Economia

E-fuel, un bluff ancora peggiore delle auto elettriche

Scarsa resa energetica (13 per cento), altissimo il costo (10 euro al litro). Disperato tentativo dei costruttori auto Ue di difendersi dal mostro da loro stessi creato

L'impianto di e-fuel di Porsche a Punta Arenas, in Cile L'impianto di e-fuel di Porsche a Punta Arenas, in Cile

“Accordo per gli e-fuel, l’ira dell’Italia: ‘Ue irragionevole sui biocarburanti’”; “Stop a benzina e diesel: via libera della Ue. Ma l’Italia si astiene”; “Intesa Berlino-Bruxelles sull’auto e l’e-fuel. L’Italia resta isolata”; “E-fuel, verso l’ok all’accordo tra Germania e Ue”; “Auto, via libera del Consiglio Ue al regolamento sullo stop a benzina e diesel. L’Italia si astiene”.

Intorno alla fine dello scorso mese di marzo tutti voi ricorderete la ridda di titoli che si succedettero per giorni sui quotidiani mainstream in occasione del dibattito che, nell’ambito della più ampia discussione sulla cosiddetta “tassonomia green” (cioè la classificazione delle attività economiche che possono essere considerate sostenibili dal punto di vista ambientale e compatibili con gli obiettivi di decarbonizzazione del “Green New Deal”), ha animato le sedute dell’Unione europea in concomitanza con il voto sul bando della vendita di auto a motore endotermico a partire dal 1° gennaio 2035.

In quell’occasione, ricorderete tutti che fu tirato di nuovo fuori dal cilindro del mago il coniglio dei cosiddetti “e-fuel” alias “carburanti sintetici”.

Una vecchia conoscenza

Ma perché “tirato di nuovo fuori”? Perché i carburanti sintetici non sono un’invenzione recente di quelle infaticabili menti che lavorano alacremente a Bruxelles per renderci la vita sempre più un “giardino”, bensì un vecchio cavallo di battaglia – indovinate un po’? – della Germania nazista.

A tal proposito, si sarà trattato sicuramente di un puro caso che sia stata proprio la Germania a spingere per consentire alcune deroghe alla vendita di auto a motore endotermico, anche oltre la data fatidica del 1° gennaio 2035, in tandem con l’adozione dell’e-fuel, e ad essere riuscita a spuntarla a marzo scorso, a dispetto della proposta italiana di spingere piuttosto sui biocarburanti, anche se – notizia proprio di qualche giorno fa – la Commissione Industria del Parlamento europeo avrebbe adesso approvato la prima definizione dei carburanti CO2 neutri includendovi anche questi ultimi.

Ma è bene sapere che questo pronunciamento è solo il primo di una lunga serie e, magari, qualche altra trappola potrà essere tesa qui e là lungo il cammino, per impedire l’ascesa finale dei biocarburanti nell’Empireo dei carburanti CO2 neutri.

Un po’ di teoria

Ma procediamo con ordine e rinfreschiamoci la memoria su cosa siano gli idrocarburi da cui oggi si ottengono per raffinazione i carburanti fossili: benzina, gasolio, kerosene e affini.

Come dice la parola stessa e come ricorderete dai banchi di scuola, gli idrocarburi sono catene complesse di composti organici a base di idrogeno e carbonio. Affinché essi si leghino insieme a formare le lunghe catene delle molecole di idrocarburi occorrono notevoli temperature, pressioni ed energia, parte della quale viene immagazzinata sotto forma di legami elettrochimici e restituita successivamente al momento della loro combustione.

Gli idrocarburi di origine naturale si sono formati in natura nel corso delle ere geologiche in tempi lunghissimi, nell’ordine dei milioni di anni, durante i quali, a seguito degli sconvolgimenti della crosta terrestre in ere remote, enormi quantità di sostanze organiche animali e vegetali si sono ritrovate sepolte sotto spessi strati di roccia, sottoposte alle fortissime pressioni dovute al peso degli strati soprastanti e al calore degli strati profondi del mantello. Gli idrocarburi hanno catturato così una piccolissima frazione di quelle terribili condizioni ambientali immagazzinandola, per l’appunto, nei loro legami elettrochimici.

Durante la Seconda Guerra Mondiale

Ma, si diceva, i carburanti sintetici non sono un’invenzione odierna. Infatti, come capita sempre durante i conflitti armati, accanto agli orrori e alle atrocità della guerra si accompagnano di solito anche le ricerche e le scoperte scientifiche più innovative. Fu questo il caso anche della produzione su vasta scala dei carburanti sintetici durante la Seconda Guerra Mondiale.

La macchina bellica nazista, infatti, aveva bisogno di ingenti quantità di carburanti cui il Terzo Reich, a causa del conflitto e delle rotte marittime per forza di cose interdette, non era in grado di far fronte con la raffinazione degli esigui quantitativi di greggio che riuscivano ad arrivare in Germania.

Fu così che Berlino diede l’ordine di iniziare lo sfruttamento su vasta scala di alcuni processi di sintesi messi a punto decenni prima da brillanti chimici tedeschi. Più in particolare, del processo brevettato 30 anni prima da Friedrick Bergius – il processo Bergius – e da quello messo a punto 20 anni prima da Franz Fischer e Hans Tropsch – il processo Fischer-Tropsch per l’appunto – grazie ai quali la Germania poté produrre, sin dall’inizio della guerra, fino a 72.000 barili al giorno di olio sintetico da cui raffinare prodotti petroliferi surrogati utilizzando rispettivamente il carbone (processo Bergius) e il gas naturale e l’acqua (processo Fischer–Tropsch).

La cattura dei pozzi petroliferi di Baku e del Caucaso nel 1941 fece passare temporaneamente in secondo piano la produzione di carburanti sintetici grazie al greggio caucasico che, attraverso i processi di raffinazione tradizionali, consentì alle Forze dell’Asse di avere abbondanza di carburanti, i quali permisero l’attuazione dell’invasione della Russia.

Tuttavia, il fallimento della campagna di Russia e la conseguente perdita dei pozzi conquistati solo un paio di anni prima fecero di nuovo accelerare sulla produzione di carburanti sintetici: nel pieno dello sforzo bellico, infatti, laproduzione passò da 72.000 a 124.000 barili al giorno; nel complesso della guerra, essi rappresentarono la metà della produzione petrolifera bellica tedesca.

L’idea di base era concettualmente semplice: se si mettono insieme idrogeno e carbonio (nelle forme di H2 e CO) nelle quantità opportune e si somministrano le giuste temperature, pressioni ed energia, attraverso una serie di processi chimici in cascata si otterranno alla fine le stesse catene di idrocarburi creati da Madre Natura, ma in tempi compatibili con un processo industriale continuo e, soprattutto, potendo controllare esattamente la composizione dei prodotti finali.

L’energia necessaria al processo di sintesi era data allora dalle vaste riserve di carbone della regione della Ruhr e dai giacimenti di gas naturale ad essa connessi: combustibili fossili, pertanto, di cui la Germania era ricchissima, a differenza del petrolio.

L’e-fuel oggi

E veniamo ai giorni nostri e al folle volo del perseguimento degli obiettivi del Green New Deal e Net Zero 2050: cos’hanno elucubrato le instancabili menti di Bruxelles? Hanno pensato: “Sostituiamoci anche noi a Madre Natura come i nostri ingombranti predecessori e creiamo anche noi gli idrocarburi!”.

E così, quelle stesse infaticabili menti si sono messe al lavoro e hanno avuto la geniale trovata: “Ma se mettiamo insieme gli elementi fondamentali, idrogeno e carbonio (H2 + CO), e ripeschiamo il vecchio processo Fischer-Tropsch alimentando il tutto solo con energia rinnovabile, raggiungiamo il doppio obiettivo di catturare la CO2 e di ottenere nuovamente combustibili sintetici!”

E così infatti vogliono fare. In altre parole, il processo prevede di ottenere l’idrogeno “verde” per elettrolisi dall’acqua utilizzando solo elettricità da fonti rinnovabili, catturare la CO2 dall’aria o da altre fonti di emissione mediante opportuni sistemi di cattura che utilizzino anch’essi soltanto energia rinnovabile, mettere tutto insieme, agitare non mescolare somministrando l’energia necessaria (sempre da fonti rinnovabili), e il gioco è fatto: l’e-fuel è servita, come il mitico Vesper Martini della spia più famosa del mondo!

Bilancio energetico

Sembra tutto bello, vero? Pensate un po’: carburanti sostenibili e a bilancio neutro di CO2 ottenuti da sole, vento, acqua e biomasse: un vero paradiso in terra!

Ma, diranno i più smaliziati tra di voi, dove si nasconde la fregatura? La fregatura ce la dà, come al solito, il famoso secondo principio della termodinamica che ci ricorda che non esistono pasti gratis: di tutta l’energia che spenderemo per il processo di sintesi, soltanto una piccola frazione finirà accumulata nei legami elettrochimici dell’e-fuel e verrà successivamente restituita in fase di combustione. Tutto il resto si dissiperà sotto forma di calore: la dura legge di Carnot.

Senza alcuna pretesa di precisione millesimale ma al solo scopo di stimare gli ordini di grandezza in gioco, proviamo a fare un conto della serva per vedere qual è il rendimento complessivo del processo di sintesi del carburante utilizzando solo energia rinnovabile.

Nel processo avremo i due sistemi paralleli preparatori per la produzione rispettivamente di idrogeno e carbonio, quest’ultimo con cattura contestuale di CO2, caratterizzati ciascuno da un proprio rendimento, i quali confluiscono entrambi nello stadio finale Fischer-Tropsch, caratterizzato a sua volta dal suo proprio rendimento.

(1) Elettrolisi: il primo passo per ottenere l’idrogeno necessario per la formazione degli idrocarburi è separarlo per elettrolisi dalla molecola dell’acqua. Questo processo ha un rendimento di circa il 60 per cento. Tuttavia, il trattamento successivo dell’idrogeno (compressione, stoccaggio, trasporto, ecc.) riduce questo rendimento (ottimisticamente) al 40-45.

(2) Cattura della CO2. Per ottenere il carbonio da legare all’idrogeno e, al tempo stesso, ridurre la concentrazione CO2 in atmosfera, si utilizzano dei sistemi cosiddetti di “carbon capture”. I sistemi più efficienti sono quelli che possono operare avendo a disposizione fonti di CO2 a concentrazioni elevate, come quelle ottenibili al camino di una centrale termoelettrica a carbone, ad esempio. Tenendo conto di tutti i processi e le operazioni coinvolte (cattura, trattamento, stoccaggio, trasporto, ecc.), il rendimento di questi sistemi è generalmente piuttosto basso e varia nel range 20-30 per cento.

(3) Stadio finale di sintesi Fischer-Tropsch. Lo stadio Fischer-Tropsch produce, come si è detto, combustibili sintetici o olio sintetico a partire da miscele gassose di monossido di carbonio (CO) e idrogeno (H2) in presenza di un catalizzatore. Chimicamente, il processo consiste in una riduzione del monossido di carbonio (CO) ad opera dell’idrogeno (H2) in condizioni di temperatura comprese tra i 170 e i 220 °C e pressioni nel range 1-10 bar.

La reazione viene condotta su un letto catalitico costituito da ossido di cobalto, cobalto metallico, ossido di magnesio e biossido di torio supportato da farine fossili. Da 1 m3 di miscela di CO + H2 si ottengono 130-140 g di miscela idrocarburica, con un rendimento in peso del 60 per cento circa. Il rendimento energetico, inteso come rapporto tra energia immagazzinata dai legami elettrochimici ed energia spesa nel processo, è invece compreso nel range 35-40 per cento.

(4) Rendimento complessivo. Il rendimento equivalente del parallelo tra la linea dell’idrogeno (40-45 per cento) e quella del diossido/monossido di carbonio (rendimento 20-30 per cento) è in prima battuta pari alla media dei due. Considerando entrambi gli intervalli di confidenza, il rendimento risultante sarà compreso nel range 30-37,5 per cento.

Il processo Fischer-Tropsch ha a sua volta un rendimento del 35-40 per cento circa, il rendimento globale pertanto varierà da un minimo del 10,50 per cento ad un massimo del 15 per cento. In definitiva, supponendo di posizionarci nel punto medio dell’intervallo, il rendimento complessivo della sintesi del carburante sintetico è, arrotondato per eccesso, del 13 per cento: di tutta l’energia rinnovabile impiegata per produrre l’e-fuel, l’87 per cento si perderà in calore e solo il 13 per cento resterà “intrappolata” nei legami elettrochimici dell’e-fuel stessa.

Un pessimo vettore energetico

In altre parole, l’e-fuel è un pessimo vettore energetico, e lo è ancor più in quanto esso andrebbe ad alimentare motori endotermici che, nella migliore delle ipotesi, non superano a loro volta il 40 per cento di rendimento, portando così il rendimento meccanico globale “idro/sole/vento/biomasse vs energia all’asse” al solo 5,2 per cento.

Per rendere meglio l’idea, per sintetizzare un litro di e-Diesel che, ricordiamo, ha un potere calorifico di 10,2 kWh, dovremo spendere 78,5 kWh di elettricità da fonti rinnovabili.

Adesso tenetevi forte: se volessimo sintetizzare tutti i 30 miliardi di litri di carburante che in Italia si consumano mediamente in un anno per l’autotrazione, occorrerebbero 2.355 TWh annui di energia elettrica rinnovabile, cioè una produzione di energia elettrica rinnovabile annua dedicata alla sola produzione di e-fuel pari a 7 volte e mezza il totale dell’energia elettrica consumata ogni anno in Italia (317 TWh), di cui oggi solo 100 TWh provengono da fonti rinnovabili.

La morale della favola è che, se possibile, gli e-fuel sono un bluff ancora peggiore delle auto elettriche. Infatti, alla luce dei numeri analizzati, ad un occhio disilluso i carburanti sintetici (ma anche i biocarburanti) appaiono sempre più come il disperato tentativo dei costruttori automotive Ue di difendersi dal mostro da essi stessi voluto e creato, cioè il bando nell’Unione europea della vendita di auto a motore endotermico a partire dal 1° gennaio 2035.

I conti senza l’oste: la Cina

In un vero e proprio delirio di onnipotenza, avevano creduto che, spingendo sull’auto elettrica e facendo leva sull’assist del Green New Deal e della decarbonizzazione ad esso associata, si sarebbero potuti creare nei prossimi decenni un mercato potenziale infinito, con la presunzione di ritenere di essere gli unici detentori del famoso “noàu”.

Ma ovviamente hanno fatto i conti senza l’oste: hanno commesso cioè l’errore madornale di ritenere che la Cina, detentrice delle materie prime, continuasse a limitarsi a guardare e a vendere quelle stesse materie prime all’Occidente senza battere ciglio.

Come sta andando è invece sotto gli occhi di tutti: con la loro strategia suicida hanno di fatto consegnato alla Cina le chiavi del mercato automotive europeo, che comincia già oggi ad essere invaso da auto elettriche cinesi vendute alla metà del prezzo delle analoghe e-car europee e lo sarà sempre di più nei prossimi anni.

I carburanti sintetici – e da qualche giorno (forse) anche i biocarburanti – sono quindi una sorta di “ultima chiamata” del settore per non finire definitivamente schiacciato sotto il peso della propria narrazione green.

Ma quanto costerebbe?

A puro titolo di divertissement estivo, a metà strada tra risolvere il “Quesito con la Susi” e “Gli incroci obbligati” della Settimana Enigmistica, proviamo a calcolare quanto potrebbe essere il costo odierno di un litro di e-Diesel.

Supponiamo di poter disporre dell’energia elettrica rinnovabile più a buon mercato che ci sia che, salvo errori ed omissioni, dovrebbe essere quella fornita dall’eolico onshore, il cui LCOE (Levelised Cost of Energy – Costo Livellato dell’Energia) oggi si aggira intorno ai 7 €cent/kWh (teorici).

Per produrre un litro di e-Diesel dovremmo spendere 78,5 kWh, sicché 0,07 x 78,5 = 5,50 €.

Ricordiamo poi che la formula grezza del gasolio – che in realtà è un miscuglio di vari idrocarburi alifatici – è C14H30 e che i pesi atomici di carbonio e idrogeno sono rispettivamente 12u e 1u, da cui deriva che il gasolio è costituito dal 15 per cento in peso da idrogeno e dall’85 per cento da carbonio. Questo ci permette di calcolare facilmente i costi associati alle materie prime: Cmp = 12 [€/kg] x 0,15 + (– 0,1) [€/kg] x 0,85 = 1,72 €.

Il segno “-“ del costo del carbonio si spiega in quanto si tratta in effetti non di un costo bensì di un beneficio, quello riconosciuto dal sistema dei crediti del carbonio (certificati ETS) per la cattura della CO2, certificati che al cambio odierno valgono circa 100 €/ton = 0,1 €/kg.

Sommando il costo dell’energia e quello della materia prima otterremmo quindi 7,22 €/litro. Considerando un margine operativo lordo del solo 10 per cento, il costo prima delle tasse sarebbe di 7,22/0,9 = 8,02 €/litro.

Supponendo infine che anche sull’e-Diesel valga la stessa tassazione del gasolio da petrolio (accise 0,62 €/litro + IVA 22 per cento), il prezzo alla pompa di un litro di e-Diesel sarebbe oggi di € 10,54, sempre che l’eccesso di domanda di energia rinnovabile, unitamente alla costanza nel breve termine dell’offerta, non facciano poi schizzare in alto il costo della componente energia con incrementi di prezzo alla pompa oggi del tutto imprevedibili.

Dulcis in fundo, è certamente un caso se, in deroga al bando sulla vendita di auto a motore endotermico in Unione europea a partire dal 1° gennaio 2035, le supercar (Ferrari, Lamborghini, Porsche, ecc.) continueranno invece a poter essere tranquillamente vendute.

So cosa state pensando, maliziosi! Che i carburanti sintetici che costano almeno 6 volte quelli derivati dal petrolio potranno permetterseli solo coloro che potranno al tempo stesso permettersi un’auto che costi almeno 6 volte quelle dei comuni mortali…

Conclusioni

In chiusura, l’anno prossimo, in occasione delle elezioni europee 2024, fatelo seriamente un pensierino a tutte quelle menti così infaticabili che stanno a Bruxelles e che lavorano alacremente giorno e notte per apparecchiarci i più distopici futuri possibili e immaginabili, e magari fate in modo che il mondo torni a quote più normali. Che ne dite?

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