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20 milioni per il “brand Biden”, ma ecco l’indagine farsa per seppellire il caso

Nominato un procuratore speciale, lo stesso che ha già sabotato le indagini. Ecco le prove dei bonifici. Clamorosi il doppio standard rispetto a Trump e il silenzio dei media

Biden Family

Di farsa in farsa. Il Dipartimento di Giustizia di Biden si è visto alla fine costretto a nominare un procuratore speciale sul “caso” (vedremo poi perché tra virgolette) che coinvolge il figlio del presidente, Hunter Biden, dopo che il generosissimo, senza precedenti accordo di patteggiamento è saltato davanti ad un giudice.

Weiss ineleggibile

Perché una farsa? Innanzitutto perché, come hanno osservato diversi giuristi, tra cui l’ex procuratore federale Andrew McCarthy, il procuratore del Delaware David Weiss chiaramente non ha requisiti per il ruolo di procuratore speciale. L’Attorney General Merrick Garland ha tutta l’autorità di assegnargli il caso (che tra l’altro già seguiva da anni), ma il regolamento prevede che i procuratori speciali non facciano parte del governo, tanto meno del Dipartimento di Giustizia.

Come afferma senza ambiguità la sezione 600.3 del regolamento, “il procuratore speciale deve essere selezionato al di fuori del governo degli Stati Uniti”. E questo per una ragione banalissima: se un procuratore speciale si rende necessario perché c’è un legame tra il presidente e l’indagine che crea un profondo conflitto di interessi per il Dipartimento di Giustizia, allora esso dovrà essere scelto tra ex procuratori che non lavorano per l’amministrazione in carica.

Non potrebbe esserci un conflitto di interessi più serio e palese di un Dipartimento di Giustizia che sta conducendo un’indagine sul figlio del presidente che coinvolge il presidente stesso in una condotta potenzialmente criminale.

Il sabotaggio dell’indagine

Ma c’è di più: non solo Weiss è un funzionario del governo e del Dipartimento di Giustizia di Biden, e resterà in carica come procuratore nel Delaware. È lo stesso procuratore che ha collaborato con gli avvocati di Hunter alla stesura di un patteggiamento indifendibile, uno scudo totale sui gravi reati che sarebbero potuti emergere dall’indagine, in cambio della sua ammissione di colpevolezza per due reati fiscali minori – per i quali Weiss aveva promesso di raccomandare una pena senza reclusione. Un accordo talmente al di fuori degli standard del Dipartimento di Giustizia da essere stato contestato da un giudice.

Da tutto ciò è evidente che Weiss è stato nominato per coprire piuttosto che scoprire la corruzione dei Biden, per continuare l’operazione di demolizione controllata dell’indagine che sta conducendo da anni. Se l’AG Garland avesse nominato un vero procuratore speciale, cioè esterno all’amministrazione, avrebbe perso il controllo sul “caso” e Biden non può permetterselo.

Come emerso dalle testimonianze al Congresso di due informatori dell’IRS (l’Agenzia delle Entrate Usa) che lavorarono al caso Biden, è Weiss che ha lasciato scadere il termine di prescrizione per qualsiasi reato derivante dalla presunta corruzione dei Biden nel biennio 2014-2015, gli anni dei rapporti con la compagnia energetica ucraina Burisma. Sapeva bene, quando gli è stata affidata l’inchiesta nel 2018, che il termine di prescrizione per i relativi reati fiscali era di sei anni, e per altri potenziali reati di cinque anni.

A causa del modo in cui Weiss ha rallentato e sabotato l’indagine, come ha spiegato McCarthy, qualsiasi reato commesso mentre Joe Biden era vicepresidente è ora prescritto.

Sempre Weiss non ha mai incriminato Hunter Biden, anche se i suoi reati di evasione fiscale e possesso di armi da fuoco erano chiari e ben noti da molti anni, perché l’incriminazione avrebbe impedito lo scadere dei termini di prescrizione. La rivelazione più vergognosa nella testimonianza degli agenti dell’IRS è che gli avvocati di Hunter erano disposti a rinunciare alla prescrizione, pur di ottenere un patteggiamento che gli avrebbe garantito una immunità totale per tutte le condotte dal 2014 in poi, ma Weiss e il Dipartimento di Giustizia di Biden non hanno voluto, decidendo, invece, di far scadere i termini di prescrizione.

Ed è sempre l’ufficio di Weiss ad aver non solo ignorato il rapporto di una fonte “affidabile” dell’FBI in cui era descritto puntualmente lo schema corruttivo dei Biden con Burisma, così come alcune prove già corroborate dall’ufficio dell’FBI di Pittsburgh, ma anche nascosto l’esistenza stessa del rapporto agli investigatori dell’IRS che indagavano sul caso.

E ancora, sono stati i collaboratori di Weiss a ordinare agli agenti dell’IRS di evitare di fare domande ai testimoni sul “pezzo grosso” e “papà”, al fine di garantire che l’indagine non arrivasse al presidente. Sono stati i suoi collaboratori a informare gli avvocati del figlio del presidente che Hunter aveva trasferito documenti chiave in un armadietto per il quale Weiss sapeva che gli agenti dell’IRS stavano per chiedere un mandato di perquisizione.

Sono stati i pubblici ministeri di Weiss a dire al giudice Maryellen Noreika che l’indagine era ancora in corso e Hunter Biden poteva ancora essere accusato, il che ha fatto saltare il patteggiamento, perché gli era stata offerta una immunità completa. Nessun procuratore che avesse tra le mani una seria indagine di corruzione politica, con prove evidenti che milioni di dollari sono effettivamente arrivati dalla vendita del “brand Biden”, regalerebbe un patteggiamento su due reati fiscali minori. Hunter non ha pagato le tasse per nascondere le fonti e gli importi di quei pagamenti.

20 milioni per il “brand Biden”

Perché, allora, la nomina di Weiss a procuratore speciale, se aveva già così efficacemente seppellito l’indagine? Perché a differenza dei normali pubblici ministeri del Dipartimento di Giustizia, i procuratori speciali possono concludere il loro lavoro con un semplice rapporto finale.

E ora che le prove sempre più evidenti che stanno emergendo dalla Commissione di supervisione della Camera coinvolgono direttamente il presidente Joe Biden, serve un rapporto in cui si concluda che il presidente Biden non è stato coinvolto nello schema di vendita di influenza della famiglia Biden per trarre profitto dalla sua carica di vicepresidente. Uno schema durato anni, che Joe Biden avrebbe potuto interrompere subito, ma non l’ha mai fatto, perché era lui il business.

A indurre l’AG Garland a rompere gli indugi sulla nomina di un procuratore speciale, la novità arrivata la scorsa settimana dalla Commissione, guidata dal Repubblicano James Comer, che ha pubblicato i documenti bancari che provano i bonifici per oltre 20 milioni di dollari ricevuti dai Biden e dai loro soci da agenti di governi corrotti e antiamericani (Russia, Ucraina e Kazakistan), gran parte dei quali prima del 2017, quando Joe era vicepresidente.

Nessun vero servizio o prestazione dietro questi pagamenti, solo l’accesso alla “rete Biden”, incluso il vicepresidente in persona. Durante la vicepresidenza del padre, Hunter ha venduto il “brand Biden”. Milioni di dollari da Yelena Baturina, dai vertici di Burisma e dal kazako Kenes Rakishev, con i quali il vicepresidente Biden ha cenato a Washington tra la primavera del 2014 e la primavera del 2015.

I bonifici documentati

Tra i pagamenti rintracciati, il 14 febbraio 2014, quello dell’oligarca russa Yelena Baturina, vedova dell’ex sindaco di Mosca, che ha trasferito 3,5 milioni di dollari ad una società di comodo associata a Hunter Biden e Devon Archer. Circa 1 milione è stato trasferito ad Archer e il resto è stato utilizzato inizialmente per finanziare un nuovo conto aziendale, quello della Rosemont Seneca Partners, che Archer e Biden hanno utilizzato per concludere affari con società cinesi. E chi si è salvata dalle sanzioni Usa contro gli oligarchi russi? La Baturina.

Schema dei pagamenti dalla Russia (House Committee on Oversight and Accountability)

Nella primavera del 2014, Archer e Hunter Biden entrano nel consiglio di amministrazione di Burisma, da cui ciascuno di loro riceverà 1 milione di dollari all’anno, in cambio dell’influenza politica dei Biden a favore dell’azienda, come ammesso dal fondatore di Burisma, Mykola Zlochevsky. Come noto, l’allora vicepresidente Joe Biden, dopo diretta richiesta dei vertici di Burisma, con i quali fu messo in contatto telefonico dal figlio Hunter, ottenne da Kiev il licenziamento del procuratore ucraino che indagava sulla società per corruzione.

Zlochevsky ha confidato ad una fonte dell’FBI di essere stato “in qualche modo costretto a pagare i Biden per assicurarsi che il procuratore generale ucraino Viktor Shokin fosse licenziato”. Intervento dei Biden gli sarebbe costato 10 milioni di dollari, 5 milioni ciascuno a Joe e Hunter. Lo stesso Joe Biden si vantò pubblicamente di aver ottenuto da Kiev la rimozione del procuratore.

Il 22 aprile 2014, l’oligarca kazako Kenes Rakishev ha inviato un bonifico del valore esatto del prezzo dell’auto sportiva di Biden su un conto bancario utilizzato da Archer e Biden. Il giorno successivo è stato effettuato il pagamento per l’acquisto dell’auto sportiva. Dopo aver ricevuto il bonifico per l’auto sportiva, Archer e Biden hanno organizzato una visita dei dirigenti di Burisma in Kazakistan nel giugno 2014 per valutare un accordo a tre tra Burisma, una società statale cinese, e il governo del Kazakistan.

Il bonifico da Kenes Rakishev (House Committee on Oversight and Accountability)

Mai esistita una vera indagine

I numeri che però McCarthy invita a considerare non sono i 20 milioni, ma le date: 2014 e 2015. Cosa impedisce ai tempi di prescrizione di trascorrere fino alla scadenza? Il deposito di un atto d’accusa. E dal 2018, da quando ha aperto il “caso” su Hunter Biden, il Dipartimento di Giustizia di Biden non ha chiesto una sola incriminazione.

Come abbiamo visto anche nelle precedenti puntate, non è mai esistita una vera indagine, nel senso di una indagine condotta in modo tale da formalizzare una ipotesi di reato e acquisire le prove per arrivare ad una incriminazione.

Nel 2019, era ovvio che c’erano reati fiscali significativi, oltre ad un reato per possesso illegale di armi da fuoco. Se ci fosse stata una vera indagine – come quella condotta nei confronti del consigliere della Campagna Trump Paul Manafort, la cui violazione era simile a quella in cui sembrano coinvolti i Biden – ci sarebbero stati gli estremi anche per riciclaggio di denaro e violazione del Foreign Agent Registration Act (FARA). Ma mentre Manafort fu incriminato, con i Biden il Dipartimento di Giustizia è rimasto seduto ad aspettare che scadessero i termini di prescrizione. Una “inazione strategica”.

Il risultato infatti, osserva McCarthy, è che le accuse riguardanti le prove di corruzione più gravi, quelle prima del 2016 – e forse anche prima del 2017 o 2018 in alcuni casi – sono già prescritte.

Una volta saltato il patteggiamento, lo scorso 26 luglio, a causa delle domande mirate del giudice Maryellen Noreika sulle condizioni generose offerte a Hunter Biden, il passo successivo per qualsiasi procuratore sarebbe ovvio: andare dal Gran Giurì e depositare una richiesta di incriminazione. Ciò non impedirebbe al governo di offrire a Hunter un altro patteggiamento, ma assicurerebbe che qualsiasi accusa per cui non siano già scaduti i termini possa essere perseguita. Ma dopo due settimane, non è arrivata alcuna incriminazione ed è stato nominato procuratore speciale, lo stesso che ha fatto scadere i termini di prescrizione.

Il Dipartimento di Giustizia di Biden sta cercando di sotterrare il caso, facendo affidamento sul fatto che i media amici non riporteranno al grande pubblico che la mancanza di un atto d’accusa continua a far scadere i termini di prescrizione di altri potenziali reati. In secondo luogo, se fossero formalizzate le accuse, come il procuratore speciale Jack Smith ha fatto nei confronti di Donald Trump, sarebbe politicamente insostenibile per il Dipartimento di Giustizia difendere l’accordo di patteggiamento offerto al figlio del presidente.

Dunque, non c’è alcun caso, nessuna vera indagine, solo quello che McCarthy definisce un “artificio cartaceo che consente a Garland e ai suoi di dire al Congresso e ai pochi giornalisti che fanno domande approfondite che non possono fornire risposte o documenti perché ciò potrebbe compromettere le loro indagini in corso – una di quelle straordinarie indagini che inciampano in un crimine dopo l’altro ma in qualche modo non portano mai alla presentazione di accuse”.