Economia

I pericoli dell’inflazione latente e l’arroganza dei banchieri centrali

Paghiamo il conto salatissimo di vent’anni di doping monetario e ricette emergenziali per una crescita ingannevole. Ecco perché è ora di rimetterci in forma

Economia

Ci troviamo oggi di fronte ad un rompicapo di policy che la Banca centrale europea (Bce) avrà non poche difficoltà a gestire. Se da una parte, a causa del livelli ancora inaccettabilmente alti di inflazione, appare inevitabile il prolungamento della politica, appena inaugurata, di quantitative tightening, dall’altra la stretta monetaria potrà ottenere i propri effetti calmieranti sui prezzi solo tramite una compressione della domanda aggregata, cioè obbligando l’economia reale a tirare il freno.

In realtà, a livello puramente teorico il problema è facilmente risolvibile, visto che il trade-off tra inflazione e recessione – secondo cui ad un maggior peso della prima corrisponde una più vigorosa spinta all’economia – si materializza solo nel breve termine.

Effetto “dopante”

Se la Bce abbassa i tassi di interesse e stampa moneta, il moltiplicatore del credito bancario agisce da balsamo transitorio, e ingannevole, per la crescita del Pil.

Transitorio perché non appena le aspettative di inflazione levano l’àncora, i tassi di interesse aumentano per allinearsi alla nuova inflazione attesa, e l’unico modo per mantenere gli effetti dopanti sull’economia è quello di spingere con ancor più forza sull’acceleratore monetario.

E questa azione può sfociare in due soli punti d’arrivo: un’inflazione fuori controllo, con annessa svalutazione continua della moneta e aspettative inflazionistiche sempre crescenti; e poi, a chiudere, il collasso di un’economia che si rivolge a forme alternative di pagamento, come l’adozione “dal basso” di una valuta straniera o di nuove forme di moneta, e persino il ritorno a forme di baratto.

Ingannevole perché la crescita stimolata dalla “gestione allegra della moneta” ha i piedi di argilla: le attività che ne risultano beneficiate non raggiungono, se non in minima parte, il numero di quelle che conoscerebbero una fase espansiva in presenza di condizioni monetarie e di credito “sane”.

Di bolla in bolla

Basti pensare, ad esempio, all’enorme stimolo ricevuto dalle attività finanziarie, e dal conseguente rigoglio numerico dei lavoratori operanti in questo mercato, in parallelo all’esuberanza lassista delle banche centrali.

O ancora, si pensi al settore immobiliare e delle costruzioni, che assomiglia ad un’onda anomala gonfiata da tassi di interesse innaturalmente bassi, e che finisce per schiantarsi contro lo scoglio – inevitabile – della normalizzazione monetaria.

E stiamo parlando, qui, di una quantità di risorse sprecate, di carriere, e dunque di vite mal orientate a causa dell’arroganza fatale dei nuovi “padroni dell’universo”, ovvero i banchieri centrali.

Negli ultimi vent’anni abbiamo preferito curare una crisi dopo l’altra con ricette sempre più emergenziali e sperimentali, col risultato, quanto mai deludente, d’aver creato bolle gigantesche e insostenibili di debiti, soprattutto pubblici, e principalmente nei Paesi dell’Europa del Sud. E tutto questo senza aver guadagnato più di pochi decimali di crescita aggiuntiva.

Piuttosto che adottare politiche strutturali all’insegna del taglio della spesa e delle tasse, della responsabilità monetaria e fiscale, della contenzione creditizia e della liberalizzazione dei mercati dei beni, dei servizi e del lavoro, ci siamo contentati di inalare una droga piacevole che ci ha portato all’assuefazione, ma che ora ci presenta un conto salatissimo.

La Bce di Draghi

La Bce di Mario Draghi ha sbagliato molto, per non dire quasi tutto. Sospeso il giudizio sul famoso “whatever it takes”, si può senza dubbio sostenere che la sequenza di decisioni che seguirono a quella famosa conferenza stampa fu totalmente inadeguata.

Ingrossare il bilancio della Bce con una congerie di asset diversi (primo tra tutti uno stock di debito pubblico pari al 40 per cento dell’intero debito dei Paesi dell’area Euro) è stato il frutto di una mossa miope, utile solo a proteggere Stati fiscalmente irresponsabili e, in ultima analisi, ad alimentare l’inflazione in modo tale da ridurre il peso reale di quello stesso debito pubblico.

Tutto ciò a danno di consumatori messi alle strette da prezzi sempre più astronomici e da risparmi e salari depauperati di buona parte del proprio valore. Abbiamo dunque assistito ad un gigantesco trasferimento di ricchezza dai consumatori e risparmiatori verso i debitori, e verso il più rilevante tra questi ultimi: lo Stato.

Misure populiste

Il dispiegarsi degli effetti dannosi dell’inflazione monetaria tarda un po’ a manifestarsi, e le sue forme sono molteplici. Non ci sono solo gli inevitabili e già menzionati effetti sul livello dei prezzi, ma vi figurano anche tutti quei provvedimenti di natura accesamente populista che tendono a voler nascondere l’inflazione: mi riferisco soprattutto al controllo dei prezzi.

Perché un governo che si trovi ad affrontare tassi di inflazione sostenuti, sarà naturalmente portato a “fare qualcosa”.

Capri espiatori

Nel caso in cui il governo sia per sua natura populista e digiuno di economia – o, forse più spesso, malintenzionato – tenterà di dare la colpa ai soliti ignoti: affaristi, speculatori, bottegai, e una lunga lista di eccetera.

Troppo numerosi sono i casi storici in cui un governo, per scrollarsi di dosso responsabilità esclusivamente sue, ha individuato una miriade di capri espiatori, da punire con una delle misure più perniciose che si possano concepire: il controllo dei prezzi, per l’appunto.

Controllo dei prezzi

Fortunatamente in Italia questa tendenza sembra mitigata dalla sopravvivenza di resistenze liberali entro la compagine governativa. Al contrario, nella Spagna guidata da una coalizione di sinistra-sinistra (con inquietanti infiltrazioni bolivariane) il controllo dei prezzi e le diffide esplicite verso le imprese a non maggiorarli, si sono moltiplicati con l’incistarsi dell’inflazione.

Come è noto, controllare i prezzi con decreti governativi è l’equivalente economico dello svuotare l’oceano col secchiello, in termini di inflazione finale.

Purtroppo, il controllo dei prezzi ha però anche effetti negativi reali: la creazione di scarsità, la riduzione di qualità dei prodotti venduti, e la mancanza di manutenzione, solo per menzionarne alcuni. Insomma, il controllo governativo dei prezzi è una misura in grado di “spezzare le reni” a un’economia.

Inflazione latente

Tornando, da ultimo, al tema da cui avevamo preso le mosse, ossia alle manovre inevitabili della Bce, vale sottolineare come permanga un bacino importante di inflazione latente, ossia di inflazione che è già stata creata “strutturalmente” dai programmi di espansione monetaria e che tuttavia non si è ancora manifestata, a causa del ritardo con cui l’inflazione dei prezzi reagisce a quella monetaria – dovendo passare attraverso un’espansione creditizia e dunque una domanda aggregata eccedente rispetto alla capacità dell’economia di espandere la produzione.

Questa inflazione, che si chiama appunto “latente”, ha ancora un cammino più o meno lungo da compiere. Dunque, per evitare che si manifesti con tutta la sua forza e che aspettative di inflazione mal ancorate ne agevolino la comparsa, la Bce dovrà continuare a ridurre il proprio bilancio e aumentare i tassi di interessi in misura ragionevolmente aggressiva, anche a costo di provocare un po’ di recessione.

Il buffet libero del credito a tassi (sotto) zero è finito. Meglio iniziare a rimetterci in forma con una dieta più sana. Dopo le feste, non sembra poi un consiglio così malvagio.