Sarà capitato certamente a tutti di viaggiare per il nostro meraviglioso Paese e di restare esterrefatti dal deturpamento del panorama causato da selve di piccoli aerogeneratori installati negli scorci più pittoreschi senza alcun criterio né paesaggistico e né ingegneristico. Mucchi di piccole turbine eoliche, molto spesso di seconda e di terza mano, dislocate secondo configurazioni scriteriate, affastellate l’una sull’altra a rubarsi vicendevolmente fino all’ultimo alito di vento.
Sono certo che vi sarete chiesti anche voi, come capita a me ogni volta che mi si para davanti agli occhi questo spettacolo: “Come è potuto mai accadere che il Bel Paese sia stato così orrendamente sfregiato in maniera così impunita?”
La genesi dello scempio
La risposta al nostro inquietante interrogativo è da ricercarsi nelle scelte politiche compiute poco più di un decennio fa in nome della rampante “transizione green” e del concetto di “prosumer”, un trend topic molto in voga all’epoca, pessimo neologismo anglosassone che sta a indicare un “producer” che è anche “consumer”, cioè un piccolo produttore di energia rinnovabile a livello domestico che è al tempo stesso consumatore dell’energia che produce, in tutto o in parte.
Del resto, per promuovere l’agenda “green”, quale figura più bucolica ed eco-friendly potevano mai escogitare se non questo ipotetico abitante della campagna rispettoso dell’ambiente che possiede il suo bravo impianto fotovoltaico sul tetto di casa e il suo piccolo aerogeneratore nell’orto, appena appena sufficienti per il proprio sostentamento energetico? Il prosumer riassumeva in sé tutti gli elementi positivi buoni a spingere la narrazione: il ritorno alla terra e alle cose genuine di un tempo (salvo poi demonizzarle dieci anni più tardi), l’uso equo e solidale delle risorse rispettose dell’ambiente e l’eliminazione dei combustibili fossili. Un vero e proprio sogno ad occhi aperti!
Potevano quindi la sinistra e gli ambientalisti de noantri non cavalcare anche questa tigre di carta? Giammai! Ed ecco che, il 6 luglio 2012, l’ineffabile governo Monti regalò all’Italia la ciliegina del prosumer sulla torta degli incentivi alle rinnovabili.
Il prosumer
Cosa prevedeva il decreto ministeriale del 6 luglio 2012 messo in pista dall’allora superministro dello sviluppo economico, infrastrutture e trasporti Corrado Passera in concerto con il ministro dell’ambiente e tutela del territorio e del mare Corrado Clini? Due concetti fondamentali per quanto riguarda la regolamentazione dei prosumer: lo scambio sul posto e l’accesso diretto alle tariffe incentivanti.
- Lo scambio sul posto è il meccanismo che consente al prosumer di vendere o comprare energia attraverso il GSE (Gestore Servizi Energetici) a seconda se stia producendo di più o di meno di quanto sta consumando; in tale schema, il GSE diventa l’intermediario per la gestione dei flussi di energia e il garante del pagamento delle relative tariffe incentivanti.
- L’accesso diretto consente invece al prosumer di accedere alla tariffa incentivante piena messa a disposizione dal governo per l’anno in corso senza dover passare dalle aste online al ribasso che a ogni inizio anno il GSE organizza per l’aggiudicazione degli incentivi validi per tutto l’anno. Ad esempio, nel 2022, oltre al prezzo dell’energia stabilito dalle aste giornaliere, la tariffa incentivante per l’eolico è stata di 65 €/MWh e il risultato della relativa asta online è stato un ribasso medio del 2,1 per cento.
(Nota a margine: a quelli di voi che sono rimasti perplessi dall’esiguità del ribasso faccio osservare che i modi per aggirare di fatto simili ostacoli procedurali sono molteplici, come voi ben sapete…). Il limite superiore di potenza di targa di un aerogeneratore che permette l’accesso diretto è 60 kW.
Il frazionamento
Fin qui quindi tutto bene, direte voi, e in effetti è così, se non fosse che la legge non tiene conto della possibilità di essere aggirata mediante il cosiddetto “frazionamento”, un artificio catastale, contabile e societario di cui non conosco i meccanismi di dettaglio ma che ha consentito la nascita e la proliferazione di queste selve incontrollate di piccoli aerogeneratori.
A questo si aggiunge il fatto che per impianti di potenza complessiva inferiore ai 500 kW nominali non è richiesta la VIA (valutazione di impatto ambientale). Se infine si considera che la quasi totalità dei comuni fornisce corsie preferenziali alla valutazione di questi progetti e ritiene ammissibili perfino installazioni a distanze dalle abitazioni in deroga al requisito minimo dei 200 metri, il gioco è fatto.
Pertanto, sic rebus stantibus, se voi foste un investitore, cosa preferireste fare? Realizzare un impianto di grande taglia, moderno ed efficiente ma soggetto a valutazione di impatto ambientale – per avere la quale possono trascorrere anche degli anni – nonché alle forche caudine delle aste annuali al ribasso? Oppure, date le norme legislative in vigore e gli escamotage più o meno legali che è possibile mettere in campo, lanciarvi nell’installazione di una miriade di piccole e insulse macchinette che però richiedono adempimenti formali ridotti all’osso, nessuna valutazione di impatto ambientale e, soprattutto, l’accesso diretto alle tariffe incentivanti per il loro intero valore? La risposta è purtroppo sotto gli occhi di tutti.
Ecco quindi che un provvedimento legislativo che nasceva sotto i migliori auspici, ma nelle cui pieghe si nascondevano già i modi per aggirarlo, si è tramutato nel solito incubo green a discapito delle comunità locali esasperate e, cosa ancor peggiore, del patrimonio paesaggistico nazionale fatto a pezzi.
Il limite superiore di 60 kW imposto dalla normativa ha poi dato origine a due fenomeni del tutto imprevisti dal legislatore ed entrambi disastrosi: l’installazione di aerogeneratori obsoleti di seconda e di terza mano risalenti agli anni ’80 e ’90 e la nascita di una selva di avventurieri dell’eolico.
Aerogeneratori obsoleti
Il motivo dell’obsolescenza di gran parte del mini eolico installato è semplice: la piccola taglia era il top della tecnologia negli anni ’80 e ’90 ma da allora tutte le principali case costruttrici hanno fatto evolvere i loro modelli verso taglie sempre maggiori e mandato fuori produzione i modelli precedenti.
Pertanto, a fronte dell’esplosione intempestiva della domanda di mini eolico in Italia, una gran parte degli installatori nostrani non ha potuto fare di meglio che ricorrere a turbine eoliche usate provenienti per lo più dal Nord Europa e sottoposte, nel migliore dei casi, a un processo di revisione generale (sostituzione del moltiplicatore di giri e dei principali cuscinetti, revisione ed eventuale riavvolgimento del generatore elettrico, riparazione delle crepe nelle pale, riverniciatura, ricablatura dei quadri elettrici, ecc.).
Ma molto spesso effettuando solo attività di maquillage come, ad esempio, la rimozione della ruggine dalle strutture ferrose e la loro successiva riverniciatura. Del resto, un aerogeneratore di seconda o terza mano poteva costare anche solo il 10-20 per cento del prezzo del nuovo, sicché questa sembrava essere la classica operazione win win.
Il risultato è stato invadere l’Italia con gli scarti del Nord Europa e con le prestazioni di macchine di 30-40 anni fa, un po’ come acquistare un’automobile Euro 0 di trent’anni e usarla oggi sulle nostre strade. Bel risultato davvero, i miei più vivi complimenti a chi non aveva previsto questo esito disastroso!
Avventurieri senza scrupoli
La domanda crescente di mini eolico in Italia ha al tempo stesso fatto nascere come funghi gli avventurieri dell’eolico. Una serie di aziende, più o meno grandi, che, fiutato l’affare, si sono fiondate sul business improvvisandosi esperte del settore, magari scopiazzando vecchi progetti o raffazzonando improbabili configurazioni sulla base di componenti scelti in maniera poco accorta senza alcuna esperienza di base. Todos caballeros, insomma.
Pur senza voler drammatizzare più del necessario, la progettazione di un aerogeneratore richiede comunque conoscenze ingegneristiche specifiche che non si possono improvvisare da un giorno all’altro. Inoltre, a causa della cesura sull’eolico italiano che avvenne alla fine degli anni ’90 da parte dell’industria di Stato con relativa perdita di know-how, questi nuovi progettisti sono partiti con un gap di almeno vent’anni rispetto agli altri costruttori dei Paesi in cui questa perdita di know-how non c’è stata.
Il risultato, anche in questo caso, è sotto gli occhi di tutti: una miriade di questi piccoli aerogeneratori fuori servizio per danni significativi a parti fondamentali della macchina (mozzo, pale, generatore, ecc.), tutti guasti tipici della fase di immaturità tecnologica, un gigantesco gioco dell’oca nel patrimonio di conoscenze, altro segno tangibile della cesura di cui sopra.
Infine, anche i servizi a corredo delle forniture lasciano fortemente a desiderare, ad esempio, per ciò che riguarda la manutenzione delle macchine, non tanto quella ordinaria che è di solito inclusa nei contratti ma quella straordinaria in caso di guasti significativi. Il risultato è vedere selve di macchinette abbandonate a se stesse e inesorabilmente ferme ad libitum; insomma, l’incubo dei cimiteri di macchine eoliche.
L’ira delle comunità locali
La crescita impetuosa negli ultimi anni del mini eolico selvaggio è stata favorita anche da una miriade di amministrazioni comunali che hanno fatto letteralmente strame della cosa pubblica ad esse affidata e hanno approvato progetti immediatamente a ridosso dei centri abitati, in barba alle più elementari regole del vivere civile. Le inevitabili conseguenze di questa gestione scellerata non si sono fatte attendere: un po’ dappertutto dove sorgono queste installazioni selvagge e dove la gente non riesce più nemmeno a dormire per il rumore sono nati comitati cittadini che si prefiggono l’obiettivo di liberarsi di questi fastidiosi e pericolosi vicini di casa:
- Fastidiosi essenzialmente per il rumore generato, somma di tre componenti: il fruscìo di ciascuna delle tre pale quando passa in basso lungo la torre (effetto scia) che cresce d’intensità all’aumentare della velocità del vento e i rumori in navicella della pompa oleodinamica e del generatore. Mentre gli ultimi due sono abbastanza costanti, tanto da poter essere “cancellati” dal cervello con relativa facilità, è il rumore periodico delle pale che, tre volte al giro, nel silenzio della notte, moltiplicato per il numero di macchine in funzione, diventa davvero intollerabile. Al rumore si aggiunge poi l’impatto visivo di una selva di macchine che, seppur di piccola taglia, incombono sulle abitazioni con le loro torri alte almeno 20-30 metri ad appena 200 metri di distanza.
- Pericolosi perché le centrali mini eoliche sorte a distanza ravvicinata dai centri abitati mettono a repentaglio l’incolumità dei cittadini a causa di possibili nefaste conseguenze dei loro guasti. Ad esempio, non è infrequente, soprattutto per gli aerogeneratori meno affidabili, che essi “lancino le pale” durante la rotazione per sopraggiunto limite di rottura della giunzione tra la radice pala e il mozzo causato dal sottodimensionamento dei bulloni di giunzione o dalla rottura della fibra di vetro di cui è composta la pala stessa. In tal caso, un conto sono le conseguenze di un evento così estremo per una turbina installata in aperta campagna e un altro quelle per una turbina che si trova così pericolosamente vicina alle abitazioni.
A chi si è ritrovato un bel dì questi aerogeneratori praticamente sulla soglia di casa e cui tocca sopportare tutto questo da anni va la nostra più incondizionata solidarietà.
Sottoutilizzo della risorsa eolica
Ma tutto ciò che abbiamo visto finora, per quanto orribile, non è niente al confronto del fallimento di cui nessuno sembra voler mai parlare: se un dato territorio è per così dire “baciato dalla fortuna” in termini di risorsa eolica, ha cioè una velocità media annua del vento favorevole (tipicamente > 5 m/s misurata a 10 metri di altezza), disseminarlo di aerogeneratori di piccola taglia determina un sottoutilizzo significativo del suo potenziale eolico che resta quindi quasi del tutto inutilizzato.
Il motivo di ciò è legato al fatto che la velocità del vento cresce al crescere della quota dal suolo secondo un profilo di tipo logaritmico come nel seguente grafico:
Per esempio, la velocità del vento di 5 m/s misurata a 10 metri di altezza dal suolo aumenterà a mano a mano che si sale in quota raggiungendo a 26 metri il valore di 5,73 m/s e a 110 metri quello di 7,04 m/s. La spiegazione di questo fenomeno è alquanto complessa e richiede nozioni avanzate di fisica dell’atmosfera. Pertanto, non me ne vogliano gli esperti ma ci limiteremo a dire che questo è dovuto ai fenomeni di attrito che interessano gli strati d’aria a contatto col suolo che, a mano a mano che si sale in quota, scorrono via via sempre più liberi l’uno sull’altro.
Sicché, data una velocità del vento di 5 m/s misurata a 10 metri dal suolo, un aerogeneratore di piccola taglia il cui mozzo (il centro di rotazione delle pale) si trova a 26 metri “vedrà” una velocità del vento di 5,73 m/s mentre un aerogeneratore di grande taglia il cui mozzo è a 110 metri dal suolo ne “vedrà” una di 7,04 m/s.
Questo fatto spiega bene qualitativamente il motivo per cui un’area disseminata di aerogeneratori di piccola taglia vedrà sfruttata la propria risorsa eolica soltanto in minima parte rispetto alle sue potenzialità.
La comparazione
Noi però non ci accontentiamo di una mera analisi qualitativa ma vogliamo vedere numericamente quanto perdiamo con il mini eolico rispetto al mega eolico. Per fare questo confronto, prendiamo in considerazione due aerogeneratori, uno di piccola taglia e uno di grande taglia. Per facilità di reperimento dei dati, consideriamo una V19 Vestas di 60 kW nominali (fuori produzione) e una V90, sempre della Vestas, di 2 MW nominali. I dati salienti delle due macchine sono i seguenti:
V19
- velocità del vento di cut-in: 3 m/s
- velocità del vento nominale: 12,5 m/s
- velocità del vento di survival: 25 m/s
- potenza nominale: 60 kW @ 12,5 m/s
- diametro rotore: 19 m
- altezza torre: 24 m
- altezza mozzo: 26 m
V90
- velocità del vento di cut-in: 3 m/s
- velocità del vento nominale: 12,5 m/s
- velocità del vento di survival: 25 m/s
- potenza nominale: 2 MW @ 12,5 m/s
- diametro rotore: 90 m
- altezza torre: 105 m
- altezza mozzo: 110 m
Per la comparazione analizziamo due casi: confronto a parità di potenza nominale installata e confronto a parità di area occupata.
Confronto a parità di potenza nominale
Supponiamo di voler installare la stessa potenza nominale in entrambi i casi. Per fare conti pari, consideriamo una potenza installata complessiva di 6 MW, cioè il minimo comune multiplo tra le due potenze nominali in oggetto. Pertanto, dovremo installare cento V19 raffrontate con tre V90.
Tenendo conto della buona pratica ingegneristica di mantenere le macchine distanziate l’una dall’altra di almeno 5 diametri di rotore allo scopo di evitare che esse si disturbino vicendevolmente con le loro scie, la figura geometrica che minimizza l’area di installazione è quella esagonale a nido d’ape con gli aerogeneratori installati ai vari vertici.
Sviluppando questa configurazione, si dimostra che le cento V19 andranno ad impegnare un’area di circa 90 ettari mentre le tre V90 potranno essere disposte a triangolo equilatero impegnando un’area dieci volte inferiore, cioè 9 ettari.
Questo primo risultato ci dà immediatamente la misura della minore invasività degli aerogeneratori di grande taglia rispetto al mini eolico a parità di potenza nominale installata. Inoltre, il fatto di poter catturare venti sempre superiori fa sì che, a parità di potenza nominale installata, la resa energetica annua complessiva degli aerogeneratori di grande taglia sia sempre superiore di quella dei loro “fratelli minori”:
Ad esempio, per un sito caratterizzato da una velocità media annua del vento di 5 m/s, le cento macchine V19 produrranno in un anno complessivamente 12.300 MWh mentre le tre V90 ne produrranno 18.216, il 48 per cento in più.
Confronto a parità di area impegnata
Ma il confronto più impietoso si ha paragonando le rese energetiche a parità di area impegnata. Nel caso delle V19 abbiamo visto che le cento macchine sono disposte su un’area di 90 ettari. Ebbene, seguendo sempre le buone pratiche ingegneristiche, su 90 ettari potranno essere disposte a nido d’ape undici V90 per una potenza complessiva di 22 MW nominali. In tal caso:
Questo risultato è drammaticamente significativo e dà un’idea immediata di quanto una data area occupata da mini eolico sia sottoutilizzata in termini di sfruttamento del suo potenziale. Ad esempio, su un sito caratterizzato da una velocità media annua del vento di 5 m/s come nel caso precedente, le cento macchine V19 produrranno in un anno complessivamente 12.300 MWh mentre le undici V90 ne produrranno 66.792, cinque volte e mezzo o, se preferite, 54.492 MWh in più oppure ancora, se amate le variazioni percentuali, il 450 per cento in più.
Conclusioni
Da quanto abbiamo visto, l’esperienza di questi dieci anni di mini eolico ha sancito in maniera definitiva il naufragio dell’idea di prosumer come “buon cittadino”, lasciando invece il posto al vero volto di chi ha realmente approfittato di queste facilitazioni: una selva di avventurieri che se ne sono infischiati del buon senso, delle leggi vigenti e delle efficienze di sfruttamento della risorsa eolica, e hanno deturpato il paesaggio lasciando oggi per lo più cimiteri di macchine ferme ovunque.
L’attuale governo dovrebbe quindi fermare con effetto immediato il rilascio di ulteriori licenze per il mini eolico, costringere i proprietari delle centrali mini eoliche guaste o in disuso a provvedere a proprie spese al loro immediato decommissioning, incluso lo smantellamento delle fondazioni in cemento armato, e bloccare immediatamente le installazioni che sono poste a meno di 200 metri dalle abitazioni.
Ecco, questo sarebbe un bel segnale davvero ambientalista su cui si parrà la nobilitate del governo Meloni.