Tutte le direttive “green” da smantellare per voltare pagina dal 10 giugno

La posta in gioco alle Europee: dalla casa all’auto, dall’agricoltura all’ETS, ecco tutti i capitoli del Green Deal che la nuova Ue dovrebbe rivedere se non cancellare

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Mai come nelle elezioni europee di sabato e domenica prossima i cittadini Ue avranno nelle loro mani le sorti del loro futuro: non è un mero esercizio di retorica ma la realtà dei fatti. Sabato 8 e domenica 9 giugno, infatti, i 360 milioni di cittadini Ue maggiorenni, di cui circa 50 milioni italiani, saranno chiamati a scegliere il modello di Unione del futuro, scegliere cioè se continuare sulla falsariga dirigista tenuta finora oppure optare per un’Unione più leggera, meno dirigista e più focalizzata sulle sole sfide comuni, lasciando agli Stati nazionali tutti gli aspetti di dettaglio della vita dei cittadini.

La posta in gioco

Uno dei versanti cruciali su cui si giocherà la scelta è quello della cosiddetta “transizione energetica” e delle relative autoinflitte direttive “green” le quali, nonostante l’impiego di ingentissime risorse, non solo in un ventennio non hanno sortito alcun effetto concreto – ché noi in Ue siamo solo “lacrime nella pioggia” come si recitava nel monologo finale di un famosissimo film di fantascienza – ma hanno causato un inesorabile declino industriale ed economico che ha favorito invece in modo spudorato l’economia cinese, declino che sarebbe finalmente ora di invertire.

Inutile dire che, se dalle elezioni dovesse uscire la stessa “maggioranza Ursula” a guida PPE – S&D – Renew Europe (la formazione sostenuta da Macron), c’è da scommetterci che quelle politiche suicide non solo proseguirebbero spedite senza battute di arresto ma, avendo ricevuto una nuova investitura popolare, verrebbero ulteriormente inasprite portandoci al collasso ben prima del fatidico 2050.

Se invece dalle urne l’8 e il 9 giugno quella maggioranza dovesse uscire ridimensionata e i numeri fossero tali da far emergenze invece una diversa maggioranza di segno conservatore, cioè una nuova, inedita maggioranza senza S&D, allora potrebbe esserci un barlume di speranza che tali politiche possano subire una revisione e magari anche un’inversione di rotta.

I dossier aperti che andrebbero rivisti profondamente sono innumerevoli e tutti di importanza fondamentale. Facciamo quindi una breve carrellata sui più importanti, cercando di dare anche qualche indicazione su possibili modifiche.

Sì, lo so cosa state pensando: quei dossier sono tutti per lo più inemendabili e l’unica cosa sensata da fare sarebbe cancellarli del tutto. Purtroppo, però, sapete che la politica è l’arte del possibile e sarà inevitabile dover scendere a compromessi, anche perché trent’anni di interessi forti favoriti dalle politiche “green” non si possono realisticamente cancellare con un colpo di spugna come invece sarebbe cosa buona e giusta… e poi l’Ue è il regno dei lobbisti con quanto ne consegue, se sapete cosa intendo. Ma bando alle chiacchiere e diamo un’occhiata più in dettaglio a questi dossier.

La direttiva “case green

Il primo e più urgente dossier su cui occorrerebbe intervenire in maniera chirurgica è la “Energy performance of building directive” (Epbd), comunemente detta “direttiva case green”, di cui abbiamo parlato recentemente su Atlantico Quotidiano, ultimo colpo di coda di un parlamento agli sgoccioli che ha voluto imporre con arroganza la sua impronta ideologica su un bene prezioso per centinaia di milioni di cittadini Ue, italiani in particolare.

Cosa prevede la direttiva? In soldoni, che tutti gli edifici di nuova costruzione debbano essere a zero emissioni di CO2 a partire dal 2028, se edifici pubblici, o dal 2030 se edifici residenziali. Inoltre, per gli edifici residenziali esistenti, che il consumo medio di energia primaria per l’intero complesso delle abitazioni residenziali debba ridursi del 16 per cento entro il 2030 e del 20-22 per cento entro il 2035. Di questa, il 55 per cento del risparmio energetico dovrà provenire mediante ristrutturazione degli edifici con le prestazioni peggiori. Infine, l’intero parco immobiliare nazionale dovrà diventare a emissioni zero di CO2 entro il 2050. Vaste programme che, conti alla mano, costerebbe non meno di 70-80.000 euro ad abitazione.

Cosa dovrebbe fare il nuovo Parlamento Ue? Fatte salve alcune prescrizioni di buon senso da applicare agli edifici di nuova costruzione che potrebbero essere salvate, senza tuttavia alcuna pretesa né velleità di riduzione a zero delle emissioni di CO2 (accorgimenti tecnologici che peraltro sono già in larga parte adottati dai costruttori in osservanza delle buone pratiche ingegneristiche), il nuovo Parlamento Ue dovrebbe semplicemente cancellare questa direttiva e le relative tappe forzate per raggiungere obiettivi inutili, costosi e talvolta addirittura dannosi (ad esempio, i famosi “cappotti termici” posticci in polistirolo).

Nuovi “PAC” in agricoltura

Subito dopo la direttiva “case green”, il secondo dossier su cui occorrerebbe intervenire in maniera altrettanto chirurgica è quello relativo all’agricoltura e, più in particolare, al Piano Agricolo Comune (PAC) che sulla carta, per il quinquennio 2023-2027, assegna fondi per il perseguimento di obiettivi all’apparenza ambiziosi quali, ad esempio, garantire un reddito equo agli agricoltori, aumentare la competitività, migliorare la posizione degli agricoltori nella filiera alimentare, salvaguardare il paesaggio e la biodiversità e proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute, ma che, nella maggioranza dei casi, si riduce a pagare gli agricoltori per non coltivare la terra in ossequio al folle perseguimento degli obiettivi della cosiddetta “transizione green” secondo la quale l’agricoltura e l’allevamento sarebbero fonti di produzione di CO2 e di metano, i gas serra che, sempre secondo il credo della religione “green”, causerebbero disastrosi cambiamenti climatici.

Cosa dovrebbe fare invece il nuovo Parlamento europeo? Valorizzare seriamente le risorse agricole dell’Unione promuovendo l’agricoltura in tutte le sue forme e distribuendo incentivi non già a chi non coltiva la terra ma piuttosto a chi sa farla fruttare al meglio. Valorizzare le specificità locali e le eccellenze alimentari, stabilendo criteri di protezione delle produzioni interne rispetto a quelle esterne, molto spesso deregolamentate e in concorrenza sleale con quelle dell’Unione.

Proteggere i terreni dalle incursioni corsare delle lobby dell’eolico e del fotovoltaico impedendone gli espropri, eliminando ogni tipo di vincolo e/o limite alle produzioni agricole, lattiero-casearie e agli allevamenti: un’Unione prospera parte da un’alimentazione sana e autoctona. Mai più raccolti distrutti sotto le ruspe o assurde quote latte o bestiame.

La strategia “Net Zero”

Il terzo grosso dossier da rivedere profondamente è l’intero capitolo della strategia “Net Zero” con tutte le sue diramazioni che, oltre che essere materialmente impossibile da perseguire come abbiamo visto tempo fa sulle colonne di Atlantico Quotidiano, nonostante l’impressionante quantità di denaro impiegata, a livello Ue ha determinato negli ultimi 25 anni una riduzione delle emissioni di CO2 di soli 890 milioni di tonnellate l’anno (da 3,65 a 2,76 miliardi di tonnellate) a fronte dei quali le emissioni della Cina sono cresciute invece di 7,9 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno (da 3,5 a 11,4 miliardi di tonnellate), 9 volte tanto.

Questo ovviamente non perché la Cina sia “cattiva” tout court, come abbiamo sempre sostenuto, ma semplicemente per via di quello che abbiamo definito essere il “principio di conservazione delle emissioni di CO2 a parità di tenore di vita e di numero di individui che vi hanno accesso” (come spiegato in coda all’articolo qui) e per il fatto che la Cina è diventata, a torto o a ragione, il produttore delle merci di tutto il mondo, anche a causa della complicità dell’Occidente.

Cosa dovrebbe fare il nuovo Parlamento europeo? Rivedere profondamente questa direttiva interrogandosi sulla reale efficacia a livello globale delle politiche messe in atto ma, prima ancora, interrogandosi sulla reale necessità di ridurre le emissioni di CO2.

Bando dei motori endotermici

Un altro dossier scottante su cui occorrerebbe intervenire con la massima urgenza è la direttiva Ue che prevede il divieto di produzione e vendita di auto a motore endotermico (benzina, diesel, GPL, metano) a partire dal 1° gennaio 2035, cioè tra poco più di 10 anni. Una direttiva che peraltro, neanche a farlo apposta, prevede guarda caso una deroga proprio per le super-carPorsche, Ferrari, Lamborghini, ecc. – mentre per tutti gli altri poveri mortali prescrive l’obbligo di emissioni di CO2 zero, requisito soddisfatto solo dalle auto full electric.

Tralasciando il fatto che l’Ue non ha le idee chiare nemmeno sulla metodologia di calcolo delle emissioni di CO2 per l’intero ciclo di vita delle auto (dalla costruzione allo smaltimento), c’è da dire in aggiunta che le idee sono confuse anche su altri fronti, segno tangibile dei differenti interessi che le lobby di stanza a Bruxelles cercano di far passare come direttive cogenti tirando ciascuna l’acqua al proprio mulino.

Questa confusione di intenti è testimoniata, ad esempio, dal fatto che, accanto al bando delle auto a motore endotermico, si parli al tempo stesso di biocarburanti e di e-fuel, da taluni intesi come estremo tentativo di salvare tutto il know-how e il settore dell’industria automobilistica europea dei motori endotermici ma tralasciando di considerare che i quantitativi realisticamente producibili di entrambe le tipologie di carburanti “green” sono così esigui e a costi così elevati da renderle di fatto un privilegio per pochi, minando alle fondamenta il concetto fordista di automobile bene per tutti, quello stesso concetto che ha portato nel Secondo Dopoguerra un benessere diffuso per vaste fasce di popolazione e un miglioramento significativo della qualità della vita a tutti i livelli.

Ebbene, oggi tutto questo viene messo in discussione in ossequio pedissequo alla teoria del cambiamento climatico di origine antropica che è ben lungi dall’essere stata dimostrata scientificamente.

Cosa dovrebbe fare il nuovo Parlamento europeo in tal proposito? Cancellare questa direttiva e spingere invece la ricerca verso auto a motore endotermico sempre meno inquinanti, dove nella categoria degli inquinanti non debba mai più essere annoverata l’anidride carbonica che tutti noi sappiamo che inquinante non è.

Il sistema dei certificati ETS

Un altro dossier scottante che si inquadra nell’ambito più generale delle politiche “Net Zero” è quello del sistema dei crediti del carbonio, una tassa che abbiamo già analizzato su Atlantico Quotidiano originata dalla direttiva 2003/87/CE la quale, dal 1° gennaio 2005, strozza ogni attività in ambito Ue legata alla produzione di energia, alla produzione e trasformazione dei metalli ferrosi, alla lavorazione dei prodotti minerari e all’industria cartaria e che, dal 1° gennaio di quest’anno, è stata estesa anche al settore del traffico marittimo. Dulcis in fundo, essa verrà estesa ulteriormente a partire dal 1° gennaio 2027 anche ai settori dei trasporti privati, del riscaldamento degli edifici e dello smaltimento dei rifiuti.

Se consideriamo l’impennata del costo dei certificati ETS nei vent’anni della loro adozione – dai 20 EUR/tonCO2 circa del 2005 ai 75 EUR/tonCO2 odierni passando per un picco di 90 EUR/tonCO2 nel 2021 – ci rendiamo conto di quanto anacronistico, iniquo e inutile sia questo odioso balzello che rende il nostro sistema industriale ancor meno competitivo rispetto al resto del mondo che giustamente se ne frega altamente dei crediti del carbonio. Cosa dovrebbe fare il nuovo Parlamento europeo? Liberare l’economia da questi balzelli cancellando il sistema ETS, sic et simpliciter.

Il bando delle caldaie a gas

In cauda venenum, l’ultimo dossier su cui occorrerebbe intervenire è quello che prevede il divieto di produzione e commercializzazione delle caldaie a gas per il riscaldamento a partire dal 1° gennaio 2040. Questo provvedimento si inquadra anch’esso nella logica più ampia della strategia “Net Zero” e porta come conseguenza l’obbligo di fare ricorso alle pompe di calore elettriche, più costose e impegnative dal punto di vista manutentivo delle caldaie a gas, nonché più ingombranti ed esigenti dal punto di vista delle caratteristiche cui deve soddisfare l’impianto di riscaldamento a valle, come abbiamo visto qualche tempo fa sulle colonne di Atlantico Quotidiano, dove ricorderete che dimostrammo anche che la riduzione delle emissioni di CO2 effettiva conseguente all’adozione estensiva delle pompe di calore al posto delle caldaie a gas è solo del 6 per cento circa del totale.

Cosa dovrebbe fare il nuovo Parlamento Ue? Anche in questo caso, cancellare questa direttiva e lasciare facoltà di utilizzo del sistema di riscaldamento che ognuno riterrà più conveniente e/o congruo per le proprie esigenze.

Conclusioni

Come abbiamo visto, le sfide sono tante e non solo ovviamente nel settore delle tecnologie energetiche e in quella che viene impropriamente definita la “transizione green” ma anche in settori altrettanto determinanti come quello dell’immigrazione, della crescita economica, della salute, del welfare, dell’ideologia Lgbtq+ e dell’idea stessa di strategia dell’Unione. La domanda quindi che ciascuno di noi dovrà farsi questo fine settimana nel silenzio della cabina elettorale è: “Sono soddisfatto di come si sono sviluppate le politiche Ue nel corso degli ultimi trent’anni”?

Se la vostra risposta a questa domanda è “Sì!”, allora continuate pure a votare senza indugio per i partiti delle famiglie dei Popolari e dei Socialisti perché essi vi rappresentano e portano avanti le vostre istanze.

Se invece la vostra risposta è “No!”, allora non potrete far altro che dare la vostra preferenza a quelle formazioni che, confluendo in Ue in altre famiglie politiche, possono rappresentare quella svolta e quel cambio radicale che voi – come me – auspicate, con la speranza che dal 10 giugno si riesca finalmente a voltare pagina.

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