Intervento di Antonio Zennaro, manager del settore finanziario, deputato nella XVIII legislatura (membro delle Commissioni Finanze, Bilancio e Copasir)
Oramai è mainstream: in Europa scarseggiano armi, munizioni, chip, sistemi di difesa e d’attacco a causa della guerra in Ucraina. È bastato quasi un anno di conflitto per svuotare arsenali che sembravano infiniti.
Le plastiche dichiarazioni del segretario della Nato Jens Stoltenberg non lasciano spazio ad interpretazioni: “È vero, i Paesi della Nato e dell’Ue hanno esaurito le loro scorte per fornire aiuti all’Ucraina”.
La cosa sembrerebbe non toccarci, senonché in questi giorni c’è proprio un grande dibattito politico sulla possibilità che l’Italia fornisca a Kiev lo scudo di difesa aerea SAMP/T, con il rischio però di lasciare sguarnita la penisola da uno strumento strategico molto importante.
La dipendenza da Mosca e Pechino
Insomma, la decantata supremazia tecnologica e militare dell’Occidente si scontra con i limiti delle catene di approvvigionamento, che in una guerra possono determinare il risultato di battaglie, scontri ed addirittura le fasi decisive di tutto il conflitto.
Uno studio del HCSS dell’Aja analizza la grave dipendenza dell’industria bellica occidentale da materiali come grafite, alluminio, cobalto e non solo, risorse fondamentali che però sono monopolio di Pechino e Mosca.
La spesa militare
Ora tutti i principali decision maker occidentali, come risvegliati di soprassalto da un incubo, gridano all’unisono la necessità di aumentare la spesa militare dell’Ue e della Nato dopo che, nel fornire armamenti e sistema di difesa all’Ucraina per aiutarla a respingere gli attacchi dell’invasore russo, hanno dato fondo ai loro arsenali.
Trent’anni di deindustrializzazione
Il problema è che il settore degli armamenti è strettamente legato ad una moltitudine di settori industriali come la siderurgia, la meccanica di precisione, il settore dei chip, e l’approvvigionamento delle materie prime.
Trent’anni di deindustrializzazione occidentale, ampi incentivi alla delocalizzazione delle catene produttive hanno reso dipendenti le nazioni del Patto Atlantico da Paesi che oggi nel grande scacchiere geopolitico sono ostili o addirittura avversari. Rendendo quindi molto difficile una rapida risposta al cambio di paradigma.
Le scarpe di cartone
Se si vuole competere in modo efficace in questo difficile contesto, allo sforzo di supporto bellico deve essere coerentemente correlato un nuovo sforzo industriale collettivo europeo, che però, mal si adatta alle attuali politiche di austerità, all’estremizzazione delle regole del mercato comune ed anche ad una forzata conversione green.
Il rischio per l’Europa e della stessa Nato, è quello di andare ad operare in teatri difficilissimi con le cosiddette “scarpe di cartone”, magari prodotte in linea con politiche ESG compliant, ma che mal si adattano a competere con nazioni molto più libere da lacci e lacciuoli come, ad esempio, la Cina di Xi Jinping.
La lezione della Guerra Fredda
Andrebbe ricordato che la Guerra Fredda fu vinta soprattutto grazie ai successi economici dell’Occidente rispetto ad un comunismo che era molto forte ed attivo sul fronte bellico, ma che nelle fasi finali aveva completamente sottostimato le difficoltà del proprio complesso economico-industriale.
La stessa Unione europea dovrà essere più flessibile alle nuove necessità ed esigenze che la guerra in Ucraina ha segnato come un solco indelebile nel Continente, e meno prona ad agende globali troppo scadenzate che rischiano solo di essere dei teorici piani quinquennali di staliniana memoria.
Insomma, per il Continente europeo il conflitto russo-ucraino diventa una sfida epocale per il futuro che può essere vinta solo riconoscendosi comunità di destino e garantendo quel benessere economico e sociale che solo un’economia industriale e tecnologica d’avanguardia può garantire.