Unicredit-Commerzbank: fusione solo tedesca per una finta moneta unica

L’affare si farà, ma non per costruire un “campione europeo”. Insuperabile l’opposizione tedesca ad una vera unione bancaria, ancora deluse le speranze degli euroentusiasti

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Orcel Scholz Unicredit

Diamo un’occhiata alla scalata in corso, dell’italiana UniCredit (UCG) alla tedesca CommerzBank (CBK).

Cosa è accaduto?

La prima avrebbe cominciato ad acquisire meno del 3% delle azioni, nel 2023. Poi l’1,7%, attraverso una combinazione di opzioni detta total return swap, ad agosto 2024. Poi di nuovo il 4,5% dal governo tedesco, che le offriva in una asta ad invito detta accelerated bookbuild e forse meno che perfetta, annunciata il 3 e fatta il 10 settembre. Poi ancora, un ulteriore 11,53%, attraverso due nuovi total return swap, il 23 settembre.

In totale, UCG ha messo le mani su circa il 21% di CBK. Assai più del secondo azionista, il governo tedesco, fermo al 12%. Una quota talmente alta, da rendere a potenziali rivali la vita assai difficile.

Inoltre, i due total return swap hanno una vita singolarmente lunga: due anni, a mostrare un atteggiamento di paziente attesa. Infine, la posizione pare essere – almeno in parte – assistita da una assicurazione detta collar, con la quale UCG rinuncia ad eventuali apprezzamenti e deprezzamenti del titolo CBK, bloccando il prezzo di acquisto a quello del 23 settembre.

In totale, un eventuale fallimento della scalata costerebbe, ad UCG, il mero costo opportunità sui denari investiti. Non una gran cosa, a fronte del plausibile crollo azionario che subirebbe CBK.

Infine, UCG ha chiesto a Bce l’autorizzazione ad aumentare la propria partecipazione sino al 29,9%. Appena sotto la soglia che – ai sensi della legge tedesca – se raggiunta renderebbe obbligatoria un’OPA.

Perché adesso?

Il momento è adatto, in quanto le migliori banche escono da un periodo di alti tassi di interesse, che ne hanno sostenuto i profitti e, quindi, il patrimonio e le valutazioni. Oggi, che la spinta derivante dai tassi elevati inizia a svanire, esse sono spinte a cercare altre vie per aumentare i propri profitti: perché no l’acquisizione di altri istituti, da assorbire per poi tagliarne radicalmente i costi? E ciò a prescindere dalle molte chiacchere che si fanno in merito alla necessità di raggiungere soglie dimensionali minime, per investire meglio in tecnologia.

Altri istituti, i quali necessariamente operino negli stessi mercati nei quali le banche acquirenti siano già attive. Come è il caso del mercato tedesco, per UCG, la quale lì già possiede una banca importante, HVB, acquisita nel 2005. E come suggerisce pure l’annunciata offerta del BBVA per l’acquisizione carta-contro-carta del Banco Sabedell: il primo si libererebbe della britannica TSB, controllata dal secondo, in modo da concentrarsi sul mercato spagnolo, nel quale veramente i costi da tagliare sarebbero importanti.

Perché in Germania?

Se ciò è vero, in un mercato che pure esce da un lungo periodo di consolidamento (la Spagna ha ora 10 banche rilevanti, rispetto alle 55 prima del 2008), figurarsi quanto più sia vero nel mercato tedesco, che tale consolidamento non ha mai subìto (la Germania di banche ne ha centinaia, fra Sparkasse, banche cooperative e residue Landesbank). La quota di attività delle cinque maggiori banche è del 69% in Spagna, del 48% in Italia. Mentre di un misero 34% in Germania: in assoluto la più bassa della Eurozona (a parte il Lussemburgo, che è solo una cassaforte).

La ragione essendo che l’economia tedesca ha sì sofferto della crisi del 2008 ma, a quel tempo, Bruxelles ancora lasciava agli Stati ricapitalizzare le proprie banche con ogni dovizia: ciò che accadde proprio con CBK. Dipoi, la Germania non ha sofferto della crisi dell’Euro (anzi, invero ne ha profittato). Precisamente quella crisi che – nel resto d’Europa – costringeva governi ed autorità di vigilanza a smantellare gli ostacoli che solitamente impediscono le fusioni bancarie nazionali. Prima facendo acquisire le banche piccole e deboli ai rivali maggiormente in salute. Poi consentendo persino una (unica) acquisizione ostile: quella di UBI da parte di Intesa nel 2020.

In Germania, la situazione è talmente incancrenita che, ancor oggi, si possono sentire argomenti come: “l’integrazione di due grandi banche è estremamente difficile … non possiamo permetterci un simile stallo”, oppure “in caso di fusione, le esposizioni creditizie di alcune società dovrebbero essere ridotte per evitare sovraesposizioni”. Oppure che “solo perché una fusione sembra buona sulla carta, non significa che verrà eseguita bene”. Oppure addirittura, che “un’ulteriore concentrazione tra le banche” penalizzerebbe le PMI tedesche. Discorsi veri ma secondari, in Italia non si sentono da 10 anni o più.

Perché Commerzbank?

Tutto ciò fa sì che una fusione fra UCG e CBK non offra alcun problema alle autorità che vigilano sulla concorrenza.

Ma fa pure sì che CBK sia poco profittevole (nonostante il suo management blateri il contrario), tratti con uno sconto di circa il 40% sul patrimonio contabile e capitalizzi appena 1/3 di UCG. Di fatto, le sue dimensioni in assoluto piuttosto elevate (42.000 dipendenti) per essa rappresentano un peso.

Ad esempio, il rapporto fra spese diverse da interessi ed entrate (efficiency ratio) è pari al 59% per CBK. Ben al di sopra del 39% della grossa controllata tedesca di UCG, HVB. Negli anni ben ristrutturata e resa assai profittevole, pur senza diminuzione del monte crediti. Con le parole di un analista tedesco: “UCG ha una formula che funziona e potrebbe avere senso replicarla con un’altra banca tedesca”.

A parte ciò, Commerzbank ha pure il 30% dei pagamenti legati al commercio estero tedesco e 25.000 clienti business. I quali vengono trattati fin troppo bene: una banca compiutamente europea tenderebbe ad arbitrare i propri fondi, in parte collocandoli presso clienti più profittevoli, magari fuori dalla Germania pur se sempre dentro la stessa moneta. Come confessato serenamente dall’ad di UCG, Orcel, il quale invoca “la libera circolazione dei capitali e dei finanziamenti” e vuole che le banche europee possano “operare oltre confine con facilità, incanalando il capitale dove è più necessario” … cioè meglio remunerato. Il che sarebbe possibile, pur se nei limiti imposti dai molti divieti alla trasferibilità della liquidità e del capitale in eccesso, ancora in essere nella nostra incompleta banking union.

Un caso di scuola, per chi vuole creare valore attraverso una fusione transnazionale. Ma pure anatema per i sindacati, che difendono i posti di lavoro. E per le imprese, che difendono il proprio accesso al credito e a buon mercato. È tale congerie che si riferisce CBK, quando dice di voler “tenere conto degli interessi di tutti gli stakeholder”, inclusi dipendenti e clienti.

Cosa c’entra il completamento della banking union?

Visto dal punto di vista della economia tedesca in generale, però, l’aspetto più preoccupante è il quarto menzionato, quello della circolazione dei finanziamenti. Che prima abbiamo visto guardando ad una singola banca.

Guardando alle banche tutte insieme, la moneta unica oggi, priva com’è di un unico sistema bancario, funziona a solo beneficio degli Stati Membri – primo fra tutti la Germania – che accumulano avanzi commerciali e sono destinatari della fuga legale dei capitali (entrambe misurati da Target2). Per poi trattenerne la moneta che ne deriva e ricavarne un vantaggio di finanziamento, il quale distorce la concorrenza fra imprese tedesche che si indebitano in Euro-tedesco ed imprese italiane che non riescono ad indebitarsi in Euro-italiano. Basti dire che – fra il 30 giugno 2011 ed oggi – il monte crediti da banche domestiche al settore privato non finanziario è salito in Germania del 43% e sceso in Italia del 15%. Sicché, si può ben dire che la moneta unica è una finzione.

Una finzione sulla perpetuazione della quale i tedeschi contano moltissimo, per far finanziare alla piazza finanziaria di Francoforte la caterva di soldi necessari al loro riarmo ed alla loro trasformazione ecologica e digitale. Lo han ribadito Scholz e la Mauderer. Quella stessa caterva che Draghi provocatoriamente propone di far finanziare alla Ue. Mentre il Nagel di Bundesbank pone e pone ancora ostacoli assai alti alla formazione di un unico sistema bancario della moneta unica, cioè al completamento della banking union. Completamento del quale una fusione fra UCG e CBK rappresenterebbe un primo – pur modesto – tassello.

Tanta rabbia a Berlino

Di qui, la reazione rabbiosa dei partiti tedeschi. Dopo aver acquisito il 9%, non è chiaro se UCG abbia avuto o meno colloqui col governo di Berlino. L’unica cosa certa è che quest’ultimo ha sospeso la prevista vendita delle altre azioni ancora in suo possesso.

Per reazione, UCG ha acquisito l’ulteriore 11,53%. Sentendosi replicare dalla cancelleria che: “Berlino sostiene la strategia di CBK orientata all’indipendenza … noi non sosteniamo un’acquisizione e ne abbiamo informato UCG”. Poi, dal cancelliere Scholz in persona, che: “attacchi e acquisizioni ostili non sono una buona cosa per le banche, ed è per questo che il governo tedesco si è chiaramente posizionato in questa direzione”.

Seguito dal capo dell’opposizione, l’altrimenti ottimo Merz, il quale definisce “un disastro” l’avvenuta brillante ristrutturazione di HVB e lascia una propria deputata blaterare che il cancelliere dovrebbe “prendere il prossimo aereo per Roma e dire a Meloni che questa scalata non può avvenire”. Persino il ministro Lindner, che pure aveva venduto ad UCG il 4,5%, si è detto “irritato”.

Tanta speranza in Bce

La difficoltà, per i partiti tedeschi, è che – in teoria – a decidere non sono loro, ma Bce. La quale insiste proprio per il completamento della banking union. È la sua priorità, diremmo esistenziale: per il futuro, o il sistema bancario viene unificato e la moneta cessa di essere trattenuta, oppure la moneta unica continuerà ad essere una finzione. La differenza fra un euroentusiasta ed un euroscettico è che il primo si illude che tale unificazione possa accadere, il secondo sa che non accadrà. Bce deve credere che accadrà.

Ed è questa la materia della quale son fatti gli esercizi retorici dei Draghi, dei Letta e dei Torres Vila, quando blaterano del bisogno di aziende più grandi per competere nel globo terraqueo contro americani e cinesi. È di banche che stanno veramente parlando, cioè di moneta: della moneta non veramente unica che loro e Bce disperatamente vogliono far diventare unica … ma i tedeschi no.

Perciò, Bce sostiene le fusioni bancarie con decisione: senza riguardo ai rischi di concentrazione e, tanto meno, ai bancari licenziati ma, unicamente, agli effetti sulla solvibilità. Testimone, il suo comportamento in merito alla menzionata offerta del BBVA sul Sabedell: annunciata il 1° maggio ed aggiustata il 2 ottobre. Nonostante l’opposizione del Sabadell e del governo spagnolo (qui sulla base di rischi per il personale, principalmente), Bce veniva interessata il 5 giugno e, il 5 settembre, dava il proprio via libera. Senza aspettare né la Consob, né l’Antitrust spagnuoli, i quali ancora debbono pronunciarsi. Con De Guindos che presentava tale fusione come prodromica a successive fusioni con altre banche dell’Eurozona.

Fine della già mutila Unione Bancaria?

Ciò nonostante, l’opposizione dei governi continua a preoccupare. In Spagna, perché Madrid non ha il potere di bloccare l’acquisizione, ma ha bensì quello di bloccare la fusione. E, senza i risparmi ed i licenziamenti che verrebbero dalla fusione, l’affare non avrebbe senso.

In Germania, perché Berlino – pur mancando di poteri adatti, salvo quello di ritardare l’espletamento delle procedure autorizzative sino a forse un anno – sembra disposta ad uscire dalla finzione e rovesciare il banco, ricusando la banking union: “siamo favorevoli all’apertura dei mercati dei capitali in Europa, ma sono importanti anche altri aspetti, per esempio come i prestiti alle nostre imprese possono essere salvaguardati”. Mostrando – notano a Bruxelles – come il governo tedesco non sia “seriamente a favore dell’integrazione europea e dell’unione bancaria”. Circostanza già ben nota a chiunque abbia gli occhi per guardare.

Il ritorno del mitico Weidmann

Naturalmente, una ricusazione esplicita sarebbe un passo temerario. Più prudente lasciare cercare un accomodamento a chi sa di cosa si parla. Lo ha fatto trasparire il ministro Lindner: gestire UCG “spetta al consiglio di sorveglianza di Commerzbank”. Lo Aufsichtsrat, il cui vp ha detto che parlare di risparmi di costo lo fa “vomitare”, seguito da un altro membro che ha insultato Orcel come “inaffidabile e bugiardo”.

Per sorte, a presiedere tale bigoncio di sindacalisti fuori dal tempo è un politico sperimentato: Jens Weidmann. Il quale – da presidente di Bundesbank –, negoziò con Mario Draghi che gli acquisti del QE fossero in misura preponderante compiuti, non da Bce direttamente, ma dalle banche centrali nazionali: in modo che queste ultime non si fondessero veramente, che potessero sempre e facilmente spacchettare la finzione che è Bce.

Giureremmo ci sia proprio lui, dietro commenti tipo: “se UCG acquisisse CBK, Berlino potrebbe trovarsi nella posizione di dover salvare la banca italiana, in caso di crisi finanziaria”. Recentemente ripresi dall’ad di CBK Orlopp (con enfasi tale da costringere l’euroentusiasta Bufacchi ad una curiosa serie di imbarazzanti contorsioni). Quest’ultima lodata come ad “ideale” dallo stesso Weidmann.

Ad occhio, uno come Jens rifiuterebbe una fusione con UCG come fosse la peste, a beneficio di una fusione con la controllata tedesca di UCG, HVB. Preservando CBK come società in maggioranza posseduta da UCG, ma con sede e quotazione a Francoforte, cioè tedesca: in modo che nemmeno pensi a prestare soldi fuori dalla Germania. In cambio, nulla osterebbe a che UCG licenzi il personale che desidera e trasformi la nuova società nella più profittevole banca tedesca. L’importante, è che resti tedesca.

Una fusione solo tedesca?

Può UCG accettare un simile accomodamento? Ad occhio sì. Recentemente, abbiamo sentito il Messina di Intesa spiegare che, nel caso di una transazione transnazionale, è troppo difficile ridurre i costi del personale abbastanza da ottenere la necessaria remunerazione. Mentre, una fusione fra HVB e CBK funzionerebbe proprio perché si tratta di due banche tedesche. Seguito dal Nagel di Mediobanca, secondo il quale la fusione fra CBK ed HVB “non sarebbe qualificabile come una fusione transnazionale”.

Lo stesso Orcel insiste nel dirsi un semplice investitore, che non vuole spostare la propria sede via da Milano, chiede remunerazione e una fusione solo se col sostegno del governo tedesco. Un Orcel, dunque, apparentemente in accordo col piano che abbiamo messo in bocca a Weidmann.

Così facendo, nei propri affari tedeschi UCG otterrebbe grandi economie, il che sarebbe importante di suo. Ma ancor più importante sarebbe in sede di disfacimento della moneta unica: la banca avrebbe una meravigliosa copertura, e potrebbe vendere la propria partecipata tedesca con ulteriore enorme profitto.

Peraltro, rispetto al vecchio Piano Mustier, in tale nuova ipotesi UCG quoterebbe a Francoforte solo le proprie attività tedesche … e non tutte le attività fuori dall’Italia. Just in case, sarebbe una conferma che il problema non è più Italexit, ma Dexit.

UCG, in definitiva, accetterebbe di sancire il trionfo tedesco nella lunga guerra al completamento della banking union (cioè a rinunciare al vantaggio di finanziamento delle proprie imprese, cioè a che la moneta unica cessi di essere una finzione). Così condannando il destino della moneta unica. Ma, perlomeno, UCG si sarebbe attrezzata al disfacimento di quest’ultima.

Conclusioni

Insomma, UCG ha tutte le carte per acquisire CBK e farci molti soldi, ma non per costruire un campione europeo. In quanto, l’opposizione tedesca ad una vera unione bancaria è troppo forte: in effetti, insuperabile. Perciò, ciò che gli euroentusiasti cercheranno di vendere come un passo avanti verso Leuropa unita sarebbe, in effetti, un passo avanti verso il ritorno del Marco tedesco.

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