Due discorsi a distanza di appena un giorno l’uno dall’altro, rivelano due sistemi diversissimi, quasi opposti: cosa sta diventando l’Argentina e cosa è diventata l’Ue. Il primo discorso è quello del 9 dicembre di Mario Draghi, che ha ricevuto il premio Ispi (Istituto Studi Politica Internazionale) ed ha colto l’occasione per esporre la sua visione dell’economia e dell’Europa. Il secondo è quello di Javier Milei, presidente dell’Argentina eletto nel 2023, che il 10 dicembre ha celebrato il suo primo difficile anno di guida di un Paese ridotto sul lastrico da ottant’anni di peronismo quasi ininterrotto.
Il banchiere e l’economista libertario
Significative anche le differenze di status: Draghi è un banchiere, un tecnico, non ha incarichi politici nell’Ue, se non quella di super-consulente per Ursula von der Leyen, non ha mai fatto campagne elettorali, mai stato eletto. Javier Milei, al contrario, è responsabile in prima persona di quel che accade in Argentina, nel bene e nel male, è partito da zero come economista libertario e personaggio polemico dei talk show, per poi costruire un popolo maggioritario che lo ha seguito ed eletto contro tutte le previsioni.
Per Milei, in questo anno in Argentina “ha vinto il bene, la punizione per i criminali, la nostra capacità di disinnescare la bomba dell’inflazione ereditata dai governi precedenti, il deficit zero e la guerra con la casta, l’onore delle forze armate, la libertà, le idee democratiche, i social network e le nuove tecnologie”. Per Draghi: “Quando si fanno le cose bisogna essere ottimisti, se si è pessimisti si sta a casa. Da un leader la gente vuole che abbia competenza e visione, che sappia immaginare il futuro e avere la capacità di realizzarlo. Ma da un leader politico vuole di più: che sappia portare con sé il resto del Paese”.
Meno stato vs più stato
Tutti e due partono da un approccio vincente e ottimistico sul futuro, ma intendono due cose opposte. Milei ha ereditato un Paese con la metà della popolazione in povertà relativa e un decimo in povertà assoluta. Ha però combattuto l’inflazione e sta portandola sotto controllo, con una politica monetaria estremamente restrittiva, accompagnata anche da tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni.
Draghi ha ereditato la Banca Centrale Europea in un momento di crisi di un gigante economico mondiale e ha cercato di risolverla con la filosofia del “whatever it takes”: mano alla stampante monetaria e aumento della liquidità in circolazione. Soldi facili e spesa pubblica, in perfetto stile keynesiano (anche se Keynes stesso avrebbe avuto molto da ridire…).
Milei sa che il motore del progresso parte quando lo Stato si ritira. Per cui la politica che segue è quella dei tagli. La motosega è il suo simbolo, sin dalla sua pittoresca campagna elettorale. “Quest’anno avete già conosciuto la motosega, ma ora arriverà una motosega profonda”. Milei avvierà controlli “su tutte le spese dello Stato, perché ci siamo abituati ad uno Stato che si fa carico di tutto”. Invece. “Più piccolo è lo Stato, maggiore è la libertà”, ha affermato.
Per Draghi, invece, non c’è abbastanza Stato. Sebbene viviamo nel Paese in cui ce n’è di più, anche secondo gli standard europei, l’ex banchiere centrale vuole di nuovo la pianificazione, anche se non osa ancora chiamarla col suo nome: “L’Europa deve realizzare e ripensare la propria politica industriale, parola che fino a qualche anno fa era un tabù”. Dice e allude proprio ai liberali, che secondo lui avrebbero ostracizzato questo concetto (chissà perché…). Oggi, al contrario: “Ora quel mondo (liberale, ndr) è finito. Ci sarà sempre più l’intervento dello Stato e sempre più politica industriale”.
Mercato libero vs mercato unico
Sul commercio, sia Milei che Draghi si trovano, teoricamente, dalla stessa parte della barricata: “Stiamo portando avanti una proposta per eliminare i dazi che rendono più cara la vita di tutti”, ha detto Milei, il quale vuole “aumentare il numero di Paesi che compongono oggi il Mercosur”, l’area economica dei principali paesi dell’America latina. “Vogliamo promuovere un accordo di libero commercio con gli Usa”, così che l’Argentina “smetta di dare le spalle al mondo. Non c’è prosperità senza commercio, non c’è commercio senza libertà”.
Per Draghi, l’Europa “è particolarmente esposta” al pericolo dei dazi, soprattutto se Trump, appena insediato, manterrà la promessa di imporre tariffe alle merci Ue. Per il banchiere italiano, “il mercato unico, di fatto, oggi non c’è e le barriere tra nostri Stati sono più alte. Ma il mercato unico è fondamentale per crescita e produttività”.
Ma attenzione, però. Milei intende il commercio libero come… libero. Dunque un mercato con meno regole e meno barriere (monetarie e regolamentari). Draghi invece parla di mercato “unico” e non è la stessa cosa: mercato unico vuol dire anche imposizione degli stessi standard, delle stesse norme di sicurezza, degli stessi obblighi e divieti, ecc… Il mercato libero è uno spazio in cui gli individui scambiano con poche o nessuna barriera, il mercato unico europeo è invece un super-Stato in cui tutti commerciano obbedendo alle stesse norme.
Per Milei, grazie alle liberalizzazioni: “nessuno dovrebbe sorprendersi se l’Argentina diventerà il prossimo hub dell’Intelligenza Artificiale”. Anche Draghi è un tecno-entusiasta, ma sullo sviluppo delle nuove tecnologie dice: “Le banche sanno fare tante cose, ma una cosa che non sanno fare è finanziare l’innovazione. L’equity è lo strumento d’eccellenza. Bisogna integrare i mercati ma anche riorientare il mercato finanziario da quello del debito all’equity”. Lo Stato, di nuovo, dovrà intervenire per dire cosa finanziare, quanto e quando.
I rapporti di potere
L’euro-entusiasta guarderà ai rapporti di potere attuali e dirà certamente “viva Draghi, abbasso Milei”, perché l’Ue è ancora un colosso economico mondiale, l’Argentina è ancora un Paese povero e in crisi. Anche i rapporti di potere politico sono a favore di Draghi: rimarrà al vertice, piaccia o meno. Milei, al contrario, dovrà continuare a governare con un Parlamento composto da partiti ostili (il suo Libertà Avanza è minoritario) e le piazze piene di manifestanti che lo vogliono morto.
Draghi sarà lì ai vertici dell’Ue, o di qualche altro ente internazionale. Milei rischia di perdere le elezioni fra tre anni o di essere deposto ancora prima. Eppure, se guardiamo ai risultati: il presidente argentino ha arrestato la corsa verso il baratro del suo Paese ed ora si vedono timidi segnali di ripresa e di crescita.
Mentre l’Europa di Draghi (e di tanti altri tecnocrati senza volto), era la terra più ricca del mondo ed è stagnante da almeno un quindicennio. Soprattutto è stagnante l’Italia, da cui Draghi arriva, è in crisi la Germania che è la sede della Bce e la locomotiva d’Europa ed è in crisi la Francia, prima protagonista delle politiche “stampa, tassa, spendi” che caratterizzano quasi sempre l’Ue.
Fra i due modelli, temiamo che il nostro sia quello perdente, nel lungo periodo. Oggi Milei arriva in Italia, in occasione di Atreju. Alla premier Giorgia Meloni consigliamo vivamente di seguire lui e non Draghi.