Lo scorso anno è avvenuto un miracolo: l’Argentina ha scelto Javier Milei, il primo presidente libertario della storia. Il fatto che un liberale (con la “e” finale, non un liberal) si affermi nell’agone politico è qualcosa di raro. A maggior ragione, la vittoria di un libertario anticonformista come Milei ha un significato prodigioso, in un’epoca dominata dall’onnipresenza dello Stato. Il successo dei liberali che “premono l’acceleratore” e si scoprono libertari, dunque, è possibile. Una notizia che riaccende la speranza dei freedom lovers.
Una rockstar ancap
Gli argentini hanno deciso di voltare pagina dopo decenni di politiche kirchneriste sposando le tesi favorevoli al libero mercato di Milei. Sembra l’inizio di una barzelletta: un professore universitario che esalta i classici della Scuola austriaca e varca la soglia della Casa Rosada, l’emblema del peronismo. Ma il neopresidente argentino non è un uomo qualsiasi. El Peluca, ribattezzato così per la sua folta chioma, è una rockstar ancap dall’indole combattiva. E sa unire il carisma travolgente alla formidabile padronanza delle leggi dell’economia.
Ospite fisso nei salotti televisivi e nei programmi radiofonici, l’outsider libertario è riuscito a distinguersi grazie all’efficacia con cui ha argomentato le sue teorie, raggiungendo in breve tempo una straordinaria popolarità. Le sferzate di Milei non risparmiano nessuno: dai “socialisti di tutti i partiti” (come li soprannominò Friedrich von Hayek) ai funzionari della Banca centrale, dai tifosi del welfare agli eco-talebani, dai marxisti che indottrinano nelle scuole ai burocrati, responsabili di aver condannato l’Argentina alla miseria, alla decadenza e all’impoverimento.
I germi del collettivismo
Milei ha contribuito alla rinascita del pensiero liberale argentino, che affonda le sue radici nei saggi di Juan Bautista Alberdi, il padre della Costituzione del 1853. Negli ultimi decenni questa sensibilità ha lasciato spazio a un nuovo dogma: la pianificazione dirigista, che si lega a doppio filo al controllo sulla vita degli individui. Fino al Secondo Dopoguerra l’Argentina poteva vantare un reddito medio pro capite tra i più alti al mondo insieme a Stati Uniti, Germania e Belgio.
Quando i germi del collettivismo si sono infiltrati nella nazione sudamericana, hanno reso irriconoscibile la mentalità dei suoi abitanti. In primo luogo, sono scomparsi – o, quantomeno, si sono affievoliti – lo spirito d’impresa e la propensione ai commerci. In secondo luogo, si è accentuata la patologia dell’invidia sociale, che ha persuaso i ceti meno abbienti a invocare l’intervento “salvifico” della casta come argine al “liberismo selvaggio”. Ne abbiamo visto i risultati, a dir poco disastrosi.
La terapia shock di Milei
Javier Milei ha ribadito la necessità di una terapia shock per risollevare l’economia. Ed è subito entrato in azione. Ha cominciato a falcidiare la spesa pubblica e i sussidi con la sua inarrestabile motosega. Si è focalizzato sullo snellimento dell’apparato amministrativo riducendo al grido di “Afuera!” il numero dei ministeri, passati da 18 a 8.
Il 5 luglio ha addirittura creato il dicastero per la deregolamentazione e la trasformazione dello Stato, volto a modernizzare il sistema produttivo incrementando la concorrenza e facendo tabula rasa degli ostacoli burocratici. Ha promosso un’ondata record di privatizzazioni per combattere i disservizi statali e ha incoraggiato gli investimenti stranieri per favorire la crescita.
Seguendo l’esempio di Panama, Ecuador, El Salvador e Guatemala, ha avviato l’iter per la dollarizzazione di Buenos Aires – una prospettiva auspicabile, se consideriamo che i cittadini usano già la valuta americana per i loro risparmi e le loro transazioni a causa del deprezzamento del peso. Sta provando ad abolire, tra mille resistenze, i privilegi accumulati dalla classe politica. Infine, punta a un obiettivo di primaria importanza: raggiungere il deficit zero.
La lotta all’inflazione
La ricetta anti-statalista di Milei sta funzionando. Nel primo trimestre del 2024 l’Argentina ha registrato un surplus di bilancio pari a 275 miliardi di pesos (intorno ai 300 milioni dollari), il primo avanzo finanziario dal 2008. Non era un traguardo lontanamente prevedibile, visto che Milei ha ricevuto in eredità una catastrofe. All’indomani del suo insediamento, il tasso d’inflazione mensile sfiorava il 25,5 per cento – un valore che equivale alla spaventosa cifra del 300 per cento annuo.
Il presidente argentino ha sciolto questo nodo gordiano rimodulando drasticamente il saldo primario (sceso del 35 per cento in termini reali rispetto al primo trimestre del 2023) e occupandosi di sei voci che hanno un impatto significativo sul bilancio federale: le prestazioni pensionistiche, i programmi di assistenza sociale, i salari, le spese in conto capitale, i trasferimenti alle province e i sussidi economici. Ciò ha reso possibile la lotta all’inflazione, cresciuta a dismisura durante la presidenza Fernández (che ha emesso una quantità di moneta pari al 13 per cento del Pil). I dati forniti dal ministro dell’economia, Luis Caputo, confermano l’inversione di rotta:
Lo spettro dell’iperinflazione è stato scongiurato in meno di un anno. Ad aprile l’inflazione è precipitata all’8,8 per cento. A giugno si attestava al 4,6 per cento; la terza settimana del mese è stata la prima senza un aumento dell’inflazione in oltre trent’anni. Ora Milei è pronto alla fase successiva: cancellare la tariffa doganale País, abbassare le tasse sui generi alimentari (carne bovina, ovina e suina, latticini, cereali) ed eliminare i dazi all’esportazione dei prodotti della filiera lattiero-casearia.
Il Pacto de Mayo
Altro capitolo degno di nota è la ratifica del Pacto de Mayo, un accordo proposto da Milei ai governatori delle 23 province argentine e al capo del governo della Città autonoma di Buenos Aires. Le linee guida del documento ridefiniscono i rapporti tra la presidenza e i governi locali sulla base del principio di sussidiarietà.
I punti programmatici rappresentano i cardini della piattaforma mileiana: l’inviolabilità della proprietà privata, l’equilibrio fiscale, la riduzione del debito pubblico al 25 per cento del Pil e l’apertura al commercio internazionale. Il Pacto è stato firmato a Córdoba il 9 luglio, giorno in cui si celebra l’indipendenza dell’Argentina.
Un provvedimento contestuale al Pacto de Mayo è l’abrogazione della legge sul controllo degli affitti, approvata nel 2020. I proprietari degli immobili erano sottoposti a obblighi di risoluzione iniqui, i contratti di locazione avevano una durata minima di tre anni e gli affitti venivano adeguati solo su base annuale. Queste regole hanno limitato la libertà di scelta dei locatori e dei potenziali acquirenti, generando molte distorsioni nel mercato immobiliare. Dopo aver disposto la rimozione della norma, la disponibilità di alloggi è aumentata di oltre il 195 per cento e i prezzi sono crollati.
La forza delle idee
Milei ha dimostrato la fallacia delle logiche redistributive, i pericoli del socialismo e le insidie che si celano dietro alla promessa di “più Stato”. Contrariamente a quanto affermano i media mainstream, non è un demagogo reazionario o uno spietato darwinista sociale, ma è un paladino della libertà contro la coercizione del governo.
La sua visione nasce dall’impianto concettuale dell’individualismo metodologico, che si ispira alla massima di Ludwig von Mises “solo l’individuo pensa, solo l’individuo ragiona, solo l’individuo agisce”. La coerenza cristallina del ragionamento mileiano ha fatto sì che gli argentini scoprissero (o, meglio, riscoprissero) alcune verità fondamentali.
Lo Stato non produce ricchezza, ma la distrugge drenando risorse dal settore privato. Regolamentare l’economia ostacola il conseguimento dei fini individuali e altera i meccanismi alla base dell’ordine spontaneo. Calmierare i prezzi non è mai la soluzione. I progressisti amano i poveri al punto tale che vorrebbero moltiplicarli. No hay plata: non esistono i soldi pubblici, ma i soldi dei contribuenti. Pensare di combattere la povertà stampando moneta (la strategia prediletta dai keynesiani) è come pensare di combattere la stupidità stampando diplomi.
La libertad avanza
L’Argentina sta vivendo una fioritura culturale senza precedenti. Se oggi le idee libertarie riscuotono un successo fuori dal comune, è anche merito degli studiosi vicini a El Peluca. Milei annovera tra i suoi consiglieri di fiducia due fuoriclasse dell’economia: Jesús Huerta de Soto e Alberto Benegas Lynch, che ha coniato una definizione del liberalismo da manuale: “Il rispetto del progetto di vita del prossimo basato sul principio di non aggressione in difesa della vita, della libertà e della proprietà”. Un’esaltazione della triade lockiana che riecheggia di frequente nei discorsi del presidente argentino.
Da un punto di vista filosofico, Milei sostiene di essere un libertario anarcocapitalista. Ma lui stesso ammette che la sfera ideale sia diversa dalla vita quotidiana. Perciò, quando scende dall’Empireo per toccare con mano la realtà, dichiara di apprezzare i fondamenti teorici del minarchismo – uno Stato minimo che si occupi solo di amministrare la giustizia e di difendere i propri confini dalle minacce esterne.
È questo il talento di Javier Milei: sa tradurre la sua vocazione intellettuale nell’esperienza concreta. Oggi ridimensiona i poteri del governo e chiude le agenzie insaziabilmente avide di denaro, come avrebbe voluto Robert Nozick. Domani, se le condizioni saranno più favorevoli, rispetterà il corollario di Murray Rothbard. In che modo? Aiutando lo Stato ad “autoimmolarsi”, facendolo uscire definitivamente di scena.
Con la rivoluzione libertaria di Javier Milei l’Argentina ha intrapreso la strada del progresso e dello sviluppo. ¡Viva la libertad, carajo!