Il sistema dei crediti carbonio, utilizzato da importanti aziende per proclamare il proprio impatto zero sull’ambiente, ha un grave problema.
Secondo un’interessante indagine a cura di Source Material, The Guardian e Die Zeit, pubblicata il 18 gennaio 2023, viene utilizzato dalle aziende che vendono i crediti in modo ingannevole, paradossalmente con effetti negativi sull’ambiente. Atlantico Quotidiano ha analizzato lo studio e cercato di capire se la cosa si applica anche al nostro Paese.
Un sistema che funziona all’inverso. Stiamo parlando del sistema dei crediti carbonio, ratificato dagli accordi di Kyoto. Un sistema che di fatto permette alle aziende di dichiarare la propria neutralità carbonio senza necessariamente modificare i propri metodi di produzione, ma continuando ad operare come di consueto.
Cos’è il sistema crediti carbonio
Partiamo da qualche definizione. Dal dizionario Collins: un credito carbonio è “un certificato che attesta che una società o un ente ha pagato affinché un certo quantitativo di diossido (o “biossido”) di carbonio sia rimosso dall’ambiente”. Sottolineiamo rimosso: un’azione esplicita.
Un’altra definizione riportata questa volta su Wikipedia è la seguente: “Un credito carbonio è un termine generico per attribuire un valore ad una riduzione o una compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra, generalmente equivalente ad una tonnellata di anidride carbonica equivalente”. In quest’altra definizione si parla invece di “compensazione”: nessuna azione specifica è necessaria (ma solo pagare qualcuno).
Colpa dell’uomo?
La concentrazione di Co2 nell’atmosfera viene in genere misurata in ppm, parti per milione. Nonostante “correlation is not causation”, Wikipedia italiana afferma quanto segue: “L’attuale concentrazione atmosferica di anidride carbonica in atmosfera si aggira attorno a 0,04 per cento (418 ppm) ed è cresciuta rispetto al livello pre-industriale, in cui era stabile a circa 0,03 per cento (280 ppm). L’aumento atmosferico di anidride carbonica è ascrivibile dunque alle attività umane”.
A noi verrebbe da dire invece “all’aumento spropositato della popolazione umana”, ma anche in questo caso si tratterebbe di correlazione e non necessariamente di rapporto causa-effetto.
Ma torniamo a noi. Le considerazioni sulla correlazione tra emissioni di Co2 e aumento delle temperature medie sono state già trattate questo mese su Atlantico Quotidiano. Assumiamo dunque, probabilmente senza sbagliare, che l’aumento del Co2 sia una cosa negativa. La logica direbbe di diminuirne le emissioni, oppure di assorbirlo e riconvertirlo (su quest’ultima possibilità, probabilmente la più interessante, torneremo presto).
“Crediti” per emettere Co2
Ma dopo Kyoto si è inventato un sistema differente: società private ed enti pubblici possono infatti continuare ad emettere Co2 ma al contempo “acquistare” crediti carbonio, finanziando di fatto società terze che operano – o dovrebbero operare – nel senso opposto, ad esempio piantando alberi.
Se la somma algebrica di un’azione negativa ed una positiva (per l’ambiente) è zero, l’azienda o ente può dichiarare di essere “carbon neutral”. E il punto è: secondo questa indagine si tratta di un’industria le cui affermazione appaiono sempre più “in contrasto con la realtà”.
Ecco l’inganno
Mentre infatti sembrerebbe logico che un “carbon credit” implichi un’azione positiva che diminuisca il tasso di Co2 nell’atmosfera – ad esempio, piantare in prima persona alberi o meglio ancora installare un sistema DAC (Direct Air Capture) – la realtà svelata da Source Material e The Guardian è che si finanziano società che affermano di proteggere parti di foresta che sarebbero “in pericolo di deforestazione”.
E qui sta il punto. “In pericolo di“, non “in procinto di”. In altre parole, secondo Source Material e The Guardian il business model di queste società si può riassumere con “ci pagate per proteggere una parte di foresta che noi affermiamo essere in pericolo di deforestazione”.
Ma che spesso non lo è affatto. Quindi si paga per lasciare le cose come sono, non certo per controbilanciare quanto si emette con azioni positive per il pianeta.
Infatti, afferma lo studio, la “metodologia che prova che effettivamente un certo numero di alberi è a rischio è in genere scritta da chi promuove il progetto”.
Un esempio
Facciamo un esempio ipotetico: andando ad esempio su subito.it potremmo decidere di acquistare un “appezzamento di terreno in contrada Conche” di 10.000 mq comprendente oltre 50 alberi con “piccola foresta annessa” (Fondo agricolo – Terreni e rustici, in vendita a Matera).
Creiamo allo scopo una società e affermiamo che se non l’avessimo acquistato noi, alberi e foresta sarebbero stati a rischio. Chissà, altrimenti il terreno avrebbero potuto acquistarlo Berlusconi, Trump o un altro palazzinaro…
Dimostriamo il tutto grazie ad un auditor da noi scelto e chiediamo ad una società di certificazione di apporre il suo bollino. Dopo un po’ di burocrazia con Verra potremo vendere i crediti carbonio, senza curarci della possibile produzione di olive e frutta. Abbiamo fatto qualcosa per l’ambiente? No di certo: ma probabilmente qualcosa di bene per le nostre finanze.
Il “sistema” Verra
Verra è la società accusata di essere al centro di questa pratica poco edificante, una non profit il cui nome originale è “Verified Carbon Standard Association”. Il documento di incorporation è firmato dal ceo David Antonioli (che secondo Linkedin parla anche italiano, e ci riserviamo di contattare a breve).
Il metodo utilizzato da Verra per calcolare la corrispondenza emissioni-crediti è illustrato in questo paper. Articolato in 182 pagine contiene formule quali la seguente:
Come potrete intuire, sembra fatto ad arte per evitare che gli scettici ci ficchino il naso: cerchiamo allora di decodificare questo riassunto fatto da The Guardian:
Se un’organizzazione stima che il proprio progetto eviterà la deforestazione di 100 ettari di foresta, potrà usare la formula approvata da Verra ottenendo il potenziale di vendere 40.000 certificati di Co2-equivalenti.
Quanto vale un credito?
Il Guardian non ci dice il periodo corrispondente (un anno?) né il dato essenziale di quanto questo possa essere fatturato. Ma quanto vale un credito? Comprendiamo perché il dato non sia fornito: il suo valore non è certamente chiaro, trasparente e da tutti verificabile quanto il valore, per dire, del titolo Apple sul Nasdaq.
Riportiamo qui, più a titolo di curiosità che altro, una tabella piuttosto stagionata trovata in rete, sulla quale non metteremmo affatto la mano sul fuoco, espressa in dollari per “Metric tons of carbon dioxide equivalent”.
Progetti di Verra in Italia
Dobbiamo ora dire che il sito di Verra ha alcuni aspetti che valutiamo positivamente. Al fine della trasparenza la società mette in linea un database delle attività in essere, sia quelle future (in pipeline) che quelle attuali e realizzate, disponibile a questa Verra Landing page.
Troviamo anche qualche esempio di progetti italiani in pipeline. Ad esempio, “Rimboschimento della società agricola Gaia” di Cosenza. Un progetto di 62 ettari.
Essendo di origini milanesi il concetto di ettari ci è ostile, convertiamolo dunque in chilometri quadrati. Un ettaro corrisponde a 0,01 km2. Pertanto il progetto di Gaia riguarda 0,62 km2 o, come chiarisce Wolfram Alpha, 1,4 volte la superficie della Stato della Città del Vaticano.
Un altro progetto è situato in provincia di Alessandria (anche se nella mappa viene poi indicato a sud di Lodi) e riguarda una superficie di 83 “ettari”. Poca cosa rispetto alle superfici dei progetti in Amazzonia, che a volte superano i 5.000 ettari.
Sempre lato positivo, dobbiamo poi dire che Verra ha registrato anche progetti di natura differente, per nulla discussi nel documento di The Guardian (e negli articoli italiani). Abbiamo trovato veri e propri progetti di “afforestazione” (dove vengono effettivamente piantati alberi) e numerosi progetti di conversione dei forni per la produzione di ceramica da “legno da aree differenti da quelle con attività di riforestazione” (qualunque cosa questo significhi) a “biomasse rinnovabili” (qualunque cosa anche questo significhi).
Il 6 per cento
Per terminare, torniamo alla visione globale e alle conclusioni della ricerca. Secondo Source Material, “Our analysis suggests that only 5.5 million of those credits, or 6 per cent of the total, were real emission reductions. Of the 29 projects, only eight reduced any emissions at all”.
Il 94 per cento di progetti inutili o dannosi. In altre parole, il team di scienziati che ha analizzato ed effettuato verifiche incrociate sui dati di Verra afferma che solo il 6 per cento dei crediti emessi corrisponde a progetti che effettivamente riducono la quantità di emissioni di Co2.
O anche, se preferite, la gran parte dei soldi spesi da Disney, United Airlines, Air France, Samsung, Liverpool Football Club, Ben & Jerry’s, Netflix e Chevron per acquistare i crediti sarebbero stati meglio utilizzati abbassando i propri prezzi ai consumatori finali.
A noi pare dunque si tratti di una semi truffa ordita da qualche bell’anima ambientalista (o che usa la scusa dell’ambientalismo) che – schermata da studi illeggibili e formule ostili – inganna aziende desiderose di fare l’interesse “del pianeta” e diminuire il proprio impatto ambientale. O magari – a pensar male – aziende per nulla interessate ad approfondire un meccanismo intricato, ma solo motivate a “vendere” ai propri clienti l’idea di acquistare prodotti “a impatto zero”.