Economia

Perché il futuro è nucleare, fallita l’ideologia del “tutto rinnovabili”

Intervista a Umberto Minopoli: climatismo e illusione del “tutto rinnovabili” all’origine dell’impennata dei prezzi. Basta balle, nucleare sicuro e pulito già oggi

Economia

Ci aspetta un inverno difficile, con costi dell’energia alle stelle e possibili interruzioni di servizio se il clima non sarà clemente e i nostri vicini – come pare probabile – non potranno fornirci quanto non siamo in grado di generare autonomamente.

Perché, ricordiamolo, l’Italia non è autosufficiente: ogni giorno, tutti i giorni, abbiamo bisogno di importare energia elettrica dai Paesi confinanti. E non poca, come vedremo.

Da anni c’è chi si batte per risolvere il problema rilanciando la costruzione di centrali nucleari. Iniziativa ad esempio annunciata pochi mesi fa dal presidente francese Emmanuel Macron.

Ma l’opposizione al nucleare in Italia è sempre stata fortissima, in parte dovuta alla paura di ciò che non si conosce, in parte alimentata da argomentazioni apparentemente sensate. C’è ora questo nuovo “mito”, quello delle centrali sicure “di quarta generazione”.

Per chiarirci le idee, abbiamo intervistato Umberto Minopoli, da sei anni presidente dell’Associazione Italiana Nucleare, ex presidente di Ansaldo Nucleare e autore del libro “Nucleare. Ritorno al futuro”.

I danni del climatismo allarmista

MARCO HUGO BARSOTTI: Cominciamo con una domanda generale. Negli ultimi 30 anni l’allarmismo climatico ci ha fatto quasi dimenticare che l’energia non nasce dal nulla e che in qualche modo va pur prodotta. E i risultati si vedono. Di chi la responsabilità?

UMBERTO MINOPOLI: La responsabilità più grande del climatismo allarmista è stata aver convinto governi e investitori energetici che si stava entrando nel ventennio della fine dei fossili. Ricerca ed estrazione sono state di conseguenza fortemente rallentate, a livello mondiale.

Dopo la fine del Covid si è dunque creata la classica crisi di domanda non soddisfatta dall’offerta, che ha fatto esplodere i prezzi, già dall’estate 2021. La guerra ucraina ha esasperato la situazione, portandoci alla crisi energetica più pesante dei tempi moderni.

L’illusione del “tutto rinnovabili”

MHB: Dalla Russia arriva poco gas, o forse dopo i recenti attentati nulla: ma noi, Paese del sole, potremmo rimediare con fotovoltaico ed eolico.

UM: È l’illusione del “tutto rinnovabili”. L’Europa si è distinta in questa visione della decarbonizzazione accelerata. Con decisioni anche contraddittorie. Germania e Italia hanno addirittura scoraggiato o impedito il ricorso al nucleare, in nome della fine dei fossili.

Abbiamo investito sulle rinnovabili, ma stoppato le infrastrutture del gas, bloccato il nucleare. E aumentato i consumi di gas ed energia proveniente dall’estero mettendoci un cappio al collo, quello delle importazioni. Un vero modello negativo di politica energetica di cui paghiamo oggi il prezzo.

La dipendenza dall’estero

MHB: Passiamo ai i numeri e cerchiamo di orientarci usando la app Terna. Il 24 settembre 2022 alle 14 veniva indicato un consumo nazionale istantaneo di 31,8 GW contro una generazione di 28.12 GW, dunque quanto prodotto era insufficiente. Una situazione tipica?

UM: Esempio calzante: ogni giorno la rete italiana chiede una media tra i 30 e i 40 GW di potenza. Quella installata riesce a fornirne solo un volume tra i 28 e i 30. Il resto dobbiamo comprarlo all’estero, da impianti al confine, che nella quasi totale maggioranza dei casi viene da centrali nucleari (Francia, Svizzera, Slovenia).

MHB: Dunque quello che la app indica con il segno più alla voce “Net foreign exchange” (4,34 domenica) è quanto ci manca. Forse il segno meno sarebbe più onesto…

UM: Il valore da lei rilevato domenica, 4,34 GWh (gigawattora) è il quantitativo di energia che ogni giorno, in media, dobbiamo importare per supplire lo sbilancio tra GWh richiesti dalla rete e GWh offerti dagli impianti di generazione operativi sul nostro territorio.

In chiave annuale si tratta di un ammontare di circa 30.000 GWh (dato 2021) di elettricità che importiamo. Con i rischi che conosciamo.

Il nucleare: i tempi

MHB: Terna indicava domenica che il 47,1 per cento dell’energia prodotta veniva da fonti rinnovabili. Oggi mostra un valore del 38,15 per cento. Costruire centrali nucleari richiede tempi biblici, quasi 15 anni, non conviene spingere invece sulle rinnovabili?

UM: I tempi biblici delle centrali cui lei si riferisce sono quelli di tre centrali europee, avanzate e di terza generazione, avviate nei primissimi anni del 2000 (Olkiluoto, ora però operativa, Flamanville ed Hinkley Point). Tre impianti di tecnologia EPR. Tutti gli impianti avviati dopo questi tre, che erano i primi esemplari della serie, esibiscono tempi del tutto diversi da quelle prime tre centrali.

I tempi di edificazione di una centrale nucleare di terza generazione sono di 4/5 anni per la costruzione e altrettanti per le fasi di progettazione, autorizzazione e licensing e…

MHB: … appunto, non cambia molto, visto che lei parla di 10 anni teorici. E poi ci sono i consueti ritardi ed intoppi…

UM: Certamente, ma questi tempi vanno comunque confrontati con quelli di impianti di pari potenza, circa 1.000 MW. Che siano fotovoltaici o eolici, se va a vedere scoprirà che non sono molto distanti. Si tratta di date del tutto compatibili con le tappe della transizione energetica al 2030 e la 2050.

MHB: D’accordo, ma i tempi sono paragonabili e nessuno obietta (dunque causa ritardi) sui progetti relativi al solare.

UM: Dovremmo uscire dall’idea, che è una mistificazione ideologica, che un impianto fotovoltaico e uno nucleare siano equipollenti e oggetto di una scelta solo di costo o convenienza. Sono impianti di natura diversa: una intermittente e non programmabile, l’altra che fornisce elettricità in modo continuativo.

MHB: Quindi, lei dice, avanti tutta sul nucleare?

UM: Non esattamente: servono entrambi in un mix energetico pulito, non emissivo, ma che assicuri anche la stabilità e la sicurezza del sistema energetico di una nazione.

Quarta generazione: nucleare senza scorie

MHB: Si parla tanto della quarta generazione di centrali, quelle “sicure”. Può spiegarci la differenza tra queste generazioni, se esiste davvero ovviamente?

UM: Con generazione si intende la tipologia di impianto nucleare che caratterizza un determinato periodo storico di riferimento. Ad esempio, con prima generazione si intendono gli impianti nati nella metà degli anni 50, i primi prototipi ormai de-commissionati.

Seconda generazione si riferisce agli impianti progettati e costruiti tra la metà degli anni ’60 e gli anni ’70. Sono la gran parte dei reattori oggi esistenti ed operativi. La terza generazione si riferisce agli impianti progettati alla fine degli anni ’90, iniziati a costruire nei primi anni 2000 e che rappresentano la tipologia di impianti nucleari dispiegabili oggi nel mondo.

MHB: Di che potenze stiano parlando?

UM: Per la terza generazione esistono circa una decina di modelli tecnologici, intorno e sopra i 1.000 MW. Sono caratterizzati da importanti innovazioni sul terreno dell’efficienza, della sicurezza e dei costi. Sono lo stato dell’arte degli impianti di generazione nucleare e la gran parte delle 54 centrali nuove in costruzione oggi nel mondo.

Per la fine del decennio è previsto l’ingresso in campo di una nuova famiglia di reattori, gli small modular reactors. Sono reattori di più piccola potenza (tra i 5 e i 350 MW), di più facile localizzazione e per usi anche non elettrici (produzione di idrogeno, usi termici per l’industria, teleriscaldamento, integrazione di reti rinnovabili, desalinizzazione).

MHB: E la quarta generazione?

È quella per cui è prevista l’entrata in servizio per la fine degli anni ’40. Si tratta di una tipologia di nuova concezione tecnologica di reattori a fissione che utilizzano neutroni veloci, a differenza dei processi attuali che sono neuroni termici, ovvero vengono rallentati dall’acqua…

MHB: … forse stiamo andando troppo nel tecnico…

UM: Diciamo che la quarta generazione rende il reattore più efficiente: si tratta di centrali capaci di rimangiarsi parte delle scorie prodotte, con una sorta di riciclo permanente.

MHB: Come il Superphénix!

UM: Ma certo, quello era il primo reattore progettato sul tipo di quella che chiamiamo la quarta generazione. Un sistema in grado di non produrre rifiuti, ma riutilizzare le scorie a più alta attività. Ad oggi esistono svariati progetti in stato avanzato, i primi dimostratori e prototipi in sviluppo e alcuni primissimi reattori operativi (tre in Russia e due in Cina).

Centrali ferme per manutenzione

MHB: Persino dopo l’invasione russa dell’Ucraina e la decisione di affrancarsi dalla dipendenza dal gas russo, la Germania ci ha messo quasi 7 mesi per decidere di rinviare la chiusura delle sue centrali nucleari e la Francia ne ha metà in manutenzione.

UM: In Francia 21 centrali sono ferme per manutenzione: un’attività ordinaria e programmata. La gran parte di queste centrali tornerà in esercizio tra la fine dell’anno e febbraio del 2023. Niente di straordinario o di imprevisto.

Ci sono poi tra i quattro e gli otto reattori, di generazione precedente gli EPR, in cui si è scoperto un difetto di corrosione in un punto dei circuiti di raffreddamento. Questi reattori sono stati fermati e il difetto verrà corretto. Davvero niente di significativo.

E soprattutto non si tratta dei reattori EPR o di terza generazione che si stanno costruendo oggi nel mondo (il canale francese BFM Business è meno ottimista, prevedendo il periodo critico tra gennaio e febbraio 2023, ndr)

Emissioni CO2

MHB: Molti ritengono l’energia nucleare verde, in quanto non genera CO2. Ma altri dicono che è solo un modo di rimandare il problema, citando le foto di centinaia di tanks di acqua contaminata a Fukushima. Cosa risponde?

UM: Cosa c’entra la CO2, un gas serra e non inquinante, che le centrali nucleari non emettono (non c’è carbonio nel combustibile nucleare) con l’acqua radioattiva di Fukushima? Non c’è nesso.

L’acqua a cui ci si riferisce è servita a Fukushima a raffreddare i tre reattori incidentati del sito. È, dunque, acqua contaminata in seguito ad un intervento di sicurezza successivo ad un incidente. Non è acqua prodotta nel normale funzionamento di un impianto.

L’acqua che si utilizza nel ciclo di un impianto nucleare è a ciclo chiuso, non radioattiva e viene restituita alla sorgente da cui proviene. L’acqua radioattiva utilizzata a Fukushima è stata raccolta in contenitori dopo essere stata trattata e decontaminata. Sono stati eliminati tutti i radionuclidi con un processo tecnologico che ha impegnato la scienza e gli esperti di radioprotezione di tutto il mondo.

L’acqua di quei contenitori contiene solo una residua quantità di trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. Tra tutte le ipotesi di smaltimento di quell’acqua, ormai, solo debolmente radioattiva quella ritenuta più efficiente, meno costosa e non impattante è il rilascio graduale nell’oceano, dove il rilascio sarebbe entro i limiti consentiti dalle autorità di sicurezza e non avrebbe impatti sugli ecosistemi marini.

La questione delle scorie

MHB: D’accordo per l’acqua di Fukushima, ma da decenni sentiamo parlare delle “scorie radioattive”, qualcosa con cui pare si avrà a che fare per centinaia di anni. Quindi non sono un problema?

UM: Tutte le centrali generano scorie. Quelle attuali italiane, le termiche, generano anch’esse delle scorie: sono i fumi rilasciati in atmosfera. Quando si dice ‘non si è risolto il problema delle scorie’, si dice una cosa assolutamente mistificante e non vera. Attualmente sono trattate e smaltite in modo assolutamente sicuro (qui l’audio con la spiegazione completa, ndr).

Un piano a 15 anni

MHB: Ultima domanda. Ipotizziamo che il nuovo governo non sia ostile al nucleare e lei ottenga l’incarico di redigere un piano a 15 anni. Cosa proporrebbe di fare e con quali costi?

UM: Inizierei a studiare l’evoluzione del nostro mix elettrico a 15 anni preparando un piano pluriennale dei fabbisogni elettrici, da fonti intermittenti e da fonti continuative. Poi occorre porsi la domanda: che cosa vogliamo che sia?

Dobbiamo sostituire una gran parte di quel volume di 157.224 GWh generati da impianti termici (gas, carbone, petrolio) con cui annualmente generiamo energia elettrica. Si tratta di fonti continuative, che non possiamo, per ovvie ragioni, sostituire con fonti rinnovabili intermittenti.

Studierei la possibilità di reintrodurre nel nostro sistema una quota di energia nucleare. E poiché ogni investimento in campo energetico, nei nostri sistemi energetici liberalizzati, è privato, lo Stato dovrebbe mettere a gara la fornitura di un dato ammontare di MW di energia continuativa da fonte non fossile.

Toccherebbe poi a consorzi di costruttori e imprese energetiche (finanziari, utilizzatori, energivori etc.) studiare tempi e costi delle nuove eventuali centrali di produzione. Lo Stato dovrebbe fornire la cornice regolamentare e poi indire le gare.