I rischi per l’industria automotive europea della scelta forzata dall’Ue di puntare tutto sull’elettrico, nonostante l’incolmabile vantaggio competitivo cinese, sono sempre più evidenti e ravvicinati. Viene data per imminente l’invasione sul mercato europeo delle auto elettriche cinesi e ieri la presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen, nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, ha proposto una Commissione di indagine sui sussidi cinesi.
Della sfida cinese, e della superficialità e degli errori di Bruxelles, e in particolare di Berlino, abbiamo parlato con Alberto Forchielli, di Mindful Capital Partners.
Il nuovo microchip da 7nm
TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Dott. Forchielli, la recente notizia della creazione di un avanzato microchip da 7nm da parte della multinazionale cinese Huawei può rappresentare un evento storico per questo mercato, come alcuni affermano?
ALBERTO FORCHIELLI: Interloquendo con alcuni esperti si comprende che la scoperta potrebbe non rappresentare il salto di qualità promesso al momento dell’annuncio: è vero che si tratti di un chip a 7nm – la metà rispetto alla misura classica di 14nm – ottenuto attraverso una tecnica particolare.
Tuttavia, è da considerare come tale processo porti il chip a consumare molta più energia e a scaldare parecchio. Ne osserveremo la tenuta al momento dell’uscita sul mercato, ma nel frattempo dobbiamo avere diffidenza nel considerare la sua nascita un cambiamento epocale.
L’azzardo tedesco sull’elettrico
TADF: Sul tema della transizione verso le auto elettriche sembrano esserci differenze di vedute tra Francia e Germania. Da cosa sono determinate?
AF: Non ritengo di poter analizzare la differenza di vedute tra Francia e Germania, ma osservo come Berlino proceda senza remore e titubanze sulla via della riconversione energetica anche nell’ambito dei veicoli, su cui evidentemente scommettono le case automobilistiche tedesche, date le somme ingenti che stanno investendo nel settore.
Tuttavia, i primi risultati di questa scelta non sono affatto incoraggianti: ad esempio, la perdita di mercato della Volkswagen in Cina è notevole. I tedeschi si illudono di poter gestire l’ascesa cinese nel settore, senza calcolare il vantaggio netto di Pechino nell’ambito dei costi di produzione. Sono scettico sull’atteggiamento di Berlino nell’ambito dell’elettrico: temo si siano sovrastimati come industria.
Dipendenza dalla Cina
TADF: Ritiene che il problema di fondo siano le decisioni della Commissione europea, oltre che dei singoli Stati? Per esempio, lo stop ai motori endotermici dal 2035?
AF: Stiamo strutturando una dipendenza dalla Cina nel mercato dell’elettrico e dei minerali della filiera. Penso che pagheremo questo rischio pericoloso in termini di occupazione e bilancio dei pagamenti.
La Commissione europea ha imposto agli Stati una decisione che sarebbe dovuta rimanere individuale – sulla base della volontà dei singoli Paesi e dei consumatori – e prorogabile nel tempo. Mi auguro che questa strada sia reversibile, altrimenti la decisione passerà alla storia come una delle più imbecilli e stolte del secolo in ambito industriale ed economico.
I pannelli solari
TADF: Crede che le aziende europee che investono nel settore dei pannelli solari siano a rischio fallimento a causa delle importazioni cinesi, come riportato dal Financial Times?
AF: Non esiste neanche più un’industria europea operante nel settore: i cinesi sono possessori di una quota del mercato globale pari al 90 per cento ed il restante 10 è diviso tra le varie nazioni occidentali. Non c’è alcun rischio di fallimento per le aziende europee a riguardo, dato che esse sono già fallite.
Quanto al tema dei pannelli solari in sé e della supremazia cinese sul mercato, una soluzione utile potrebbe essere quella di varare dei dazi contro Pechino e ricostituire una filiera occidentale di fabbricazione e vendita dei prodotti. Tuttavia, dubito che avverrà.
Verso le Europee
TADF: Le tematiche ambientali saranno tra gli argomenti principali e determinanti della campagna elettorale per le prossime europee?
AF: Non so fino a che punto gli elettori le capiscano e si interessino ad esse. In Italia sarebbe importante avere una chiarezza comunicativa da parte dei partiti su questi temi, ma non so se troverebbe seguito un dibattito strutturale basato sui rischi e le conseguenze delle scelte politiche (e geopolitiche) inerenti il settore del green. Senza dubbio, sarebbe buono però se ci fosse.