Economia

Trattori, anche basta: una protesta fuori misura

Normative Ue da respingere, ma vittimismo eccessivo. Fascinazione collettiva trae origine da un diffuso malcontento per le istituzioni, soprattutto comunitarie

Trattori Bologna (1)

Bene, bravi, ma adesso anche basta. Dopo l’ubriacatura collettiva di consensi per le manifestazioni degli agricoltori in varie piazze e strade d’Europa, mi permetto di sollevare (assolutamente e testardamente controcorrente) qualche perplessità, che, come sempre, lascio alla vostra valutazione individuale.

I mezzi

Intanto, mentre altri artigiani e lavoratori autonomi utilizzano mezzi ed attrezzature vecchie, obsolete e talvolta insicure perché comprarne di nuove costerebbe troppo rispetto alle loro capacità economiche, vediamo sfilare nuovissimi John Deere, New Holland che costano diverse centinaia di migliaia di euro ciascuno. Buon per loro che hanno potuto comprarli, magari grazie a finanziamenti ed agevolazioni fiscali che altri non hanno ottenuto, o, perlomeno, non in quella misura. Ve li vedete i muratori coi loro Fiat Ducato scassati a sfilare a Roma?

La filiera

Ciò che i manifestanti sembrano non considerare è l’esistenza di un’economia circolare, per cui, se è vero che senza chi coltiva i campi non avremmo di che nutrirci – e, fin qui, non avevamo bisogno dei loro cartelli per saperlo – è altrettanto vero che senza chi produce e vende loro il carburante, gli accessori, gli attrezzi per arare o seminare quei campi, i loro trattori potrebbero usarli giusto per le sfilate urbane con le bandiere issate.

È lunghissima la lista degli altri operatori economici di cui il comparto agricolo necessita per esercitare la propria attività, a cominciare da chi trasforma i loro prodotti in beni finali. Ormai scomparsa la naturale destinazione finale dei prodotti agricoli ai soli mercati locali, sui quali erano gli stessi contadini a vendere. In una catena quale quella, complessa, della filiera alimentare, il primo anello non conta affatto più degli altri, facciamocene una ragione.

L’imprenditore agricolo

Considerando, inoltre, che la figura del coltivatore diretto (per legge, colui che svolge l’attività agricola in prima persona e con l’ausilio dei suoi familiari e che non impiega lavoratori a tempo indeterminato) è quasi sempre sostituita oggi da quella dell’imprenditore agricolo, figura molto simile ma diversa da quella del coltivatore diretto, è del tutto evidente che l’immagine retorica e romantica del povero contadino che si spacca la schiena non convince più.

I contadini italiani hanno conti in banca che la massa dei lavoratori autonomi si sognano, sono tutt’altro che poveri e se hanno scelto quella vita non è certo conseguenza di necessità di fare quello per non morire di fame, e senza spaccarsi la schiena. L’Ottocento è passato da un pezzo e chi voglia oggi svolgere quell’attività, che ha, sì, dei costi, ma pure benefici di tutto rilievo, ha certamente alternative di lavoro quanto ne bastano a non farne dei forzati!

Il regime fiscale

Il trattamento fiscale al quale sono soggetti gli imprenditori (perché di coltivatori diretti che vanno col furgoncino a vendere sul mercato le patate che hanno personalmente sottratto alla terra ne esistono ormai pochi) è, comunque, tra tutti, il più favorevole, come la non imponibilità dell’Irpef al di sotto di una soglia minima ed il riferimento del reddito catastale al reddito dominicale, oggi del tutto fuori dal tempo.

Ben altri sono quelli che di un fisco vorace ed ingiusto possono lamentarsi. Parlo di altri che non fanno (bene o male che sia) alcuna parata coi loro mezzi di lavoro; anche perché non hanno il tempo per farlo e perché di solidarizzare coi meccanici o coi fornai non importerebbe un fico secco ad alcuno, mentre agli agricoltori manca ormai soltanto il lancio dei fiori al loro passaggio, novelli carristi americani che baciano frementi ragazze sognanti e fanno salire gli infanti sui loro cingolati. Senso della misura, come sempre, zero.

Siamo, dunque, in presenza di una fascinazione collettiva che trae origine da un diffuso malcontento per le istituzioni, soprattutto comunitarie, amplificata dalla narrazione di maniera che i media stanno diffondendo.

Un autentico peana dedicato al povero contadino con pantaloni di fustagno che, nonostante ci sfami tutti col proprio sudore, non sa come dare da mangiare ai figli è patetico e fuori misura, a dir poco. Occhio agli orologi al polso ed alle griffes degli abbigliamenti, no vi dico altro. D’altra parte, sfilare col FIAT 25 R si farebbe la figura dei barboni e i RayBan danno quel tocco da pilota che non guasta. Poveri, ma con classe.

Normativa Ue da respingere

Le ridicole, ma soprattutto dannose, norme-quadro europee alle quali dovrebbe attenersi la nostra agricoltura, a capofila quelle green, devono essere rifiutate con fermezza o radicalmente riviste, se vogliamo evitare il disastro, ma dubito fortemente saranno i trattori fighetti strombazzanti ad ottenerlo.

Quello, semmai, è il compito precipuo e istituzionale di un governo che non può accettare che ci venga imposto di abbandonare la terra e che al posto dei campi di grano sorgano distese immense di pannelli solari e pale eoliche. Quanto questo governo si stia apprestando ad ottenere in deroga ad un principio generale che pare voler uccidere l’agricoltura lo vedremo presto, al netto delle chiacchiere e delle pur comprensibili rivendicazioni di merito per i parziali risultati ottenuti finora.

Ciò che non sembra esser certo è un preciso rapporto di causalità tra concessioni ottenute in deroga e sfilate di trattori, più o meno condivisibili ed opportune. A questo proposito non si dimentichi che ogni manifestazione di massa ha i suoi pericoli ed i suoi eccessi, e speriamo tutto si svolga anche in futuro nei limiti della legalità. Ma resta fermo che gli slogan che vediamo fissati ai caricatori frontali dei luccicanti e pulitissimi John Deere sono fesserie belle e buone.

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