Atlantico Quotidiano ne aveva parlato molti mesi fa: esiste un social network creato da (o per) Donald Trump di nome Truth Social. Quello che in Italia forse alcuni ignorano è che recentemente questo è “entrato in borsa” con il nome Trump Media & Technology Group (DJT) e ha annunciato l’intenzione creare infrastruttura CDN e un canale tv.
Secondo la stampa internazionale la quotazione in borsa ha l’unico scopo di far cassa per l’ex presidente in difficoltà. Questa la tesi: Trump ha dovuto affrontare innumerevoli attacchi al suo impero, ultimi i famosi 400 milioni circa richiesti dal giudice Arthur Engoron ed è a corto di cassa. Si è inventato l’idea di mettere in borsa il social (di cui possiede un numero ingente di azioni, quelle non “flottanti”), per avere una sorta di cash machine, un salvadanaio sempre disponibile.
La scommessa
La nostra tesi è che non sia affatto così e che l’idea sottostante sia tutta un’altra. Un fatto è certo: Trump Media & Technology Group è approdata in borsa in tempi record, impossibili per chi adotta i metodi canonici (atti formali, giro degli investitori eccetera).
Ma Trump ha usato una SPAC (Special Purpose Acquisition Company): società create per fondersi in futuro con altre al fine appunto di realizzare un rapido IPO. Si tratta di una sorta di scommessa per gli investitori: quando questi ne acquistano le azioni non hanno alcuna idea di quale potrebbe essere la società con cui si fonderanno, né di conseguenza quali possibilità avrà in futuro di far crescere (o affondare) il valore del proprio investimento. Il più delle volte, secondo Matt Levine di Bloomberg, è una scommessa perdente, ma per DJT per ora non sembra essere questo il caso.
In ogni caso il debutto in borsa è avvenuto il primo aprile e subito il titolo ha avuto una assolutamente non prevista impennata:
E questo nonostante infiniti articoli e podcast che durante marzo invitavano a non acquistare azioni DJT (in quanto troppo rischiose essendo legate a Trump).
Il titolo DJT ha iniziato subito a macinare volumi altissimi (le barre qui sopra) e a mostrare una grande volatilità (la riga blu), con oscillazioni giornaliere anche del 30-40 per cento. Ma con un chiaro trend positivo. Un vero e proprio “meme stock”, nel quale le dinamiche di trading sembrano scollegarsi totalmente dai fondamentali aziendali (cioè al fatturato trascurabile del social network).
I conti di Trump
Secondo alcuni analisti la partecipazione in Truth Social è bastata per riportare Trump “virtualmente nell’olimpo dei miliardari”. È vero? Vediamo i conti: Trump mantiene una partecipazione di circa il 60 per cento in Truth Social. Ai livelli attuali di circa 30 dollari per azione (anzi, 36,38 alla chiusura di venerdì 19 aprile), Trump Media vanta una capitalizzazione di mercato di oltre 4 miliardi di dollari, conferendo all’ex presidente una partecipazione del valore di circa 2,9 miliardi (sempre alla data di venerdì).
La stampa internazionale non si capacita del non crollo del titolo e continua a sfornare titoli tutti da leggere: si passa in continuazione da “Trump Media Stock affonda in borsa” a “Crescita record per DJT”, quest’ultimo tipo di articoli sempre accompagnato da “si sospettano manipolazioni del mercato”.
Chi compra tutte queste azioni? Senza dubbio sostenitori di Trump, ma non solo. C’è chi lo fa perché crede di poter guadagnare, c’è chi “per ricordo”, lo stesso meccanismo per cui quando andiamo in città lontane ne acquistiamo la t-shirt, ci viene detto. In ogni caso la stampa in genere dà per scontato che si tratti di una società truffa.
Vero, il fatturato è basso e il numero di abbonati trascurabile (qualche milione). Ma infiniti sono stati gli IPO di società high tech che sono entrate in borsa ancora in perdita, o con base utenti minima: il mercato, gli analisti valutano il potenziale e non necessariamente i risultati consolidati.
In quanto al fatto che Trump risolva i suoi (veri o presunti) guai finanziari con questa operazione ci viene da pensare che i famosi analisti non capiscano come funziona la borsa. Se un qualunque importante investitore scarica sul mercato un’ingente quantità di titoli (operazione indispensabile per ricavarne dollari) il valore degli stessi inizia immediatamente a scendere, anche rapidissimamente. I famosi 2,9 miliardi di dollari si potrebbero trasformare in 1 milione (o anche meno) nel giro di ore.
Ma qui a farlo sarebbe addirittura il fondatore della società: probabilmente il valore scenderebbe ancora di più, molto di più, senza contare che immediatamente partirebbero controlli e eventuali sanzioni da parte della Securities and Exchange Commission (SEC).
La tesi della stampa internazionale non è logica, a meno di ritenere che Trump ignori del tutto come funzionano le borse.
Piattaforma contro la censura
Quindi? Forse un indizio viene da qui: il 16 aprile Trump Media Group ha annunciato il futuro lancio di una piattaforma televisiva in streaming, con addirittura un canale in diretta. Questi i contenuti, secondo il comunicato stampa:
Il contenuto in streaming si prevede che si concentri su programmi tv in diretta, compresi canali di notizie, emittenti religiose, contenuti adatti alle famiglie, tra cui film e documentari, e altri contenuti che sono stati cancellati, sono a rischio di cancellazione o sono soppressi su altre piattaforme e servizi.
Non basta: per portare a casa di tutti i programmi in modo efficiente, viene annunciata la creazione (già in atto) di una CDN, un’infrastruttura fisica di server di proprietà secondo il modello adottato ad esempio da DAZN per evitare i blocchi di immagine durante le partite di calcio (che gli appassionati di calcio ricordano bene). Il tutto – continua il comunicato – per “porre fine all’assalto dei Big Tech alla libertà di parola aprendo Internet e restituendo la voce alle persone, di fronte alla sempre più dura censura delle grandi aziende tecnologiche”.
È dunque ragionevole pensare che i soldi raccolti dalla società durante l’IPO vengano investiti in infrastrutture concrete per la creazione di un’alternativa classica (televisiva) a Fox News. Per Trump disporre di una tale sistema (rete televisiva, CDN e social network) sarebbe certamente più strategico che usare la DJT come salvadanaio personale.
Vedremo chi ha ragione. Resta il fatto che tutti noi che usiamo X non possiamo che produrre “tweet”, cinguettare. Mentre i fortunati su Truth Social non dicono che verità, per definizione: ogni messaggio è infatti chiamato un “truth”, una verità. Un bel vantaggio, indubbiamente.