Economia

Troppo poco, troppo tardi: i palliativi del PPE non salveranno l’auto

Presentato il paper dei Popolari per tentare di salvare l’industria europea dell’auto ma non c’è il vero e proprio cambio di rotta che servirebbe

Ribera Von der Leyen © Hrecheniuk Oleksii tramite Canva.com

È la classica montagna che partorisce un topolino. Il Partito Popolare Europeo, il perno su cui si regge la maggioranza che sostiene la Commissione Ursula II, ha presentato il suo cosiddetto “piano per salvare l’industria dell’automotive” europea, in concreto una richiesta di correttivi alla stringente tagliola green che loro stessi avevano pomposamente predisposto insieme alla Ursula I.

Le multe

Il tema più urgente è quello delle salatissime multe previste a partire dal 2025 per le case automobilistiche che non centrano i target intermedi di tagli delle emissioni.

Come ha spiegato il nostro Vincent Vega nell’ultima puntata di Red Pill (che si può rivedere qui, iscrivetevi al canale), la sanzione prevista è di 95 euro per ogni grammo in più di CO2 del mix di auto vendute rispetto ai 95 gCO2/km, moltiplicato per il numero di auto vendute. Si parla di miliardi di euro, se teniamo conto che, ad esempio, Volkswagen oggi si posizionerebbe intorno ai +29 gCO2/km rispetto al target, quindi 2.755 euro per ogni nuova auto venduta.

Lo spettro delle multe ha indotto i produttori ad aumentare artificiosamente la produzione di auto elettriche, per scoprire però che il mercato non ne vuole sapere di assorbirle, nonostante gli incentivi statali, e così stanno passando al “piano B”, ridurre la produzione di auto a benzina e diesel. Ma questo significa chiudere stabilimenti e mandare a casa migliaia di lavoratori. Un disastro autoinflitto.

Il PPE vorrebbe “evitare le sanzioni“. Ma come? “Vogliamo almeno che la Commissione presenti una proposta per garantire flessibilità, per avere un periodo più lungo per il calcolo, per non concentrarsi solo sulle auto immatricolate, ma forse anche su quelle prodotte”, ha spiegato l’eurodeputato Jens Gieseke in conferenza stampa. Il messaggio chiaro, ha aggiunto, “dovrebbe essere quello di evitare, come Ue, di imporre multe all’industria”.

Di fronte a “sanzioni inevitabili”, la proposta del PPE è di reinvestire le entrate “nel settore automobilistico europeo per scopi specifici”, come – si citano – la realizzazione di infrastrutture, programmi di incentivi, digitalizzazione, invece che nel bilancio generale dell’Ue. Insomma, far rientrare nel sistema le risorse appena sottratte ad esso, ma per spingerlo ancora di più nel baratro in cui sta precipitando. Un approccio davvero surreale.

L’illusione della neutralità tecnologica

Eppure la componente maggioritaria e trainante del PPE, la tedesca CDU, dovrebbe aver aperto gli occhi dopo lo shock della crisi della propria industria automobilistica, da Volkswagen a BMW, e con le elezioni politiche alle porte.

Un’altra correzione di rotta proposta nel documento è l’anticipo al 2025 (dal 2026) della revisione del regolamento sulle emissioni CO2 delle auto (che dal 2035 prevede un divieto di immatricolazione di nuovi veicoli con motori a combustione interna, diesel e benzina), per reintrodurre il “principio di neutralità tecnologica”, ovvero riconoscere “il ruolo di tutte le tecnologie nel raggiungimento della riduzione di CO2”, compresi “carburanti alternativi, e-fuels e biocarburanti”, si legge nel documento. “Chiediamo di tornare alla neutralità tecnologica come principio guida”, ha insistito Gieseke.

Peccato che, come ha più volte spiegato Vincent Vega su Atlantico Quotidiano, che e-fuels e biocarburanti sono ancora miraggi, combustibili costosissimi e dalla bassa resa energetica.

Il piano del PPE ricalca la posizione del governo italiano, come ha ricordato ieri il ministro Adolfo Urso: “dobbiamo avere un approccio non ideologico di neutralità tecnologica che riguarda sia le fonti energetiche sia gli obiettivi di decarbonizzazione”.

Troppo poco

Un po’ pochino, francamente, a questo punto. Ammesso e non concesso di convincere la presidente della Commissione e le altre componenti della sua maggioranza, verdi e sinistra, nulla che possa cambiare le sortirebus sic stantibus segnata – dell’industria europea.

Come minimo, andrebbe cancellato il bando fissato al 2035, andrebbero cancellate tutte le distorsioni, incentivi o multe, che spingono le industrie a produrre un numero di auto elettriche molto superiore a quello che il mercato ad oggi richiede.

Dopo decenni di infatuazione interessata dei manager (per accaparrarsi sussidi e marketing gratis), le case automobilistiche hanno ormai aperto gli occhi ma la politica brussellese è cocciuta e non vuole perdere la faccia. Il tema è quello di “come accompagnare l’industria automotive“, così si esprimono a Bruxelles, nella transizione. Ma la transizione verso cui la stanno accompagnando è tra la vita e la morte.

Nonostante i titoli di giornali e tv che parlano di dietrofront e inversione di rotta, stentiamo a vedere qualcosa che si possa definire tale, piuttosto dei palliativi. Nonostante la follia di queste norme sia ormai conclamata, nessuno pare avere il coraggio di mettere in discussione l’obiettivo stesso della decarbonizzazione. Insomma, se in Siria abbiamo jihadisti “pragmatici”, in Europa abbiamo ecologisti “pragmatici”.

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