A chi si rivolge il revisionismo storico di Putin

Il crollo del mito sovietico della “Grande Russia” nel 1991 lasciò macerie nell’animo dei russi che il nuovo revanscismo putiniano ha lenito

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Oltre un secolo fa in “Teoria e storia della Storiografia” (1917) Benedetto Croce ci ricordò che “la storia è la storia viva, la cronaca la storia morta; la storia, la storia contemporanea, e la cronaca, la storia passata; la storia è precipuamente un atto di pensiero, la cronaca un atto di volontà. Ogni storia diventa cronaca quando non è più pensata, ma solamente ricordata nelle astratte parole, che erano un tempo concrete e la esprimevano”.

Il giudizio storico

Con queste parole l’Uomo di Pescasseroli afferma che la “storia è sempre contemporanea”. La contemporaneità di cui tratta la storia non è quella impossibile degli eventi che si svolgono nel tempo, ma quella che riguarda quegli avvenimenti che il pensiero dello storico sta pensando alla luce dei documenti che sta analizzando. La storiografia, quindi, non è cronaca grezza di avvenimenti, ma ricostruzione e giudizio dei fatti, sintesi di intuizione e concetto; è sempre etico-politica, cioè storia della vita morale e civile dell’uomo.

Croce, in un’opera successiva (“La storia come pensiero e come azione”, 1938) chiarirà che il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di “storia contemporanea”, perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni.

Considerazioni definitive che innervano oltre un secolo di studi che, però, sono rivolte – come sempre in Croce – ad un auditorium ristretto, rispetto alla platea degli “umani”. Precondizione di questo auditorium è il – non solo – essere eruditi sui fatti raccontati, ma il possedere una vera “cultura”, composta e resa materia da una onestà intellettuale che percepisca l’urgenza “contemporanea” di trattare un tema, più o meno, remoto, ma che abbia il rispetto di non modificare il passato sull’altare dei propri interessi immanenti.

Il revisionismo russo

Ecco così che si affacciarono lontani ricordi di studi, ormai remoti nel tempo, alle parole che Vladimir Putin, in uno spasmo di revisionismo storico, concede al più ampio pubblico americano ed occidentale in una intervista rilasciata a Tucker Carlson, già giornalista di Fox News (licenziato per diffusione di fake news) il 9 febbraio 2024.

In questo (quasi) monologo il presidente russo, uso a dare patenti di “nazista” ad ogni possibile avversario, ha affermato che le profonde responsabilità del secondo conflitto mondiale sono a carico del governo polacco: “I polacchi tirarono troppo la corda e costrinsero Hitler a iniziare la Seconda Guerra Mondiale proprio da loro”, tirando in ballo la questione di Danzica ed i “giusti diritti dei tedeschi”. Questo esercizio retorico è di vecchia data nella Russia di Vladimir Vladimirovič.

Il 4 giugno 2009, sul sito del Ministero della difesa russo, apparve un articolo dello storico militare Sergej Kovaljov, il quale scri­veva: “Tutti sanno che la guerra in­cominciò per il rifiuto della Polonia di soddisfare le pretese tedesche. Ma è meno noto che cosa Hitler chiede­va a Varsavia. Le richieste della Ger­mania erano molto moderate: includere la città libera di Danzica nel Terzo Reich, permettere la costru­zione di una strada e una ferrovia ex­traterritoriali che unissero la Prussia Orientale con il resto della Germa­nia”. Secondo l’autore, “è difficile considerare queste richieste infon­date”. L’opposizione interna di quel lontano anno portò alla rimozione di questo discutibile contributo. Ora non sarebbe più possibile.

Parimenti nel 2023 in un articolo pubblicato dalla rivista ufficiale del Ministero degli esteri russo, rilanciato dall’agenzia Ria Novosti, quello di Katyn ritornò ad essere – come ai tempi di Stalin – un massacro compiuto dai nazisti, chiamando a prova testimonianze tanto incongruenti che perfino il procuratore russo a Norimberga, Roman Rudenko, evitò di farne uso nel processo. Nella vulgata putiniana non vi era spazio per la considerazione che Gorbaciov nel 1990 ammise le responsabilità sovietiche e porse le scuse a Varsavia e che nel 1992 Eltsin aprì e divulgò quanto vi era negli archivi sui fatti di Katyn.

In egual modo non vi fu mai quel trattato Molotov-Ribentrop (almeno nelle sue clausole segrete) che da decenni è incluso nei programmi scolastici di storia in occidente.

A chi si rivolge Putin

Non si tratta, qui, di confutare le bizzarre ricostruzioni storiche di Putin; i fatti sono così chiari che parlano da soli. Semmai vi è da chiedersi come sia possibile una tale revisione dei fatti. È ben vero che a nessuna nomenclatura politica – per di più se autoritaria – si può chiedere il rigore postulato dalla “contemporaneità” crociana, ma qui si è ad un livello molto più alto della banale fake news.

A chi si rivolge Putin? Ad una platea di ascoltatori e lettori occidentali? Anche, ma con non molto successo. Alcune nozioni base della storia sono ormai acquisite e possono trovare cittadinanza solo in animi disagiati. Si rivolge ai “suoi” russi? Probabilmente. Ma è mai possibile che la vulgata di un presidente, ancorché dotato di una vera popolarità, seppur gonfiata, possa fare presa su un popolo di oltre 140 milioni di unità?

È ben vero che il 19 maggio 2009 il presidente d’allora Dmitrij Medvedev emise un ukaz (decreto) con cui venne istituita una “Commissione presso il presidente della Federazione Russa per il con­trasto ai tentativi di falsificare la sto­ria a danno degli interessi della Rus­sia”. Una sorta di ministero della Ve­rità di orwelliana memoria.

Quando Medvedev parlò dell’ “inammissibilità” della “falsifi­cazione della storia”, particolarmente per quanto riguarda la Se­conda Guerra Mondiale, o “Grande guerra patriottica”, come viene chiamata in Russia, sintetizza la teoretica di “1984”: “Chi controlla il presente, controlla il passato; chi controlla il passato, controlla il futuro”. Da qui alla promulgazione di una legge che preveda la punizione di coloro che mettano in discussione “la nostra storia, l’eroismo dei nostri pa­dri e dei nostri nonni”, come allora disse Serghej Shoigu (adesso ministro della difesa), il passò fu breve.

Il mito della “Grande Russia”

Sarebbe mai possibile una tale falsificazione storica e tali norme di censura in Italia? Nonostante gli starnazzamenti dell’ANPI contro la “verità di regime”, assolutamente no! Come è possibile che il popolo russo accetti queste falsificazioni e queste norme che perseguono la ricerca storica?

Ogni popolo ha bisogno dei suoi “miti”, narrazioni in cui la storia diventa memoria collettiva e viene filtrata attraverso l’immagine mentale che la società ha creato per se stessa. I miti identitari non sono di per sé negativi, ma lo diventano quando sono il pretesto per manipolare la storia, nascondendone le pagine buie come accade nei regimi autoritari. Nel passato non ci possono essere ombre se si vuole instillare nelle persone un nazionalismo cieco; e nella Russia moderna il patriottismo ricopre un ruolo fondamentale, come sostenuto da Putin stesso.

Il mito della “Grande Russia”, reso unica cosa con quello dell’Unione Sovietica, quando si sfaldò nel 1991 – in un progresso di fatti da ricordare gli elementi costitutivi della “morte della patria” formulati da Ernesto Galli della Loggia, sul caso italiano – lasciò macerie nell’animo dei russi che il nuovo revanscismo putiniano ha lenito.

Non è senza importanza ricordare che esistono due termini per indicare chi o cosa è russo: russkij, che indica i russi etnici e la cultura russa, e rossijskij, legato alla cittadinanza russa e che comprende anche persone di etnia diversi, differenze intraducibili in italiano. Così nella Russia di oggi esiste il concetto di Russkij mir, che si traduce più o meno come “mondo russo” che identifica l’identità culturale e storica di un popolo.

I romani riconoscevano questo principio nella locuzione “Pro Aris et Focis”. Il nemico di questo “focolare” è il nazista: non quello defunto nella Berlino distrutta, ma tutto ciò che danneggia, ostacola o infama lo stato e il popolo russo. Povero don Benedetto, non avrebbe mai pensato che la sua “contemporaneità” finisse così male.

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