Esteri

Abrams e Leopard a Kiev: la svolta Usa che ha sbloccato l’impasse a Berlino

La guerra cambia volto: Washington rompe gli ultimi tabù sugli aiuti militari e convince Scholz, Putin pronto ad approfittare delle divisioni occidentali

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Si è spesso discusso della politica di Washington sulla guerra in Ucraina. Nonostante il fallimento della deterrenza prima dell’inizio del conflitto, e gli iniziali ritardi nella consegna di armamenti, gli Stati Uniti hanno progressivamente incrementato il supporto militare e politico all’Ucraina, attraverso l’invio di strumenti di difesa tecnologicamente avanzati e la pressione sugli alleati Nato volta a ricompattare l’Alleanza Atlantica – che fino al 24 febbraio scorso appariva in profonda crisi.

Il dibattito a Washington

Nel corso dei mesi, all’interno di apparati ed amministrazione Usa ha preso forma un dibattito sull’obiettivo finale del supporto all’Ucraina, un confronto tra fazioni e dottrine differenti. I cosiddetti “realisti” hanno avanzato delle perplessità e denunciato i rischi di un incremento del sostegno militare a Kiev che arrivasse fino al punto di causare una sconfitta della Russia.

Una posizione diffusa in particolare al Pentagono, che tuttavia è finita per essere strumentalizzata e alimentare false aspettative in Europa e in particolare in Italia. I discorsi pubblici di Henry Kissinger, del generale Mark Milley e di alcuni esponenti dell’amministrazione, tra cui lo stesso presidente Joe Biden, sono stati (volutamente?) mal interpretati da una parte della stampa e dalle istituzioni del nostro Continente, per sostenere la necessità di un negoziato, di fatto abbandonando Kiev, nell’ottica di una futura ripresa dei rapporti con Mosca.

L’intesa sui tank

Tuttavia, negli ultimi 60 giorni, nell’amministrazione Usa si è ulteriormente rafforzata la volontà di aiutare l’Ucraina fino alla piena vittoria, al ritiro delle forze russe da tutti i territori occupati.

Da qui la decisione di inviare il sistema Patriot e le pressioni che ieri hanno sbloccato l’impasse sulla fornitura dei carri armati tedeschi Leopard 2 a Kiev, secondo una intesa tra Washington e Berlino i cui contorni sono stati descritti dal Wall Street Journal: in Ucraina arriverebbe un “significativo numero” di tank Usa Abrams M1 e in cambio la Germania sarebbe pronta a inviare i suoi Leopard 2, “almeno una compagnia” secondo Der Spiegel, e a permettere alla Polonia e ad altri Paesi europei di riesportare i loro.

Le ragioni della svolta

Molteplici le ragioni di questa svolta: in primis, la constatazione della legittima aspirazione di Kiev di rifiutare qualsiasi negoziato o trattativa con i russi fino a quando ogni centimetro del Paese non sarà stato liberato.

Contrariamente a quanto affermato dai propagandisti di Mosca, l’Ucraina non sta conducendo alcuna proxy war per conto della Nato e il presidente Zelensky non è un burattino dell’amministrazione Usa, la loro è una resistenza nazionale e popolare.

Altro fattore che ha determinato l’ulteriore spinta nel sostegno americano alla causa ucraina è la condotta della Russia in questa fase del conflitto: lacerata dalla resistenza e dalla controffensiva di Kiev, dopo aver perso quasi 200 mila uomini, Mosca non ha dimostrato di voler intraprendere la via negoziale, rifiutando il confronto con la controparte ucraina (che ritiene ancora una mera provincia ribelle governata da nazisti) e cominciando a colpire quotidianamente e volutamente infrastrutture civili ed energetiche.

Nell’impossibilità di vincere sul campo, Mosca usa l’inverno come arma e prova a prostrare cittadini inermi ed incolpevoli per spingere il Paese alla resa. Un tentativo criminale e cinico quanto inutile, data la ferma volontà del popolo ucraino di continuare a combattere per la libertà.

La campagna di primavera

Anche in ragione di ciò, stando a quanto affermato dalle intelligence ucraina, britannica ed americana, Vladimir Putin starebbe per lanciare una nuova mobilitazione di massa, che in primavera potrebbe portare un milione e mezzo di uomini sul campo di battaglia, per tentare nuovamente di sfondare le difese di Kiev.

Eventualità che provocherebbe una ulteriore escalation e che ha spinto gli Stati Uniti a rompere gli ultimi tabù sugli aiuti militari all’Ucraina, quelli riguardanti la consegna di carri armati occidentali di ultima generazione, sistemi di artiglieria a lunga gittata e, soprattutto, caccia da combattimento. Tre dossier cruciali che fino a questo momento Washington non aveva voluto affrontare, nonostante le comprensibili pressanti richieste di Kiev.

L’ulteriore cambio di passo degli Usa si è scontrato però con la titubanza di alcuni alleati – in primis la Germania, di cui abbiamo già parlato – che avevano creduto e sperato nella possibilità che si aprisse una finestra negoziale e adesso sono impauriti dal confronto con la realtà.

Nonostante un momento storico complesso e una debolezza evidente, gli Stati Uniti restano la nazione più potente del mondo e con una visione della politica estera ben salda sui principi e l’ordine internazionale da difendere.

L’Europa pacifista

Come descritto con accuratezza e precisione nel libro “Paradiso e Potere” da Robert Kagan, rispetto agli Usa l’Europa vive una percezione dei pericoli e della realtà profondamente differente, influenzata da illusioni pacifiste e da un moralismo che rifiuta la guerra anche quale strumento talvolta imprescindibile di difesa dell’ordine internazionale.

Dinanzi alla necessità di fronteggiare il ritorno dell’imperialismo russo, un dittatore spietato e disposto a compiere genocidi pur di espandere la propria sfera di influenza sul nostro Continente, le nazioni democratiche europee impallidiscono.

Una titubanza pericolosa per molteplici motivi: in primis, perché di fatto fiancheggiatrice delle mire di Vladimir Putin. Disposto a sacrificare la vita di milioni di cittadini russi pur di non perdere il conflitto e, resosi conto della debolezza della sua armata, scommette tutto sullo sfarinamento del sostegno occidentale nel lungo termine. Come ha giustamente affermato Zelensky anche negli ultimi giorni, il tempo resta un fattore dalla parte del Cremlino.

Il rischio delle divisioni

Inoltre, perché i tentennamenti di alcuni Paesi europei non indeboliranno il sostegno di Stati Uniti, Regno Unito, Polonia e Paesi baltici all’Ucraina, otterranno solo di dividere il fronte occidentale facendo di fatto un favore a Putin.

Con la consegna di caccia e carri armati potrebbero determinarsi le condizioni sul campo di battaglia per la riconquista totale – in un lasso di tempo non troppo lungo – dei territori occupati dalla Russia ed il suo decisivo indebolimento strategico.

Nel caso invece di remissività e ampliamento delle divisioni nel fronte occidentale, Mosca potrebbe approfittarne e tornare all’offensiva, minacciando l’esistenza stessa dell’Ucraina e provocando una escalation che rischierebbe di trascinare la Nato nella guerra. In parole povere, tutto ciò che l’Europa dichiara quotidianamente di voler evitare.

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