptovalute da parte di politici come Clinton e Blair e da gran parte della stampa: ma egli non ne rappresenta affatto lo spirito né l’essenza, come ben spiegato da Adam Curry durante l’ultima edizione di Podcasting 2.0:

Ogni criptovaluta che ha un ceo è per definizione non decentralizzata. Nel caso di FTX la struttura è l’antitesi di quella di Bitcoin: SBF era l’autorità centrale dell’exchange e anche l’entità che emetteva i coins. Ma purtroppo l’idea delle criptovalute è talmente mal compresa da giornalisti e politici che questi pensano che, fintanto che esiste un sito su cui aprire un conto ed effettuare transazioni, un sito che dichiara di essere nel business delle criptovalute – allora ci si può fidare. Ma FTX funzionava come una banca: enti il cui modello è – dateci i vostri soldi noi li teniamo qui, anzi ne teniamo una piccola parte, la riserva frazionaria e il resto lo usiamo per i nostri scopi.

Perché si sa, statisticamente i clienti non vengono tutti lo stesso giorno a ritirare i contanti, e se anche lo facessero c’è un provvidenziale “tetto” al contante stesso.

“Ora ci saranno molti altri problemi, la gente penserà che il Bitcoin possa subire la stessa sorte ma no! Ci saranno, ci sono oscillazioni, ma Bitcoin non andrà mai a zero. Sarà il dollaro ad andare a zero, tra qualche decennio”.

Stretta sulle criptovalute

Il sistema è dunque all’opera per trovare il modo di regolamentare le varie blockchain. In un articolo pubblicato il 15 novembre da Reuters si racconta come “l’innovation center della Federal Reserve insieme ai giganti del global banking” stiano avviando un esperimento detto Regulated Liability Network”.

Leggiamone la descrizione: “The pilot will test how banks using digital dollar tokens in a common database can help speed up payments”.

Le banche vogliono utilizzare un database di token comune, rinunciando perfino all’indipendenza dei propri database di transazioni a favore di un controllo centralizzato.

E il motivo addotto? “speed up payments”. Speed up, velocizzare? Ma la tecnologia della blockchain è infinitamente più lenta di quella tradizionale, si parla di un throughput di circa 5 transazioni globali al secondo contro una media di 1.700 transazioni al secondo gestite dalla sola Visa. Sbaglieremo, ma ci pare una velina per confondere le acque.

Il pretesto perfetto

Per concludere, la novità della tecnologia e della terminologia delle criptovalute unita alla poca abitudine a ragionare senza autorità centrali rendono difficile per noi tutti comprendere i movimenti in atto nel settore. E una truffa quale quella di SBF pare il pretesto perfetto per creare consenso attorno all’idea di un controllo statale, coi suoi tracciamenti e i suoi tetti. Sempre nell’interesse de cittadini, beninteso.

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