Economia

Domanda aggregata, questa sconosciuta. Di sole riforme non si cresce

Nella “visione” esposta da Meloni all’assemblea di Confartigianato manca lo stimolo della domanda. E di questa mancanza sono defunti molti governi precedenti

Economia

L’argomento del giorno è la legge finanziaria. Il presidente del Consiglio in una occasione, di fronte a Confartigianato, la ha descritta compiutamente. Compiutamente, ancorché un poco confusamente: lei stessa ha ammesso di non avere “un intervento preparato … non ce l’avrei fisicamente fatta a prepararlo”. Perciò, ci permetteremo di presentare il testo in ordine logico.

“Lo stesso approccio col quale si farebbe il bilancio familiare”

Per Meloni, la manovra è “fatta con lo stesso approccio col quale si farebbe il bilancio familiare: quando tu devi occuparti della tua famiglia e hai poche risorse a disposizione … ti occupi del fatto che quella famiglia deve andare avanti”.

Fortunatamente, ella non dice che lo Stato è una famiglia, non ha invocato né la buona massaia sveva che tanto piaceva a Merkel, né il buon padre di famiglia. Con l’espressione bilancio familiare, ella semplicemente intende dire che lo Stato non c’ha soldi.

“La nostra visione”, “una strategia”

Aggiunge, che la manovra è “coerente con la nostra visione”. Una visione che serve a “portarci (tra cinque anni e molto prima) a dare risposte molto più significative di quelle che state vedendo oggi”.

Tali risposte molto più significative, insieme costituiscono la strategia: la nazione ha “disperato bisogno di scegliere dove vuole andare, di scegliere cosa voglia essere”.

La questione è capitale: “il problema di questa nazione è che le è mancata una strategia”.

“Un confronto stabile sulla strategia”

Ciò non significa che tale strategia debba essere condivisa, anzi: “le nostre proposte, le nostre idee, non smetteremo mai di confrontarle con le vostre, in un confronto che vorrei fosse sempre schietto e franco. Non saremo sempre d’accordo, a volte sì, a volte no”.

Ma serve che sia accettata: la nazione ha pure “disperato bisogno … di coinvolgere tutti gli attori (della nostra nazione, della nostra economia) per puntare quell’obiettivo”.

Perciò, Meloni propone a Confartigianato (e, in generale, ai corpi intermedi), un confronto che non sia “semplicemente di carattere sindacale (di cosa ho bisogno io, che cosa potete fare voi)”. Bensì, “un confronto stabile sulla strategia di questa nazione”.

“Lo Stato non crea crescita”

Spiegata la necessità di una strategia, Meloni descrive la logica de la strategia dei governi Conte e Draghi (“noi usciamo da una legislatura nella quale ci è stato detto che … la crescita la facevi con una norma dello Stato”), per criticarla (“c’è un grande equivoco di fondo in questa vicenda: lo Stato non crea crescita”).

Eppoi, presenta la logica de la strategia che lei stessa ha scelto: “la crescita la fanno le aziende con i loro lavoratori. Quello che compete allo Stato è metterli in condizione di lavorare e non mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole lavorare”.

“Non mettere i bastoni tra le ruote”

Meloni spiega come intenderebbe non mettere i bastoni tra le ruote. Con una specie di divieto all’ingresso di capitali esteri: “noi in questi anni abbiamo lasciato che l’Italia svendesse marchi italiani. Questo non si deve e non si può fare più”.

Con “una tassazione che tenga conto del rapporto tra dipendenti e fatturato: più è alta l’incidenza, meno tasse devi allo Stato” (nickname: “più assumi meno paghi”). Ciò che essa stessa definisce: “un modo per aiutare le aziende manifatturiere di tutto il mondo dell’artigianato” … cioè a sfavorire le manifatturiere vere, quelle dell’Industria.

Con un “Registro delle Indicazioni Geografiche anche per i prodotti artigianali”: “così come abbiamo fatto per le indicazioni geografiche alimentari”.

Con “un allegato ad hoc alla legge di bilancio”, dedicato alla lotta alla concorrenza sleale. Che pare sostanziarsi pure in un curioso potere straordinario assegnato alla amministrazione, citiamo: “un meccanismo per il quale quando c’è qualcosa che non torna, queste persone possono essere convocate e, se effettivamente qualcosa non torna, gli si può chiudere la partita Iva e, a quel punto, la partita Iva si può riaprire ma con una fideiussione a garanzia del pagamento delle tasse in futuro.

Laddove, come si vede, non mettere i bastoni tra le ruote non significa, per Meloni, deregolamentare. Bensì, al contrario, regolamentare.

Di buono c’è, che si tratta di propositi velleitari. In tre casi almeno, esplicitamente contro i desiderata di Bruxelles: la quale non potrà mai accettare, né vere IGT non-agricole, né limiti agli acquisti di impresa intra-unionali, né disincentivi fiscali alla dimensione di impresa. Anche se, a preoccuparci, basta il solo pensiero di un funzionario libero di chiudere partite Iva a proprio piacimento.

Resta che nella visione di Meloni è presente un impeto regolamentativo. In altri termini, del processo auspicato dall’ottimo Lottieri, “di liberazione delle forze imprenditoriali oggi imbrigliate” da leggi tese a tutele spesso assurde (ex-multis: il falco pellegrino), non si vede l’ombra.

“Metterli in condizione di lavorare … in questo momento di difficoltà”

Meloni spiega pure come intenderebbe mettere le aziende in condizione di lavorare. Distinguendo fra interventi temporanei e permanenti.

Quelli temporanei sono così descritti: “siamo attenti al fatto che questo è un momento di difficoltà e che, in questo momento di difficoltà, se ci si rimbocca le maniche si fa qualcosa di più, lo Stato deve riconoscere quello che è stato fatto, deve dire: riconosco il tuo valore”.

Si tratta di interventi di defiscalizzazione provvisori: dimezzamento tassa sui premi di produttività, una tassa piatta incrementale, tregua fiscale.

Si tratta del benemerito sblocco di “alcune concessioni per l’esplorazione e la estrazione di gas nei nostri mari” (nickname: gas release).

Si tratta, soprattutto, della proroga ed estensione dei crediti di imposta energetici per le aziende e degli sconti alle famiglie. Finanziati “riscrivendo la norma sugli extra profitti”, cioè colpendo le energie rinnovabili. Alle quali, infatti, Meloni quasi non fa cenno nel discorso.

E questo potrebbe essere un benvenuto segno di disinteresse (checché di dazi per standard ambientali ancora dica il suo ministro Adolfo Urso e di taglio alla CO2 ancora dica il suo ministro Pichetto Fratin).

La cattiva notizia, Meloni non la nasconde: questi soldi bastano forse sino a marzo. Dopodiché, Meloni ostenta cieca continuità con il “lavoro già fatto da Mario Draghi da Roberto Cingolani … per un vero tetto europeo al prezzo del gas”. Certamente, un modo per attribuire loro l’onere dell’ovvio fallimento … ogni giorno più evidente.

Al contrario, Meloni nasconde il tema collegato: l’orrenda concorrenza sleale tedesca, ove i sussidi non solo sono enormemente più alti e durano sino ad aprile 2024 ma, da ieri sappiamo, sono anticipati a gennaio 2023. Di fronte alla quale, due giorni più tardi, il ministro Giorgetti si è dichiarato impotente.

“Metterli in condizione di lavorare … attenti al tema del costo del lavoro”

Sempre in tema di mettere le aziende in condizione di lavorare, gli interventi permanenti sono così descritti: “siamo attenti alle imprese, siamo attenti a chi lavora, siamo attenti al tema del costo del lavoro”.

Si tratta di timidi interventi di defiscalizzazione permanenti: tassa piatta al 15 per cento per gli autonomi, taglio del cuneo fiscale, buoni lavoro in agricoltura. Ai quali potremmo aggiungere l’aumento del tetto all’uso del contante. Complessivamente poca cosa, come registra il citato Lottieri.

V’è poi un intervento di incentivazione alla offerta di lavoro. Riassunto nella espressione: “uno Stato giusto, fa assistenzialismo verso chi non può lavorare e crea lavoro per chi può lavorare”. Laddove, avendo ella già spiegato che “lo Stato non crea crescita”, è evidente che il lavoro lo si crea inducendo i lavoratori ad accettare gli impieghi e le condizioni di impiego pro tempore offerti dal mercato. In altri termini, producendo una pressione al ribasso (una pressione deflattiva) sul costo complessivo del fattore lavoro.

E, infatti, Meloni annuncia a chi può lavorare che “alla prima offerta di lavoro che rifiuti, ti decade il reddito di cittadinanza”. Oltre a “l’azzeramento della contribuzione per le nuove assunzioni di donne giovani e percettori di reddito di cittadinanza”.

Il che fa pendant con alcuni provvedimenti per chi non può lavorare: disabili e pensioni minime. A comporre una pressione sul lavoro, che a noi pare forte quanto una abolizione tout court dello stesso reddito di cittadinanza. Anche se conosciamo l’opposta impressione di molti, per esempio del citato Lottieri.

Esitiamo ad iscrivere a tale capitolo pure i benemeriti incentivi alla natalità … ma solo alla luce dei tempi di successo, piuttosto lunghi.

“Niente di quello che fa lo Stato è gratuito”

Sin qui, come si vede, manca qualsivoglia riferimento alla domanda aggregata: allo stimolo della domanda.

Unica apparente eccezione è il superbonus in edilizia, che viene ridoto al 90 per cento ma non formalmente cancellato (“il principio era giusto”). E, tuttavia, la sua appetibilità è direttamente proporzionale alla cedibilità. Cedibilità che Giorgetti già si era preoccupato di affondare.

Seguito da Meloni, con una espressione solo un poco più controllata: “niente di quello che fa lo Stato è gratuito. Questo, chi fa politica dovrebbe saperlo, perché sono soldi dei cittadini italiani”.

Affermazione corretta solo in caso di mancata circolarità del credito, cioè di mancata trasformazione dello stesso in moneta fiscale. Ciò che Giorgetti ha affondato, appunto. Ma che la stessa Meloni già aveva iscritto fra “gli avventurismi finanziari più o meno creativi”.

Sicché, pure il residuo superbonus in edilizia non costituisce eccezione alla mancanza di qualsivoglia riferimento alla domanda aggregata, nel discorso che stiamo commentando.

“Le banche qualcosa di più possono fare”

Manca pure qualsivoglia riferimento al credito (che della domanda aggregata è motore essenziale). Solo, Meloni lascia intuire ciò che pensa del sistema bancario: “le banche qualcosa di più possono fare”. Cioè, le banche sono piene di soldi, non la preoccupano.

Coerentemente, nel discorso cita appena il fronte finanza aziendale: Fondo Centrale di Garanzia, Voucher Digitale, Nuove Imprese a Tasso Zero. Tutta roba che già c’è.

Niente sugli aggregati creditizi, sulle condizioni di prestito. Come fosse roba che non interessa al governo: le banche sono piene di soldi e a Meloni tanto basta.

“Un lavoro di accelerazione”

Unico apparente riferimento alla domanda aggregata, Meloni lo fa in relazione al Pnrr: “sulla spesa non siamo molto molto avanti, quindi c’è un lavoro di accelerazione che va fatto e che noi stiamo lavorando per fare”.

Ma poi precisa, che tale lavoro di accelerazione non è automatico: occorrerà tener conto del “costo delle materie prime aumentato del 35 per cento”; nonché “introdurre delle clausole, perché le piccole e medie imprese non vengano escluse”.

Soprattutto, “sono cambiate le nostre priorità e oggi la priorità energetica … non può non essere adeguatamente considerata”.

Meloni non lo dice, ma lo suggerisce: col Pnrr, “l’Italia può diventare l’hub di approvvigionamento energetico dell’intera Europa”. E fa bene a non dirlo, perché il Pnrr è un prendere o lasciare: spese buttate al vento in investimenti gretini inclusi.

Certo, gli effetti del Pnrr sulla domanda aggregata italiana sono molto inferiori a quelli che potrebbero essere indirizzando le spese su investimenti utili, come certamente sarebbe l’hub italiano. Ma è francamente escluso che i tedeschi ci lascino usare i loro soldi (il Pnrr) per fare loro concorrenza gasiera. Ciò che Meloni non potrà cambiare.

“L’hub di approvvigionamento energetico dell’intera Europa”

Lo stesso, l’ambizione di “diventare l’hub di approvvigionamento energetico dell’intera Europa” è benemerita. Di ciò scriviamo da mesi e non possiamo che lodare questo pezzo del discorso.

Certo, avvertiamo pure il rischio che Meloni confonda la politica industriale con la politica energetica, così il citato suo ministro Urso: “io credo che saremo in grado di esportare energia verso i Paesi del Nord”. E non ne siamo soddisfatti: l’obiettivo non è solamente farsi grossi commercianti di gas bensì, anzitutto, assicurarsi forniture ingenti e a buon mercato.

Peraltro, il concetto non è chiaro nemmeno ad un banchiere come Orcel, per il quale “l’energia verrà da Sud verso Nord. E chi dovrà costruire porti, infrastrutture? Saranno l’Italia, la Grecia e altri paesi del sud Europa. Sarà una grande occasione”. Di nuovo, come se l’obiettivo fosse solamente farsi grossi commercianti di gas.

Se lo ricordi, il presidente del Consiglio: il primo obiettivo è assicurarsi forniture ingenti e a buon mercato. Poi viene il ricco commercio, ma solo poi.

Conclusioni

Ecco squadernata la “nostra visione” del governo Meloni. E la manovra finanziaria che lei considera “coerente con la nostra visione”. Intervento per intervento, quali ella ha voluto presentare, e promette di implementare “con la stessa precisione, la stessa meticolosità, la stessa dedizione, lo stesso amore, la stessa pazienza, con la quale normalmente un artigiano si occupa dei suoi prodotti”.

Purtroppo, come abbiamo visto, in tale visione è presente un impeto regolamentativo, che non lascia ben distinguere tale nuova visione di destra, dalla precedente visione di sinistra.

Inoltre, in questa come quella, manca qualsivoglia riferimento alla domanda aggregata: allo stimolo della domanda. Per entrambe, destra e sinistra, è come se l’Italia non avesse alcuna possibilità di reagire al ciclo economico. Salvo adattarsi, ridimensionandosi, qual giunco nella tempesta.

E, naturalmente, ribattezzare tale ridimensionamento sempre col solito soprannome acconcio: riforme. Che sono sempre riforme deflattive, appunto.

Dopodiché – nella testa di Meloni come prima nella testa della sinistra – grazie a tali riforme deflattive le imprese avranno visto ridotti i propri costi e, in tal modo, esse stesse creeranno la propria domanda. Cioè la Legge di Say: il paradiso di un neo-liberale, l’inferno di un keynesiano.

Orbene, può darsi che le nuove riforme deflattive di destra abbiano maggior successo delle vecchie riforme deflattive di sinistra, ce lo auguriamo. Ma di sole riforme deflattive sono defunti molti governi precedenti. I quali pure ragionavano senza pensare alla domanda aggregata … ed abbiamo visto come è andata a finire.