No, nemmeno il cambio rapido delle batterie salverà le auto elettriche

Il “battery swapping” fu già esplorato 12 anni fa da Renault ma abbandonato per i costi altissimi. Ora ci riprova una casa cinese, ma gli inconvenienti non mancano

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Alcuni di voi avranno letto che la NIO, una delle case cinesi di auto elettriche di lusso, ha messo a punto in Cina una rete di stazioni di servizio dove, invece delle colonnine per la ricarica, l’utente trova una serie di garage per il cambio rapido della batteria dell’auto scarica che, attraverso un sistema robotizzato di manipolazione molto ingegnoso, estrae la batteria scarica dal pianale inferiore dell’auto, la trasporta via e al suo posto ne inserisce una carica, il tutto nell’arco di soli 2 minuti. La casa automobilistica ha anche recentemente messo su YouTube una clip molto suggestiva dove tutte le fasi di sostituzione sono ben visibili e l’intera operazione sul nuovo Suv ES8 dura appunto non più di due minuti.

Un modello di business innovativo

Sembrerebbe davvero l’uovo di Colombo: anziché perdere ore e ore attaccati a una colonnina di ricarica, il sistema rivoluzionario della NIO consente il “pieno” in appena due minuti. Si potrebbe dire, senza tema di retorica, che è un piccolo passo per la NIO ma un grande balzo per i fan dell’elettrico!

In realtà, non è solo NIO a investire sul cosiddetto “battery swapping” ma anche un’altra casa cinese, la Geely e – udite udite! – persino Stellantis. Insomma, sembrerebbe proprio che almeno uno dei più grossi ostacoli alla diffusione delle auto elettriche, la lentezza del “pieno”, sia in via di risoluzione o almeno ci si stia seriamente provando.

Il sistema di mobilità a batteria sostituibile rappresenta non solo un’innovazione tecnologica ma introduce anche un’innovazione commerciale: per tutti i clienti che decideranno di aderire al programma di “battery swapping”, sarà dedotto dal prezzo dell’auto quello della batteria, il che, tenendo conto che il costo si aggira intorno ai 10-25.000 euro a seconda della capacità, significa avere un prezzo di vendita inferiore di almeno una quota equivalente, con ricadute positive sulle finanze dei clienti.

In quest’ambito, il cliente sottoscriverà, contestualmente al contratto di acquisto dell’auto, un contratto di leasing per la batteria che pagherà con una quota annuale dipendente dalla capacità della batteria stessa. Dopodiché, ogni volta che egli si recherà ai garage di “battery swapping” per il “pieno”, il sistema misurerà con precisione la carica residua nella batteria “scarica” e farà pagare solo la differenza effettiva di carica tra la nuova batteria che gli verrà montata sull’auto e la batteria sostituita. Ovviamente, l’auto manterrà comunque la possibilità di essere ricaricata in maniera convenzionale a una colonnina o a casa. I clienti che invece opteranno per il possesso della batteria la pagheranno all’acquisto dell’auto senza ulteriori oneri di leasing.

Costi più che interessanti

Un ulteriore elemento attrattivo del programma “battery swap” sono i costi di noleggio della batteria e delle ricariche. Tanto per citare un esempio, per una batteria da 75 kWh NIO prevede un canone mensile di 169 euro, circa 2.000 euro l’anno. Se si tiene conto che il costo di una batteria di tale taglia si aggira oggi intorno ai 15.000 euro, il canone non è niente affatto male: equivale, in soldoni, a comprarsi la batteria non subito ma in 7,5 anni, e a cambiarla ogni altri 7,5. Altro punto di forza sono le tariffe di ricarica: potendo ricaricare il parco batterie durante la notte, il prezzo offerto per il kWh è estremamente conveniente, solo 20 cent/kWh.

Ma non è tutt’oro quel che luce…

Fin qui i vantaggi offerti dalla sostituzione rapida delle batterie. Ma, come in tutte le nuove idee e tecnologie, ci sono anche dei contro. È uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo. Sicché, vediamo insieme i principali svantaggi di questo sistema.

1. Deterioramento dei contatti elettrici – Le connessioni rapide di collegamento dei terminali elettrici della batteria alla parte fissa dell’impianto elettrico dell’auto sono soggette a rapida usura, sia lato batteria che lato auto. Infatti, se dal lato della batteria esse possono essere facilmente sostituite nelle stazioni di ricarica in occasione dei programmi di revisione e manutenzione del parco batterie, non è così indolore lato automobile, i cui costi andrebbero a finire a carico del proprietario. Se teniamo conto che il circuito di alimentazione del motore elettrico viaggia a tensioni dell’ordine dei 400 volt per le auto di piccola e media potenza e di 800 volt per le grandi potenze, ciò significa che quei contatti rapidi devono sopportare correnti fino a 300 – 400 ampere.

Chi di voi da bambino ha giocato con la Polistil ricorderà certamente che la pulizia delle spazzole in rame delle macchinine era di fondamentale importanza per la loro velocità sulla pista. Perché? Perché le spazzole sporche aumentavano le resistenze di contatto con la parte elettrificata della pista con conseguente riduzione della corrente, e quindi della coppia meccanica, alle macchinine. Ebbene, in questo caso i problemi sono identici: contatti deteriorati significano maggiore resistenza di contatto e, quindi, minore corrente trasferita al motore, con conseguente perdita complessiva di efficienza.

Del resto, con una batteria da 60 kWh, già una percorrenza di soli 15.000 km l’anno alla media di 5 km/kWh renderebbe necessaria la sostituzione della batteria 50 volte all’anno – una volta alla settimana – con uno stress meccanico ed elettrico niente affatto trascurabile su quei contatti elettrici.

2. Mancanza di standardizzazione – Il secondo grosso ostacolo alla “battery swapping” è rappresentato dalla mancanza di un approccio comune da parte di tutte le case automobilistiche per la standardizzazione delle dimensioni della batteria e del tipo di contatti rapidi. Capite bene che questo è forse l’ostacolo più insormontabile a una rapida diffusione delle stazioni di sostituzione: riuscite infatti a immaginare le nostre strade disseminate di tanti tipi di stazioni differenti quante sono le case automobilistiche? Una semplice stazione di servizio diverrebbe, in quest’ottica, più intasata della pit lane degli autodromi di F1!

3. Assenza di una rete capillare di stazioni di sostituzione – Strettamente collegato al problema della mancata standardizzazione, c’è poi il problema dell’assenza di una rete capillare di stazioni di sostituzione, a sua volta dovuto al costo esorbitante di tali stazioni. NIO stima infatti oggi un costo di 1,5 milioni di euro per ogni suo garage di battery swapping. Anche volendo installare un solo garage ogni 10.000 abitanti, occorrerebbero per l’Italia 6.000 di questi garage con un investimento complessivo necessario di non meno di 9 miliardi di euro.

Per la cronaca, questo è il motivo per cui, nel 2011, la società israeliana “Better Place”, la startup della Renault nata proprio con l’obiettivo di sviluppare un sistema analogo per le auto elettriche della casa francese, dichiarò fallimento a causa dello scarsissimo interesse suscitato nel pubblico da tale concetto.

4. Problemi di alimentazione elettrica – Un ulteriore problema che ostacola la diffusione del “battery swapping” è quello dell’alimentazione elettrica di questi garage. Se infatti la sostituzione delle batterie scariche permette una ricarica lenta del parco batterie (analogamente al riposo notturno dei cavalli nelle stalle delle vecchie stazioni di posta), con limitazione quindi dei picchi di potenza elettrica assorbita, è altresì vero che, a livello energetico, la ricarica lenta non riduce il fabbisogno di energia e, per di più, lo centralizza in un unico punto anziché tenerlo distribuito sulle colonnine del territorio.

Facciamo un esempio concreto: supponiamo che uno di questi garage debba gestire 1 cliente ogni 5 minuti per 16 ore, dalle 8 del mattino a mezzanotte. Supponiamo inoltre che ciascun cliente debba sostituire una batteria da 60 kWh completamente scarica. Ciò significa che, nell’arco della giornata, occorrerà sostituire 60 / 5 x 16 = 192 batterie da 60 kWh.

Supponiamo adesso che il tempo di ricarica a disposizione di ciascuna batteria sia 24 ore, di modo che la prima batteria sostituita alle 8 del mattino avrà tempo fino alle 8 del mattino successivo per ricaricarsi, la seconda batteria sostituita alle 8:05 avrà tempo fino alle 8:05 del mattino successivo, e così via. In tale ottica, ogni batteria avrà bisogno di 60 / 24 = 2,5 kW di potenza di ricarica dedicata. Il diagramma di assorbimento del garage sarà quindi fatto così:

Partendo da zero alle 8 del mattino del giorno 0, a mezzanotte tra il giorno 0 e il giorno 1 l’assorbimento di potenza sarà pari a 192 x 2,5 = 480 kW e, poiché non vi sono più nuove sostituzioni fino alle 8 del mattino successivo, essa resta costante tutta la notte. Dalle 8 del mattino del giorno 1 in poi, supponendo per semplicità che l’afflusso di clienti si mantenga costante, ogni 5 minuti una batteria arriverà al 100% della carica e, contemporaneamente, un’altra batteria sarà da mettere sotto carica, di modo che, se tutte le batterie arrivassero scariche a poco più dello 0%, la potenza assorbita dal garage si manterrebbe costante sempre intorno al valore di 480 kW.

Pertanto, a regime, l’assorbimento di potenza degli ipotetici 6.000 garage di cui si dovrebbe disseminare lo stivale sarebbe di 6.000 x 480 = 2.880.000 kW = 2,88 GW. Il fabbisogno energetico giornaliero sarebbe di conseguenza pari a 2,88 x 24 = 69,12 GWh, cioè 25,22 TWh/anno. Questo solo per la NIO. Poi ci sarebbero tutte le eventuali altre case automobilistiche.

5. Problemi di fabbisogno batterie – Il semplice esempio precedente mette in luce la necessità di poter disporre di un numero di batterie in garage almeno pari a quello necessario per servire un cliente ogni 5 minuti per 16 ore. In altre parole, occorrerebbe, per ciascun garage, un buffer di 192 batterie, tante quanti sono i clienti serviti in un giorno. Vale a dire che, per mettere in piedi il sistema su scala nazionale, occorrerebbe mettere in conto di avere, per ciascun cliente, una batteria nell’auto e una di buffer, cioè raddoppiare il numero delle batterie necessarie. Questa ridondanza garantirebbe a ciascun utente una percorrenza giornaliera disponibile di circa 300 km, tanti quanti se ne possono ragionevolmente percorrere con una carica di 60 kWh, valore abbastanza conservativo se si tiene conto delle medie di percorrenza degli italiani.

Se volessimo invece dimezzare il numero di batterie di buffer e portarlo a 96, tenendo conto delle solite 12 sostituzioni l’ora, ciò comporterebbe un tempo massimo di ricarica di 96 / 12 = 8 ore che darebbe luogo a una potenza di ricarica dedicata a ciascuna batteria di 60 / 8 = 7,5 kW e un picco di potenza assorbita stavolta pari a 7,5 x 96 = 720 kW. Tuttavia, così facendo, l’autonomia garantita a ciascun utente non sarebbero più i 300 km al giorno del caso precedente ma mediamente la metà, 150 km, come se a ciascun utente fosse assegnata in media mezza batteria di buffer, un po’ come il famoso “pollo di Trilussa”!

E così via, si potrebbe determinare un valore ideale che ottimizzi il numero di batterie di buffer, la potenza di picco disponibile e l’autonomia giornaliera di percorrenza.

6. Problemi di fabbisogno di materie prime – Naturalmente, tutto ciò comporterebbe un fabbisogno di materie prime esorbitante, in particolar modo di litio. Infatti, riprendendo il calcolo del fabbisogno di litio nell’ipotesi di voler elettrificare l’intero parco mobile italiano, oltre ai circa 175 TWh/anno aggiuntivi di energia elettrica necessaria, sarebbero necessarie nella peggiore delle ipotesi 2 x 500.000 = 1.000.000 di tonnellate di litio. Tenendo conto che l’estrazione globale di litio nel mondo è di circa 120.000 tonnellate l’anno, ciò vorrebbe dire che, per le sole batterie auto italiane in ridondanza, occorrerebbe monopolizzare la produzione di tutte le miniere di litio del mondo per circa 8 anni!

Altri problemi legati alle auto elettriche

Nonostante l’attrattività del nuovo modello di business rappresentato dal programma di battery swapping, parliamo pur sempre di auto elettriche. Certo, i fan dell’elettrico saranno al settimo cielo per la gioia e, dal canto loro, ne hanno ben donde. Ma la NIO, così come tutte le altre auto elettriche, presenta i soliti indubitabili inconvenienti legati a:

  • Bassa autonomia. Pur potendo fare il “pieno” in meno di 3 minuti ove mai la rete delle stazioni di cambio dovesse diffondersi, resta il fatto che un’auto elettrica con batteria da 75 kWh avrà un’autonomia effettiva di non più di 350 km se la si tratta coi guanti gialli e in assenza di climatizzazione: veramente troppo poco per un viaggio confortevole.
  • Auto “toy-oriented”. Al giorno d’oggi, l’auto elettrica è “la continuazione delle macchinine Polistil con altri mezzi” se sapete cosa intendo. Indubbiamente uno status symbol per certuni, la maggioranza dei guidatori preferisce, tuttavia, senza alcun’ombra di dubbio il piacere della guida che solo i motori endotermici sono in grado di dare. Del resto, una volta sgombrato il campo dalla bufala secondo la quale l’auto elettrica sarebbe più “ecologica” – è vero semmai il contrario – ciò che resta sono solo i gusti individuali nei quali nessuno ha il diritto di entrare e che nessuno ha il diritto di giudicare.
  • Intrinsecamente pericolosa. Checché ne dicano i media e/o coloro che hanno interessi diretti o indiretti nell’auto elettrica, è fuor di dubbio che, a parità di età dell’autovettura, la probabilità e la persistenza di incendio per km percorsi è di gran lunga superiore per un’auto elettrica rispetto a un’auto a motore endotermico. Riprova ne è il fatto che numerose compagnie di traghetti del Nord Europa vietano espressamente l’imbarco di auto elettriche sulle loro navi.
  • Impattante sul sistema elettrico. La conversione del parco semovente italiano in elettrico richiederebbe tout court il passaggio dei consumi annui di energia elettrica dagli attuali 315 TWh/anno a 490 TWh/anno, con un incremento di 175 TWh/anno, il +55 per cento dei consumi attuali, mettendo a dura prova la capacità dell’infrastruttura di rete e la sicurezza del sistema energetico nazionale.
  • Dipendente dalle supply chains cinesi. Per via dei fabbisogni di materie prime critiche detenute quasi del tutto dalla Cina, l’auto elettrica espone l’intero Occidente al rischio di dover pesantemente dipendere da quelle catene di fornitura e quindi, dare facoltà alla Cina di fare il bello e il cattivo tempo sulle sorti giù precarie del sistema industriale europeo.

Per concludere e tornare di nuovo coi piedi per terra, il destino dell’auto elettrica è ormai irrimediabilmente segnato e non sarà di certo questo pur ingegnoso sistema di cambio rapido a risollevare le sorti di un settore in agonia. Di sicuro, tuttavia, sarà comunque interessante monitorare nel tempo questo concetto: se son rose fioriranno!

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