Economia

Extratassa sbagliata, ma nemmeno le banche sono innocenti

Orecchie da mercante alle richieste del governo e di Lagarde di adeguare la remunerazione dei depositi. Intervento “di forza” necessario, non un attacco al mercato

tasse banche © Vertigo3d e mediaphotos tramite Canva.com

La risposta del governo Meloni al problema è stata forse sbagliata, ma non è il caso di derubricare l’imposta sugli extraprofitti bancari varata dal Cdm la scorsa settimana come mero tentativo di fare cassa, sulla scia di una analoga iniziativa – peraltro fallimentare – tentata dal governo Draghi ma avente per bersaglio le compagnie energetiche.

Le orecchie da mercante delle banche

Il sistema bancario italiano ha, infatti, per lo più fatto orecchie da mercante su una situazione che era diventata critica: se, infatti, è vero che il rialzo dei tassi di riferimento della Bce era necessario – anzi, forse lo si sarebbe dovuto fare già nel 2018-2019 – è pur vero che ha portato alcuni effetti positivi e molti altri collaterali: primi fra tutti, le difficoltà per chi ha contratto mutui a tasso variabile o ha linee di credito aperte.

Naturalmente non è colpa del sistema bancario, l’inflazione crescente richiede un impegno da parte della banca centrale ma lo scenario è quello di nove rialzi dei tassi di interesse in dieci mesi, con le banche che hanno fatto troppo poco per venire incontro ad una clientela (forse sprovveduta, o forse invece costretta a prendere o lasciare) ritrovatasi improvvisamente in difficoltà, al punto che servì una norma inserita nell’ultima legge di bilancio per costringere gli istituti di credito a concedere ad alcune tipologie di clienti la rinegoziazione del proprio mutuo (anche se, a sentir parlare il presidente dell’ABI, pare che le banche abbiano già fatto il massimo).

Ovviamente non è il sistema bancario a doversi far carico di difficoltà sociali, ma quei mutui e linee di credito rappresentano un pericolo anche per gli istituti stessi: quello di diventare fra qualche tempo non perfoming loans, cioè crediti deteriorati di debitori che non riescono più a far fronte ai propri impegni. E quei crediti deteriorati hanno un impatto negativo sia a bilancio sia sulla possibilità futura degli istituti stessi di assumere su di loro dei rischi concedendo altro credito. Nonostante ciò, la strada privilegiata è stata comunque quella di prendere quel che si poteva, senza tener conto del rischio di ritrovarsi in pancia un quantitativo potenzialmente importante di crediti deteriorati fra qualche tempo.

I segnali della politica

Veniamo però alla vera grande accusa rivolta alle banche, e fatta propria anche dal governo: perché con un rialzo dei tassi richiesti per mutui e prestiti non c’è stato di pari passo un rialzo anche dei tassi riconosciuti alla clientela per i loro depositi? In taluni casi, addirittura, non solo non c’è stato un adeguamento di quei tassi ma è stato effettuato anche un ritocco verso l’alto dei costi connessi alla gestione di conto corrente, motivato proprio con l’andamento dell’inflazione e dei tassi di interesse.

Insomma, il sistema bancario si è adeguato velocemente (e giustamente) alle disposizioni di politica monetaria della Bce nel ruolo di creditore verso i debitori, ma non è stato altrettanto rapido nel farlo nel suo ruolo di debitore verso i correntisti.

Eppure, c’erano stati diversi segnali da parte della politica affinché le banche si decidessero ad adeguare anche i tassi di remunerazione dei depositi: già lo scorso maggio, il ministro Giancarlo Giorgetti avvisò che il governo stava monitorando la situazione e indiscrezioni riportavano che esisteva l’ipotesi di una tassa sugli extraprofitti qualora le banche non avessero tutelato di propria sponte la clientela.

All’inizio di Luglio, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco tornò sulla questione durante il suo intervento all’assemblea dell’ABI, dicendo chiaramente che i rendimenti per i depositi a vista sono stati “molto contenuti” rispetto all’aumento dei tassi per mutui e prestiti e auspicava un graduale ma deciso aumento dei rendimenti per i depositi.

Fra l’altro, nello stesso passaggio Visco sottolineava che tale condizione deriva anche dall’accumulo di liquidità nel periodo in cui la Bce ancora perseguiva una politica monetaria accomodante: tradotto, è stata fatta incetta di denaro quando era conveniente e adesso lo si presta a tassi più alti, per giunta usando l’aumento dei tassi di interesse deciso a Francoforte come scusa per penalizzare i correntisti.

Prima ancora di Visco, a maggio – negli stessi giorni in cui iniziava a girare voce della tassa sugli extraprofitti – era stata la stessa Christine Lagarde ad avvisare gli intermediari che la Bce “vorrebbe che le banche trasmettessero appieno la politica monetaria. Non solo per quanto riguarda il credito che erogano alle famiglie e alle aziende ma anche sui depositi che ricevono da famiglie e aziende”, aggiungendo che “le banche dovrebbero applicare questi tassi su entrambi i fronti dell’attività, ma secondo i dati questo non avviene in maniera sufficiente sui depositi”.

La risposta dell’ABI e la “punizione”

La risposta del presidente dell’ABI, Antonio Patuelli, non fu esattamente conciliante: Patuelli replicò a Lagarde sostenendo che i tassi sui depositi fossero già competitivi e che comunque il monito dovesse valere anche per Poste Italiane. La moral suasion sulle banche, insomma, è del tutto fallita e circa venti giorni fa la stessa Bce ha preso atto di dover intervenire in altro modo: con una mossa interpretata come “punitiva” verso questo atteggiamento (tenuto non solo dalle banche italiane), Francoforte ha deciso di portare a zero la remunerazione della riserva obbligatoria, cioè quel deposito che tutte le banche sono obbligate a tenere presso la banca centrale.

Il resto è cronaca di questi giorni: alla fine il governo ha annunciato a sorpresa l’imposta sugli extraprofitti, i titoli bancari ne hanno risentito in Borsa dopo giorni di euforia dovuti proprio agli utili record e si è discusso sull’opportunità o meno di una mossa simile, con lo stesso governo che ha in parte limato le dichiarazioni iniziali.

Intervento necessario

Un primo risultato è stato ottenuto: l’ABI ha fatto sapere che le banche ora sono pronte a rivedere al rialzo la remunerazione sui depositi. La speranza è che in futuro non si ricorra ad uno strumento/spauracchio come la tassa sugli extraprofitti, per la semplice ragione che anzitutto dovrebbe essere definito cosa è “extraprofitto”, con abusi facilmente immaginabili.

Tuttavia, lo squilibrio sui tassi e l’atteggiamento delle banche, italiane e non, richiedeva un intervento “di forza”: non un attacco al libero mercato, anche perché quello bancario non è un mercato libero, ma fortemente regolamentato e con una concorrenza limitata proprio per via della sensibilità dell’attività bancaria. Sarà bene che ricordino per primi gli operatori qual è il loro ruolo nel sistema economico, senza che il governo di turno arrivi a partorire mosse simili per rammentarglielo.