Economia

Milano no, Pechino sì: il cortocircuito del governo che apre alle auto cinesi

Il ministro Urso riesce a impedire che la nuova Alfa si chiami “Milano”, poi chiama Dongfeng a produrre auto elettriche in Italia. Così si difende il made in Italy?

Gran Torino auto Dal film "Gran Torino"

Non vedremo circolare sulle strade europee un Suv Alfa Romeo chiamato “Milano”, ma prodotto in Polonia. Si chiamerà, in modo meno pretenzioso e più anonimo, “Junior”. In compenso, vedremo probabilmente circolare l’utilitaria elettrica “Pechino”, o la berlina di lusso “Xi”.

Mentre infatti il ministro Adolfo Urso esprimeva soddisfazione per essere riuscito ad evitare che un’auto prodotta da Stellantis in Polonia portasse il nome di una grande città italiana – ma non si vede come ciò possa favorire la produzione di auto nel nostro Paese – leggevamo su Bloomberg, grazie a Daniele Lepido, che il colosso automobilistico cinese Dongfeng ha avviato colloqui preliminari con il governo italiano per produrre più di 100 mila vetture in Italia, un progetto che trasformerebbe il nostro Paese in uno degli hub di produzione europei di Dongfeng. Questo sì che rimette in piedi il settore automotive italiano!

Chissà se il governo Meloni ha già introdotto nei colloqui con Dongfeng il tema dei nomi da dare ai suoi modelli “italiani”. È più italiana una macchina cinese prodotta in Italia, o un’Alfa Romeo prodotta da una multinazionale in Polonia? Ai posteri l’ardua sentenza. Noi ci limitiamo a poche osservazioni.

Come si difende la produzione italiana, il molto citato ma poco concretamente tutelato “made in Italy”? Come si riportano nel nostro Paese le produzioni e i posti di lavoro delocalizzati in Cina, Sud-Est Asiatico ed Est Europa?

Certo non a colpi di sussidi, che non possiamo permetterci e che introducono pericolose distorsioni nel mercato, né brandendo crociate nazionalistiche per ottenere che un marchio modifichi il nome di un modello di auto non prodotto in Italia.

Il made in Italy si difende certamente contrastando le pratiche commerciali scorrette come l’Italian sounding, ma il caso del Suv prodotto in Polonia che l’Alfa Romeo voleva chiamare “Milano” non è paragonabile al Parmesan.

Nominare il Suv “Milano” aveva certamente una logica commerciale, ma era anche un tributo all’italianità e alla storia che fu dell’industria automotive italiana. Come nel caso della famosa “Gran Torino”, nome scelto da Ford in onore di quella che allora era la Detroit d’Italia. Se non abbiamo più una o più Detroit in Italia, non è certo perché Ford chiamò quella macchina Gran Torino. Semmai, la richiesta a Stellantis doveva essere che la nuova Alfa Romeo si chiamasse “Gran Milano”.

L’industria italiana, il made in Italy, si difendono innanzitutto ristabilendo nel nostro Paese un ambiente favorevole all’impresa dal punto di vista fiscale, burocratico e infrastrutturale, di “sistema”, come si usa dire. Poi viene il resto. Certo, siamo in un Continente che si sta deliberatamente e ostinatamente dirigendo nella direzione esattamente opposta, quella della deindustralizzazione, come conseguenza delle politiche climatiche, ma dovremmo cercare almeno di non metterci del nostro.

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