L’insostenibile fardello delle pompe di calore: un altro flop green?

La direttiva “Casa Green” vieta le caldaie a gas dal 2040. Facciamo i conti della serva che i fanatici della setta “transizione green” non sanno o non vogliono fare

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case green unione europea

Come tutti voi probabilmente sapete, una delle azioni a supporto della cosiddetta “transizione green” che gli adepti della setta del cambiamento climatico di origine antropica sostengono essere imprescindibile per la salvezza del pianeta e che – manco a dirlo – l’Ue ha fatto propria sotto forma di direttiva, è il divieto di vendita e installazione delle caldaie a gas per il riscaldamento a partire dal 2040.

È quanto previsto nell’ultima revisione della cosiddetta “Direttiva case green” che, nella sua prima formulazione, fissava l’anno zero addirittura al 2029. Poi, vuoi per le imminenti elezioni europee, vuoi per la confusione ideologica sui temi tecnologici che da sempre regna sovrana a Bruxelles e a Strasburgo, vuoi per le lotte di potere che da sempre dilaniano la più squinternata unione di nazioni della storia, lo scorso dicembre quel limite è stato spostato undici anni in avanti.

Ma qual è il motivo a supporto del divieto delle caldaie a gas? È sempre lo stesso credo antiscientifico secondo cui un aumento di concentrazione della CO2 in atmosfera provocherebbe, a detta degli adepti del clima-catastrofismo, un aumento del riscaldamento globale, cosa che abbiamo di recente confutato proprio dalle colonne di questa stessa testata.

La combustione del metano provoca in effetti la formazione di CO2 secondo la ben nota formula stechiometrica:

CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O

Ecco perché, in ossequio al dogma del cambiamento climatico di origine antropica, l’Ue sta spingendo da anni verso l’incentivazione di sistemi alternativi alle caldaie a gas, primo tra tutti le pompe di calore.

Come funziona una pompa di calore

Ed ecco quindi che un onesto e, tutto sommato, ingegnoso concetto tecnologico come quello delle pompe di calore, si ritrova per motivi ideologici “tirato per la giacchetta” e finisce col diventare un totem “green” che, come vedremo, implementato su vasta scala sarebbe insostenibile sia dal punto di vista dei costi che della compatibilità ambientale e, cosa ancor più grave, metterebbe a repentaglio la sicurezza energetica nazionale. Ma procediamo con ordine e vediamo innanzitutto cosa sono le pompe di calore.

Per usare subito una similitudine che, spero, possa servire a rendere immediatamente l’idea, una pompa di calore è l’equivalente termotecnico del trasformatore di tensione dell’elettrotecnica. Infatti, in regime di corrente alternata sinusoidale, un trasformatore trasforma una certa potenza elettrica in ingresso, caratterizzata da una certa tensione e da una certa corrente, in una stessa potenza elettrica in uscita – a meno delle inevitabili perdite in calore – caratterizzata però da un’altra corrente e un’altra tensione. Il trasformatore elettrico è quindi una sorta di “scatola nera” dentro cui introduciamo una certa potenza elettrica con certe caratteristiche e da cui tiriamo fuori la stessa potenza elettrica (a meno delle perdite) con certe altre caratteristiche.

Ebbene, la pompa di calore fa con il calore più o meno la stessa cosa: preleva dall’ambiente esterno una certa potenza termica caratterizzata da una bassa temperatura e la trasforma – a meno delle perdite termodinamiche – nella stessa potenza termica ad alta temperatura, quindi utilizzabile per riscaldare un ambiente chiuso.

Il contrario di un frigorifero

Voi mi direte: “Ma dove lo prende il calore se d’inverno fuori si gela?” e allora io vi ricordo che ogni corpo che si trovi a una temperatura diversa dallo zero assoluto (-273,16 °C) possiede al suo interno un certo calore dato da:

Q = m ∙ c ∙ T

Essendo:

Q: calore associato a un corpo

m: massa del corpo

c: calore specifico del corpo

T: temperatura del corpo nella scala assoluta (Kelvin)

Facciamo un esempio: supponiamo di avere un pezzo di basalto di massa 1.000 kg posto alla temperatura di -2 °C. In tal caso:

m: 1.000 kg

c: 840 J/kg/K – calore specifico del basalto

T: 271,16 K – temperatura assoluta in K corrispondente a -2 °C

E il calore associato a quel masso sarà:

Q = 1.000 ∙ 840 ∙ 271,16 = 227.774.400 J = 63,27 kWhth

Chi l’avrebbe mai detto che un sasso così freddo potesse contenere tutta questa energia termica! Sfruttarla sembrerebbe quindi l’uovo di Colombo. Ovviamente, lo stesso vale per qualunque solido, liquido o aeriforme.

In realtà, il problema è che purtroppo il calore transita in maniera naturale sempre e solo da un corpo più caldo a un corpo più freddo e mai viceversa. Questo deriva dalla natura statistica del secondo principio della termodinamica che, seppur non escludendo il caso teorico in cui invece possa avvenire il contrario, cioè che il calore possa transitare in maniera naturale da un corpo più freddo a uno più caldo, assegna a questo evento una probabilità così piccola da renderlo praticamente irrealizzabile.

Tornando al nostro sasso, come potremmo prelevare almeno una parte del suo calore? Mettendolo a contatto con un corpo ancora più freddo a cui esso possa cedere calore alla sua temperatura. Per far questo, si usa un fluido il cui punto di evaporazione è molto basso, tipicamente -12 °C, che, espandendosi, riduce la sua temperatura per il cosiddetto effetto Joule-Thomson, la legge fisica secondo cui i gas aumentano o riducono la loro temperatura in seguito a una compressione o a un’espansione senza l’apporto di energia esterna.

In tal modo, il fluido sottrae una parte del calore del sasso in ragione proporzionale al salto termico, alla massa del fluido espanso e al suo calore specifico, calore che farà al tempo stesso evaporare completamente il fluido portandolo allo stato gassoso.

A questo punto, il fluido allo stato gassoso viene compresso mediante un compressore azionato da un motore elettrico che ne fa innalzare la temperatura sempre per effetto Joule-Thomson; dopodiché, esso viene fatto passare in un gruppo condensatore/scambiatore di calore dove cede il calore catturato all’esterno e ritorna allo stato liquido a bassa temperatura. Il calore assorbito dallo scambiatore di calore è invece ad alta temperatura e idoneo quindi per riscaldare l’ambiente.

Il ciclo si ripete poi indefinitamente a circuito chiuso mediante una serpentina del tutto simile a quella di un frigorifero. Ecco: la pompa di calore è il “contrario” di un frigorifero. Nella realtà, il fluido preleva il calore esterno generalmente dall’aria, anche se esistono dispositivi che possono sottrarre il calore da altre fonti, ad esempio una sorgente geotermica o anche una falda acquifera.

Limite intrinseco

Che succede invece nel caso in cui la temperatura esterna si avvicini via via al valore di -12 °C, cioè la temperatura di evaporazione del fluido di trasporto? Succede che il calore prelevato dall’esterno si riduce sempre più a mano a mano che la temperatura esterna scende, fino ad azzerarsi del tutto per temperature esterne minori o uguali a -12 °C.

Ecco quindi un primo limite delle pompe di calore: con temperature invernali al di sotto dei -12 °C esse cessano del tutto di funzionare. Per questo motivo, nei Paesi nordici si usano fluidi di trasporto che hanno un punto di evaporazione più basso dei -12 °C e che può arrivare fino a -50 °C, i quali tuttavia sono di gran lunga più costosi e fanno lievitare ulteriormente il costo della pompa di calore.

Le prestazioni

L’energia elettrica necessaria per azionare il compressore e tutti gli altri dispositivi di bordo della pompa di calore, insieme alla bontà degli scambiatori di calore di bordo danno una misura della sua efficienza. A tal proposito, si definisce “coefficiente di prestazione” COP (Coefficient Of Performance) il rapporto tra l’energia termica diffusa nell’ambiente da riscaldare e l’energia elettrica necessaria per il suo funzionamento.

Per dispositivi in classe di efficienza “A”, questo valore può arrivare in condizioni standard a valori superiori a 3,6, tipicamente fino a 3,8 e anche più. Ciò significa che la pompa di calore riscalderà l’ambiente con una potenza termica 3,8 volte la potenza elettrica impiegata, il che ovviamente non vìola i principi della termodinamica poiché la pompa di calore non è un sistema chiuso, dal momento che essa preleva l’energia termica dall’ambiente esterno.

Il COP si riduce sempre più a mano a mano che la temperatura esterna scende al di sotto dei +4 / +5 °C, temperature ottimali per il funzionamento, fino ad azzerarsi del tutto per temperature minori o uguali a -12 °C. In Italia possiamo ragionevolmente supporre che il COP si mantenga sempre intorno al 3,6 per le pompe di calore in classe “A”, valore che assumeremo quindi valido per i nostri calcoli di seguito.

La pompa di calore è conveniente?

Una volta chiarito il principio di funzionamento, vediamo adesso se, alle condizioni di mercato attuali, installare una pompa di calore in sostituzione di una caldaia a metano rappresenti un risparmio economico o meno. Per fare un conto che sia conservativo, supponiamo di vivere in alta collina in un appartamento di 100 m2 da dover riscaldare in inverno. L’esperienza suggerisce che occorrano, vuoto per pieno, circa 1.500 m3 di metano l’anno per il solo riscaldamento domestico lungo i 180 giorni di accensione previsti dalla normativa vigente.

Tenendo conto che il potere calorifico del metano è all’incirca 10 kWhth/m3 e che una buona caldaia a metano può arrivare a rendimenti anche del 90 per cento, ciò equivale a dire che ogni anno occorrerà fare affidamento su:

1.500[m3] ∙ 10[kWhth/m3] ∙ 0,90 = 13.500 kWhth/anno

Questi stessi kWh termici li possiamo ottenere con una pompa di calore che abbia un COP medio pari a 3,6 che assorbirà dalla rete elettrica 13.500 / 3,6 = 3.750 kWhel/anno. Considerando l’accensione per 10 ore al giorno per ciascuno dei 180 giorni previsti dalle normative, ciò equivarrà a dover impegnare una potenza elettrica media della propria rete domestica di:

3.750 / 180 / 10 = 2,1 kWel

Qui nasce già il primo problema: se avete un allaccio da 3 kW, i due terzi della potenza dovranno essere riservati alla pompa di calore, in inverno come riscaldamento e in estate come condizionamento (se opterete per un dispositivo bidirezionale). Ciò equivale a dire che non potreste più utilizzare in contemporanea altri elettrodomestici energivori come forno, lavastoviglie, lavatrice, asciugatrice o phon, a meno che non decidiate di portare la potenza contrattuale a 6 kW. Questo vi costerà però mediamente un aggravio di circa 70 euro/anno a titolo di differenza di canone del contatore.

Il costo di una pompa di calore da 15 kWth necessaria per gestire il riscaldamento di un appartamento di 100 m2 si aggira oggi intorno agli 8.500 euro oltre i costi di installazione che possono variare molto in funzione delle caratteristiche dei locali ma che mediamente possiamo stimare ottimisticamente che si aggirino intorno ai 1.500 euro, per un totale “chiavi in mano” di 10.000 euro.

Confronto dei costi

Quanto ai costi, con la caldaia a gas i 1.500 m3 l’anno di metano ci costerebbero (ai costi di dicembre 2023 – 1,026 euro/m3 “all in”) 1.539 euro mentre i 3.750 kWh elettrici (sempre ai prezzi di dicembre 2023 – 27 cent/kWh “all in”) 1.012 euro, con un risparmio di 527 euro da cui dovremo decurtare l’aggravio dei 70 euro/anno di canone per i 6 kW. Inoltre, a questi vanno sottratti i maggiori costi di manutenzione che, trattandosi di un dispositivo più sofisticato di una semplice caldaia, sono circa il doppio di quelli necessari per manutenere quest’ultima: 200 euro/anno contro i 100 euro/anno di una caldaia. Sicché, il risparmio finale effettivo si aggira intorno ai 357 euro/anno.

Ragionando alla buona senza considerazioni troppo sofisticate di natura finanziaria, nell’ipotesi di doverci sobbarcare l’intero onere della sostituzione, l’investimento iniziale di 10.000 euro si ripagherebbe quindi in 10.000 / 357 = 28 anni, cioè non si ripagherebbe mai, tenendo conto che la vita di impianto non eccede quasi mai i 20 anni.

Nell’ipotesi invece di poter usufruire degli incentivi statali, il cosiddetto “ecobonus” che copre il 65 percento dei costi sotto forma di credito d’imposta spalmato su 10 anni di esercizio, il vostro investimento si ripagherebbe in 0,35 ∙ 10.000 / 357 = 10 anni circa, appena sufficienti per poter godere di un risparmio effettivo per qualche anno a venire dopo i primi 10. Resta tuttavia il fatto che l’investimento complessivo – perché gli incentivi statali sono soldi di tutti i contribuenti e non cadono dal cielo – resta in perdita.

Inoltre, ricordiamo che abbiamo basato i nostri conti sui fabbisogni di un appartamento di 100 m2 situato in alta collina, con quanto ne consegue in termini di fabbisogno di calore in inverno. In realtà, considerando appartamenti di minore metratura situati a quote più basse, se non proprio al livello del mare, il risparmio dato dalla pompa di calore si assottiglia sempre di più, rendendo quindi l’installazione in perdita anche con gli incentivi statali.

Almeno salvano l’ambiente?

“Ma – direte voi – con le pompe di calore salviamo l’ambiente!” Non vorrei dover essere sempre io a darvi le brutte notizie ma è sempre meglio un’amara verità che una pietosa bugia. Allora, in che cosa pensate che le pompe di calore salvino l’ambiente? Emettendo meno CO2? Sapete che la teoria secondo la quale a un aumento di concentrazione della CO2 in atmosfera corrisponda un aumento della temperatura media globale è destituita di ogni fondamento scientifico, vero? Lo abbiamo visto insieme proprio due settimane fa.

Ma, se proprio siete anche voi degli irriducibili clima-catastrofisti, vi dimostro che il risparmio in termini di emissioni di CO2 derivante dall’adozione delle pompe di calore è irrisorio. A tal fine, facciamoci due conti della serva e calcoliamo quanta CO2 viene emessa con una caldaia a gas e quanta invece con una pompa di calore.

Riprendiamo l’equazione della combustione del metano dalla quale si evince che una molecola di metano dà origine a una molecola di CO2, il che equivale a dire che la combustione di una mole di metano dà origine a una mole di CO2. Poiché 1 m3 di metano contiene circa 44 moli, ciò vorrà dire che da 1 m3 di metano si origineranno 44 moli di CO2. Sapendo che una mole di anidride carbonica pesa 44 grammi, 1 m3 di metano darà quindi origine stechiometricamente a 44 ∙ 44 = 1,936 kgCO2. In realtà, la combustione non avviene mai in maniera perfettamente stechiometrica e la produzione effettiva di CO2 si attesta intorno agli 1,8 kgCO2/m3. I nostri 1.500 m3 annui di metano produrranno quindi 1.500 ∙ 1,8 = 2,7 tonnellate di CO2.

Quanta CO2 verrà invece emessa dai 3.750 kWh di energia elettrica utilizzati dalla pompa di calore? Il mix energetico italiano (dati GSE) è costituito per il 53,93 percento da fonti non rinnovabili, il cui “residual mix”, come calcolato dalla AIB (Association of Issuing Bodies), vale 0,457 kgCO2/kWh. Pertanto, dei 3.750 kWh di energia elettrica consumata ogni anno da una pompa di calore per il riscaldamento domestico, 0,5393 ∙ 3.750 = 2.022 saranno stati prodotti da fonti fossili che daranno origine a 2.022 ∙ 0,457 = 0,9 tonnellate di CO2.

Il risparmio apparente nelle emissioni di CO2 adottando le pompe di calore è pertanto pari a 1,8 tonnellate annue. Tuttavia, tenendo conto delle emissioni di CO2 causate dalla costruzione di una nuova pompa di calore (circa 8 tonnellate di CO2, rif.: LCA pompa di calore Daikin Altherma 3 R 180L) e supponendo di spalmarle sui 20 anni di vita dell’impianto, allora il risparmio si riduce a sole 1,4 tonnellate di CO2 l’anno.

Sapendo che il consumo complessivo annuo italiano di metano per riscaldamento si aggira intorno ai 23 miliardi di m3, mediante una proporzione calcoliamo il risparmio di emissioni di CO2 ottenibile mediante la sostituzione completa del metano con le pompe di calore:

23.000.000.000[m3] : 1.500[m3] = x[tonCO2] : 1,4[tonCO2]

Da cui si desume che il risparmio di CO2 complessivo varrebbe circa 21,46 milioni di tonnellate l’anno, pari a poco meno del 6 percento del totale delle emissioni italiane (360 milioni di tonnellate annue).

Pertanto, cari i miei irriducibili fan della “CO2 origine di tutti i mali del pianeta”, l’impatto in termini di riduzione delle emissioni di CO2 dell’adozione massiva di pompe di calore al posto delle caldaie a metano tradizionali è del tutto trascurabile.

Aumento del fabbisogno elettrico

Ciò che invece i fan della cosiddetta “transizione green” non sanno o, se lo sanno, non ci tengono affatto a rendere pubblico è che la sostituzione integrale delle caldaie tradizionali con i sistemi basati sulle pompe di calore farebbe aumentare vertiginosamente i consumi elettrici, determinabili mediante la proporzione:

1.500[m3] : 3.750[kWh] = 23.000.000.000[m3] : x[kWh]

Da cui si ricava che tale fabbisogno varrebbe 57,5 miliardi di kWh/anno, cioè 57,5 TWh/anno, il 18 per cento in più dei consumi nazionali di energia elettrica, corrispondenti a una potenza media aggiuntiva durante le 10 ore giornaliere di utilizzo delle pompe di calore nei 180 giorni previsti dalle normative vigenti di 32 GW, il 65 per cento in più della potenza di picco transitante sulla rete elettrica nazionale.

Anche ammettendo che l’infrastruttura di rete esistente fosse in grado di sopportare il sovraccarico – cosa tutt’altro che scontata – ciò creerebbe comunque enormi problemi in fatto di generazione e/o approvvigionamento dell’energia aggiuntiva, un cul-de-sac insopportabile poiché originato da un falso problema ambientalistico.

Conclusioni

Tirando le somme di questa nostra chiacchierata, possiamo concludere che la tecnologia basata sulle pompe di calore è senz’altro ingegnosa e che, in determinati ambiti applicativi, essa sia soluzione efficace e spesso l’unica in grado di rispondere a determinati requisiti.

Tuttavia, possiamo al tempo stesso senz’altro affermare che il suo impiego indiscriminato sarebbe esiziale per la stabilità della rete elettrica nazionale, inutile sotto l’aspetto ambientale e un flop persino dal punto di vista dell’asserita riduzione delle emissioni di CO2, posto che non ci stancheremo mai di ripetere che in nessuna circostanza queste ultime rappresentino una qualsivoglia minaccia per l’ambiente.

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