Economia

UniCredit-BPM: fusione italiana per una banca italiana

Il governo Meloni farebbe bene a non ostacolarla. Unicredit gioca separatamente su due fronti, uno tedesco e uno italiano, perché non esiste un mercato bancario europeo

Orcel unicredit © photology2000 tramite Canva.com

Diamo un’occhiata alla scalata in corso, di UniCredit (UCG) a Banco-BPM (BBPM).

Riassunto della puntata precedente

Già ci eravamo occupati della iniziativa di UCG sulla tedesca CommerzBank (CBK), inquadrandola nel contesto della unione bancaria. UCG ha messo le mani su circa il 21% di CBK. Al contempo, assicurandosi da eventuali deprezzamenti. In attesa dell’autorizzazione Bce ad aumentare la propria partecipazione sino al 29,9%; dello scadere di certi termini normativi; e del nuovo governo tedesco (come ultimamente precisato dall’ad di UCG, Andrea Orcel).

CBK essendo una banca grande, ma poco efficiente e poco profittevole, che UCG ristrutturerebbe assai bene, come già ha fatto con HVB, la propria grossa controllata tedesca. Una fusione solo tedesca, essendo una fusione transnazionale impedita dalla feroce ostilità di Berlino al completamento della unione bancaria.

Infatti, la moneta unica oggi, priva com’è di un unico sistema bancario, funziona a solo beneficio degli Stati membri – primo fra tutti la Germania – che accumulano avanzi commerciali e sono destinatari della fuga legale dei capitali (entrambe misurati da Target2). Per poi trattenere la moneta che ne deriva e ricavarne un vantaggio di finanziamento, il quale distorce la concorrenza fra imprese tedesche che si indebitano in Euro-tedesco ed imprese italiane che non riescono ad indebitarsi in Euro-italiano.

Il mercato bancario europeo non esiste. E ci fa molto piacere che tale concetto sia stato poi espresso pure dal leuropeissimo Andrea Enria, secondo il quale il gioco tedesco è a “intrappolare la capacità creditizia dentro i confini nazionali”. Concludevamo dicendo che UCG ha tutte le carte per acquisire CBK, fonderla con HVB e farci molti soldi, ma preservandola come società tedesca, non per costruire un campione europeo.

Perché Banco-BPM?

Ciò premesso, ad UCG resterà da sistemare le proprie attività in Italia, almeno altrettanto bene a come sistemerà quelle in Germania. Da noi, simili sono i problemi di redditività derivanti dalla discesa dei tassi, e simile la spinta a tagliare i costi.

Semmai, la differenza con la Germania è che, da noi, il processo di consolidamento del settore bancario è infinitamente più avanzato. Addirittura, da noi si è assistito all’unica acquisizione ostile: quella di UBI da parte di Intesa nel 2020. Sicché, ad UCG non restano moltissime possibili prede: scartata MontePaschi (MPS), non in vendita Crédit Agricole Italia (CA) e BNL, non disponibili BPER e Credem, al dunque non resta che BBPM. Un’offerta era già pronta all’inizio del 2022 e venne abbandonata solo per l’avvicinarsi della guerra in Ucraina.

Cosa è accaduto?

Lunedì 25 novembre, UCG ha presentato un’offerta pubblica di scambio (OPS) volontaria, sulla totalità del capitale di BBPM. Con soglia minima al 50%+1, cioè molto bassa. Con l’obiettivo di completarla entro giugno 2025.

Proponendo un rapporto di concambio di 0,175 azioni di nuova emissione di UCG per ogni azione esistente di Banco BPM. A giovedì sera, con l’azione UCG a €39,46 e BBPM a €7,48, l’offerta presenta uno sconto dell’8%, peraltro calante. Sicché, può essere debba essere arrotondata. Ciò che Orcel ha riconosciuto, non escludendo una componente in contanti; ma non deciderà prima di marzo.

Le sinergie di costo

Primariamente, l’acquisizione consentirà ad UCG di aumentare i propri profitti tramite l’assorbimento dell’altro istituto, per poi tagliare radicalmente i costi della entità risultante (sinergie di costo).

Quante teste cadranno, è difficile dire. Ma BBPM ha un rapporto costi/ricavi superiore. Ed UCG prevede €900M all’anno a regime, pari a circa il 14% della base di costo italiana del gruppo combinato al 2023. Oltre a €2B in oneri di integrazione, da spendersi entro 24 mesi dal giugno 2025. Ciò che Orcel presenta come risparmi “sulle forniture a tutti i livelli”, pretendendo che gli esuberi saranno pochi. Mentre, l’ad di BBPM Giuseppe Castagna traduce in “oltre 6.000 tagli di posti di lavoro in Banco BPM”, con comprensibile preoccupazione dei sindacati.

Fra i due, il secondo ci pare più credibile, anche se gli esuberi andranno spalmati, non solo sui dipendenti della banca acquisita (circa 19.000), ma pure della banca acquirente (circa 27.000). Quanto alle filiali, Orcel pretende che “non c’è molta sovrapposizione”. Un’affermazione risibile, ma che nasconde la furbizia di chi sa di poter dar poi la colpa all’Antitrust.

Quali i maggiori costi di copertura delle masse creditizie, è difficile dire. Sicuramente, il comunicato UCG anticipa “una copertura dei rischi più conservativa”, rispetto all’attuale di BBPM. Ma non v’è tema vada troppo in là, visto che è col margine di interesse che porta a casa il 60% dei propri ricavi netti.

Le sinergie di ricavo

Secondariamente, l’acquisizione consentirà ad UCG di aumentare i propri profitti da commissione, attraverso l’internalizzazione dei servizi alla clientela, nelle cosiddette fabbriche prodotto (sinergie di ricavo). Facile l’integrazione di assicurazioni vita e investment banking, ove pure BBPM dispone di proprie strutture (Banco BPM Vita e Banca Akros).

Ben più complicate le cose nell’asset management, a causa dell’improvvida vendita – nel 2017 decisa dal predecessore di Orcel, il francese Mustier – della grande società di asset management Pioneer ad Amundi, del gruppo CA. A fronte di un contratto di distribuzione in esclusiva per almeno l’80% della massa gestita, che dura fino al 2027.

Più volte Orcel ha cercato di rinegoziare la ripartizione delle commissioni e, specialmente, di abbassare la quota riservata ai prodotti Amundi. A regime, egli avrebbe l’obiettivo di alzare la quota di commissioni sull’asset management ad oltre l’80%. Contribuendo a generare ulteriori 1,4 miliardi di euro di commissioni all’anno.

Nel frattempo, si è mosso per ricostruire le competenze interne, perse con Pioneer. Ad esempio, pare abbia rifiutato di farsi socio di Amundi in Italia. Dipoi, ha formato una società con Azimut, sulla quale ha una opzione di acquisto. Dipoi ancora, ha formato team interni, per il momento dediti a riconfezionare fondi altrui sotto l’etichetta della casa. Infine, pare abbia trasferito ad Amundi fondi in gestione giusto un filo meno di quanto contrattualizzato, pagando le penali previste dal contratto.

In tal senso, l’acquisizione di BBPM porterebbe un contributo, attraverso la esistente partecipazione nell’asset manager quotato Anima, tanto più se l’Opa totalitaria su quest’ultima in corso si concluderà con successo.

I legami col Crédit Agricole

Tali ultime considerazioni debbono essere vagliate, alla luce del ruolo del CA. Primo socio di BBPM col 9,2%, ma unicamente a garanzia della distribuzione di propri prodotti assicurativi. A riprova della propria buona fede (ed a smentita delle molte speculazioni), fa sapere di non aver chiesto l’autorizzazione Bce a salire oltre il 9,9%, di non possedere azioni UniCredit, di aver sempre seguito una espansione “senza strappi e negoziando con chi in Italia ha asset da vendere” … accusando semmai UniCredit di usarlo come “spauracchio” onde costruire consenso alla propria OPS.

Certo, acquistò subito dopo la rinuncia di UCG nel 2022 … ciò che pare Orcel abbia considerato mossa ostile. Ma non è che possa veramente battagliare con UniCredit: ai clienti di quest’ultima fanno capo circa i ¾ dei fondi in Italia gestiti da Amundi. E non è che stia messo benissimo: in Borsa, da inizio anno perde l’1,69%, contro un guadagno del 52,92% di UCG; causa risultati piuttosto deludenti, da inquadrare nelle montanti difficoltà di economia e debito francesi.

Sicuramente, qualcosa in cambio vorrà. Sul piatto, ci saranno accordi distributivi: Orcel ha definito CA un socio “industriale”, il che implicherebbe continuare a distribuire una quantità si suppone ridotta di prodotti Amundi, di credito al consumo (Agos-Ducato) ed assicurativi danni/protezione (Crédit Agricole Assurances).

Sul piatto non dovrebbe esserci la quota in Anima (a dispetto del parere di Alessandro Penati), in quanto contraddittorio rispetto alle dette ambizioni di Orcel in materia di asset management; inoltre, Amundi già in passato aveva smentito un proprio interesse. Eppoi chissà. Non a caso, Orcel ha fatto annunciare un suo viaggio a Parigi, poi rinviato ed in ultimo confermato.

CBK

Tutto ciò pare piuttosto realistico: infatti, le critiche non si rivolgono alla circostanza che la fusione davvero permetta ad UCG di aumentare i propri profitti, in Italia. Bensì, alle conseguenze esterne ed accessorie. Di tali critiche ha offerto catalogo il ministro Matteo Salvini: in una dichiarazione stampa, una battuta stampa, una intervista, un’intervista volante.

Il primo argomento di Salvini è l’asserito fallimento della operazione CBK (“ero rimasto al fatto che UniCredit volesse crescere in Germania. Non so perché abbia cambiato idea”). In curiosa contraddizione con Giancarlo Giorgetti, il quale accusa Orcel dell’opposto (“come disse Carl von Clausewitz, il modo più sicuro per perdere la guerra è impegnarsi su due fronti”).

È ad entrambe che Orcel risponde, quanto afferma che l’OPS su BBPM “è autonoma e indipendente dall’investimento effettuato” in CBK, aggiungendo che manco i tempi coinciderebbero, visto che l’OPS italiana potrebbe concludersi prima che il prossimo governo tedesco si sia anche solo formato. E c’è da credergli in quanto stiamo parlando di due parti di UCG – lì la banca tedesca, qui quella italiana – le quali riorganizzano le proprie attività separatamente.

Anzi, a far di tutto perché Orcel fallisca con CBK, è proprio lo stesso Salvini. In quanto, ostacolando l’acquisizione in Italia – che è certamente ostile – egli fa propria la contrarietà alle acquisizioni ostili, già espressa dal cancelliere Olaf Scholz e dal suo ultimo ministro delle finanze Kukies.

L’italianità

Il secondo argomento di Salvini è la non-italianità di UCG (“UniCredit ormai di italiano ha poco e niente: è una banca straniera”).

Concetto opposto a quello di Giorgia Meloni, la quale non vuole banche controllate da fondi italiani, bensì banche “che hanno il loro core business in Italia”. E nessuno può mettere in dubbio che UCG-BBPM avrà il proprio core business in Italia.

Eppoi, è proprio la vicenda tedesca a dimostrare che UCG è italiana. I tedeschi non lasceranno mai che CBK si fonda con UCG, proprio perché banca italiana; mentre lasceranno che CBK si fonda con la controllata tedesca di UCG, HVB, perché banca tedesca ancorché di proprietà italiana.

In Germania, UCG non sta costruendo un nuovo campione italiano, bensì un nuovo campione tedesco: con sede a Monaco e quotazione a Francoforte, ancorché a controllo italiano. E non è che lo diciamo solo noi, ma pure l’ottimo Messina: “non è un’operazione transfrontaliera, sfatiamo questa convinzione. Perché porta ad una aggregazione tra banche che già operano nello stesso Paese”. Nessuno può mettere in dubbio che HVB-CBK avrà il proprio core business in Germania e, quindi, sarà tedesca tanto nella accezione dei crucchi, che di Meloni.

Per fondere UCG e CBK, cioè per italianizzare CBK, prima servirebbe una vera unione bancaria, ma l’opposizione tedesca è troppo forte: in effetti, insuperabile. Vuole il governo italiano opporsi ad un vero trasferimento delle nostre banche allo straniero? Ebbene, la pianti di perder tempo con il golden power e la pianti di star dietro al passaporto dei fondi azionisti di questa o quella banca. Invece, si aggiunga ai tedeschi nella loro feroce opposizione ad una vera unione bancaria. Noi non potremmo esserne più felici.

Bankitalia

Il terzo argomento di Salvini è l’asserita indifferenza di Bankitalia (“Banca d’Italia c’è? Che fa? Esiste? Che dice? Vigila?”). Asserita soltanto, però, in quanto non di indifferenza si tratta, bensì di mera impotenza: causata dal moncherino di unione bancaria (la supervisione e la risoluzione), che l’Italia ha subito in cambio della promessa di quella vera unione bancaria (vere banche europee, libera fusione UCG-CBK, libera circolazione dei capitali e dei finanziamenti, garanzia unica sui depositi) che non verrà mai.

Vuole il governo italiano far tornare in vita Bankitalia? Ebbene, esca da quel moncherino, rinunciando in toto alla abortita unione bancaria. Noi ne saremmo entusiasti.

A latere, quest’ultima salviniana polemica ha dato occasione, ad alcuni parlamentari, di ripresentare un vecchio progetto di legge, che adeguerebbe i poteri di nomina di governatore e membri del Consiglio superiore di Bankitalia alla normativa in vigore per la tedesca Bundesbank. Proposta che giudichiamo lodevole. Ma che c’entra niente con l’unione bancaria e le fusioni bancarie.

Il terzo polo finto

Il quarto argomento di Salvini è la preferibilità di una alleanza BBPM-MPS (“a me sta a cuore che realtà come Bpm e Mps … che potrebbero creare il terzo polo italiano, non vengano messe in difficoltà”), unico scopo di Orcel sarebbe bloccarla (“è un’operazione partita non per costruire ma per bloccare”).

Scriviamo alleanza e non fusione in quanto, poi, lo stesso Salvini si dice contrario alle fusioni: “chiudere sportelli, licenziare lavoratori e ridurre mutui e prestiti erogati … non è utile al Paese e non è gradito alla Lega”. Coerentemente, BBPM di fusione non ha mai potuto parlare.

Anzi, il 13 novembre 2024 essa annunciava sì di aver acquisito il 5% di MPS, ma doveva specificare di averlo fatto meramente a garanzia della distribuzione dei prodotti di asset management della propria collegata e presto controllata Anima (che, a sua volta, saliva al 4% di MPS). Né BBPM avrebbe potuto scrivere altrimenti visto che, lo stesso 13 novembre, Giorgetti tromboneggiava che la “politica bancaria e finanziaria” è volta a rafforzare l’azionariato di MPS (a “tenere Mps in mani salde e amiche”, traduce un banchiere): il suo mitico terzo polo è un incrocio azionario … non una fusione.

Purtroppissimo, un incrocio azionario non offre affatto le sinergie di costo e di ricavo offerte da una fusione. Il che è un problema, in quanto una banca più redditizia è meglio capitalizzata e, dunque, più capace di fare credito. Prova a contrario ne sia la stessa MPS, la quale ha passato un decennio a ridurre mutui e prestiti erogati poiché, di sportelli e lavoratori ne aveva tanti ma, di reddittività e capitale, meno di niente.

Anzi, a far di tutto per far fallire il terzo polo, è stato proprio il Tesoro di Giorgetti, che – con Salvini – non gradiva BBPM lanciasse un’OPS su MPS offrendo al mercato quelle stesse sinergie, che ora offre Orcel.

Il terzo polo vero

Opzione, peraltro, ancora teoricamente possibile, via assemblea straordinaria di BBPM. E potendo contare su quasi il 20% dell’azionariato MPS (BBPM 5%, Anima 4%, Caltagirone 5%, Delfin 3,5%), nonché su tempi sufficienti (nelle more dei pareri Consob, Bce, Ivass, Antitrust, PdC). E non dubitiamo un istante che l’ottimo Giuseppe Castagna sarebbe pronto a farlo. Né dubitiamo un istante egli disponga già di tutte le analisi, le simulazioni, le presentazioni e le bozze di documentazione necessarie alla sùbita bisogna.

A mancare, è unicamente il consenso di quello stesso Tesoro azionista al 11,7% di MPS, che ancor oggi – con le parole di Salvini – dice di non voler “chiudere sportelli, licenziare lavoratori”. In difetto, niente fusione, niente sinergie, niente voto favorevole dell’assemblea straordinaria di BBPM. E per volontà del Tesoro, non di BBPM.

Sicché, non sorprende che il Tesoro abbia convintamente smentito il suggerimento del Financial Times, di promulgare un decreto che consenta a BBPM di fare senza l’assemblea straordinaria: tale decreto agevolerebbe assai una fusione BBPM-MPS … ma è proprio il Tesoro di Giorgetti a non volerla. Magari cambierà idea ma, per ora, non la ha cambiata. Tutto il resto è ciarla.

La concorrenza

Il quinto ed ultimo argomento di Salvini, è che la fusione UCG-BBPM ridurrebbe la concorrenza (“a me le concentrazioni e i monopòli non piacciono mai).

Purtroppissimo, come a ridurre la concorrenza non è il minor numero di sportelli o di lavoratori, così non lo è il minor numero di generiche banche. Bensì, a ridurre la concorrenza è l’assenza di un numero sufficiente di banche redditizie, dunque capitalizzate, dunque più capaci di fare credito. E, siccome per avere banche redditizie servono sinergie di costo e di ricavo, ad aumentare la concorrenza servono le fusioni. Per paradossale che possa sembrare.

Ora, una volta completata la fusione UCG-BBPM, non resteranno moltissime banche di media dimensione: BPER, Credem, BNL, CA, MPS. Anzitutto MPS, visto che la quota che fa capo a BBPM-Anima andrà comunque ceduta (tant’è che Meloni, giustamente, constata che la banca toscana “rientra all’interno della partita”); e visto che MPS, tutta sola, è priva di convincenti prospettive reddituali e patrimoniali (checché ne pensi Giorgetti, convinto MPS sia ancora “un player importante nel mercato del credito”); e visto che lo suggerisce pure l’ottimo Messina (“ormai è partito un percorso che porterà a delle integrazioni successive … sono convinto che anche MPS, nell’attimo in cui lo Stato esce dall’azionariato, diventa una banca inserita nel contesto di mercato”).

Ma con chi fonderla? Meglio con BPER o Credem, se queste si degnassero. In difetto, perché non con una delle due francesi? Facciamo qui l’esempio di CA. Che faccia un’OPS su MPS in cambio di azioni Cariparma, fonda la risultante con Friuladria, le ristrutturi tutte per bene e ci faccia molti soldi. Ma costruendo un nuovo campione italiano, con sede a Siena e quotazione a Milano, ancorché a controllo francese.

Esattamente come UCG farà con CBK, costruendo un nuovo campione tedesco, con sede a Monaco e quotazione a Francoforte, ancorché a controllo italiano. Senza rischio che il campione italiano di CA diventi francese, per la stessa identica ragione per la quale non v’è rischio che il campione tedesco di UCG diventi italiano, cioè che alcuno costruisca un campione europeo: l’insuperabile opposizione tedesca ad una vera unione bancaria.

Di certo, un sistema con 3 grandi banche sarebbe ben più concorrenziale di quello attuale con 1 grande banca e ½. Senza contare che, dalle fusioni UCG-BBPM e qualcuno con MPS, risulterebbero parecchi sportelli (dalla prima c’è chi dice fino a 200) da cedere alle restanti banche oggi di media dimensione, domani chissà. Altro che ridurre la concorrenza.

Conclusioni

Insomma, con la doppia fusione HVB-CBK e UCG-BBPM, ad essere riorganizzato non è il mercato bancario europeo (che non esiste), bensì mercato bancario tedesco e il mercato bancario italiano. Ad opera dello stesso attore – è vero – ma separatamente. Nonché con un disegno efficiente e propizio alla ripresa creditizia. Perciò, UCG ha tutte le carte per completarle entrambe.

E se il Tesoro italiano davvero volesse far politica creditizia, bene farebbe ad incoraggiare le fusioni, anziché continuare a baloccarsi con la difesa occupazionale, gli incroci azionari e l’impossibile indipendenza di MPS. È il mercato, bellezza.

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