Esteri

A Taiwan vince la continuità. Voto più forte delle minacce di Pechino

Lai Ching-te nuovo presidente. La conferma di una democrazia matura che vuole resistere alle pressioni della Cina comunista. Pechino: “riunificazione inevitabile”

Lai Ching-te (Team Taiwan) Il nuovo presidente di Taiwan Lai Ching-te

Alle elezioni presidenziali nella Repubblica di Cina-Taiwan ha vinto con il 40 per cento dei voti il candidato favorito, il già vicepresidente Lai Ching-te, che porta con sé alla vittoria come sua vicepresidente la signora Bi-khim Hsiai (ex rappresentante dell’Ufficio di Taiwan negli Stati Uniti). Secondo Hou You-yi, del partito conservatore Kuomintang (KMT), con il 33 per cento dei consensi e terzo il 64enne Ko Wen-je, fondatore del nuovo arrivato Partito Popolare di Taiwan.

Diversa la distribuzione dei 113 seggi del Parlamento, dove il KMT strappa la maggioranza relativa (52 seggi contro i 51 del partito del partito del nuovo presidente), mentre Ko si ferma a 8.

Negli ultimi giorni la campagna elettorale era stata presentata come una scelta tra “guerra e pace” o “democrazia e autocrazia”. Oggi la nazione insulare di 24 milioni di abitanti ha affrontato le elezioni presidenziali più seguite dalle prime elezioni democratiche asiatiche del 1996. Le urne si sono aperte alle 8 del mattino e si sono chiuse otto ore dopo. Su venti milioni di aventi diritto al voto, quasi il 72 per cento l’ha esercitato, indice che Taiwan continua ad abbracciare con orgoglio l’idea democratica.

Scelta di continuità

La campagna è stata caratterizzata da un miscuglio di turbolenti eventi elettorali, notizie false e scandali politici, che spesso hanno messo in ombra i seri e complessi dibattiti politici sull’identità in evoluzione della Repubblica di Cina, sul suo posto in un mondo che, a causa della politica di Pechino, non la riconosce e sulla minaccia alla sua esistenza democratica reiterata dalla Cina Popolare.

La presidente uscente Tsai Ing-wen terminerà a maggio il suo secondo mandato, ma il suo vicepresidente, Lai Ching-te, ora eletto, si presenta come la scelta della continuità. Tsai e Lai provengono dal Partito Democratico Progressista (DPP), un gruppo contrastato da Pechino, che li considera separatisti.

La Cina Popolare vede Taiwan come una provincia e ha promesso da tempo di “riunificarla”, non escludendo l’uso della forza per raggiungere tale obiettivo, una prospettiva che minaccia di portare la regione, e forse il mondo, in un altro conflitto.

Come indicato, di fronte a Lai c’era l’ex capo della polizia, Hou You-yi, del partito conservatore Kuomintang (KMT), che sostiene la necessità di legami economici più stretti con la Cina Popolare. Entrambi i partiti si oppongono all’annessione cinese ma Hou si autodefiniva come il candidato che sarebbe stato in grado di impegnarsi in un dialogo con Pechino, di cui Lai sarebbe, secondo lui, “incapace”.

La politica interna

Premesso che il tema dei rapporti con la Cina Popolare incombeva sulle elezioni, anche le questioni interne sono state rilevanti. Secondo i sondaggi, la preoccupazione numero uno per gli elettori era l’economia. I salari reali sono cresciuti in media solo dell’1 per cento negli ultimi dieci anni e gli alloggi a prezzi accessibili rimangono fuori dalla portata di molti giovani.

I partiti di minoranza/opposizione accusano il DPP di cattiva gestione economica, ritenendolo responsabile della carenza di alcuni alimenti e dei blackout elettrici che hanno colpito l’isola negli ultimi anni.

I candidati hanno trascorso settimane viaggiando per Taiwan, organizzando eventi elettorali per centinaia di migliaia di persone nei templi, nelle scuole e nelle piazze delle città. Il tentativo del KMT di rinominarsi come partito della gente normale non ha convinto molti elettori più anziani e, chiaramente, serpeggia nei giovani la paura che Taiwan diventi la prossima Hong Kong, una “provincia” oppressa dal regime comunista e senza diritti democratici.

La terza via

Una terza opzione tra i due contendenti principali era rappresentata dal 64enne Ko Wen-je. Ko ha fondato nel 2019 il nuovo Partito Popolare di Taiwan. Ex chirurgo, si presentava come un tecnocrate che può offrire una “terza via”, oltre a risolvere problemi come la crescita dei salari e l’edilizia abitativa.

È un approccio che pare aver avuto particolare successo tra i più giovani, che non sembrerebbero preoccupati dalla sua posizione poco chiara sui rapporti con la Cina Popolare. Dalle prime analisi del voto Ko sembra aver sottratto il voto giovanile al DPP, che è comunque riuscito ad eleggere il presidente.

L’insolita corsa presidenziale del 2024 ha ribaltato, quindi, il tradizionale sistema a “due poli”, con un terzo partito che ha conquistato un numero importante di seggi. Si è quindi concretizzata la previsione che il DPP vincesse l’elezione per la presidenza ma perdesse la maggioranza alla Camera (113 seggi), rendendo il Parlamento potenzialmente instabile. Ad una prima analisi, al DPP rimane la possibilità di allearsi con Ko, che con i suoi 8 seggi diviene l’ago della bilancia per una maggioranza parlamentare a Taipei.

La minaccia di Pechino

Purtroppo, sul dopo elezioni incombe la minaccia della Cina Popolare – tema di primario interesse per il resto del mondo. Tempestive le congratulazioni a Lai dagli Stati Uniti, con il presidente Joe Biden che però si è affrettato a dichiarare, per “equilibrio strategico”, che Washington non sostiene l’indipendenza di Taiwan.  

Pechino utilizza come armi le esercitazioni militari, la coercizione economica, la guerra cognitiva e l’isolamento diplomatico per fare pressione su Taiwan e sul suo popolo affinché si arrendano senza combattere e accettino l’annessione. Giovedì, l’Ufficio cinese per gli affari di Taiwan aveva affermato di sperare che la maggioranza dei taiwanesi riconoscesse l’“estremo pericolo” di un potenziale scontro attraverso lo Stretto. Ieri ha commentato i risultati con un laconico “non impediranno l’inevitabile tendenza alla riunificazione“.

“Il popolo ha resistito con successo alle pressioni esterne”, ha commentato il presidente eletto Lai. La propaganda minacciosa della Cina Popolare è motivo di profonda preoccupazione per i taiwanesi e molti sono oramai stanchi anche solo di parlarne. Minacce che negli anni trascorsi dalle ultime elezioni sono diventate più gravi. Migliaia di taiwanesi si sono iscritti a gruppi di protezione civile, i magnati della tecnologia stanno finanziando la formazione delle milizie locali e ci sono segnali di investitori che sviluppano piani di emergenza.

Se il KMT avesse vinto, Hou avrebbe dovuto bilanciare la sua promessa di essere più amichevole con la Cina Popolare con le preoccupazioni di un popolo che è molto più sospettoso nei suoi confronti rispetto all’ultima volta che il KMT ha governato.

Oggi che sappiamo che il DPP ha vinto, una reazione ostile da parte della Cina Popolare è probabile, la domanda è quale forma assumerà. E quale forma assumerà il sostegno degli Stati Uniti e dell’Occidente di fronte alla pretese di Pechino.

Dall’Italia da registrare le congratulazioni del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, al presidente e alla vicepresidente eletti, con l’augurio che Taiwan continui ad essere un esempio di pace, democrazia e prosperità.

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