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Addio a Buthelezi, una vita per un Sudafrica federale e occidentale

Il leader sudafricano ha rappresentato una via alternativa al centralismo socialista e “uninazionale” dell’African National Congress di Mandela

Mangosuthu Buthelezi Mangosuthu Buthelezi

Con Mangosuthu Buthelezi, scomparso all’età di 95 anni, se ne va l’ultimo dei protagonisti del lungo e complicato periodo di transizione attraversato dal Sudafrica negli anni ’80 e ’90. Storico esponente del nazionalismo zulu, ha saputo assumere un ruolo politico di valenza più ampia negli anni in cui si sono definiti gli equilibri politici che hanno condotto al Sudafrica attuale.

Uomo di idee democratiche, occidentali e cristiane, ha rappresentato una voce moderata e costruttiva, oltre che una visione del domani che non presupponga il rinnegamento delle tradizioni e del passato.

Convivenza multirazziale e federale

Il percorso politico di Buthelezi è stato alquanto lungo e articolato ed ha avuto inizio all’interno delle istituzioni di autogoverno della regione nera (“homeland”) del Kwazulu.

Cresciuto nei ranghi della nobiltà zulu, nel 1972 accede al ruolo di Chief Executive Councillor del parlamento regionale. Tuttavia, Buthelezi non vede il suo futuro solamente in termini di leader tribale. Poco dopo, nel 1974, irrompe sulla scena politica nazionale sudafricana quando firma, con il politico bianco di opposizione Harry Schwarz, la “dichiarazione di Mahlabatini” in cui si prospetta il concetto di una convivenza multirazziale basata su federalismo e diritti individuali.

Per perseguire la sua visione riformatrice, fondata su moderazione, negoziato e non-violenza, Buthelezi fonda il movimento Inkatha. Dal 1977 è il primo ministro del Kwazulu, incarico che manterrà fino al 1994 e che gli darà la possibilità di rafforzare la propria visibilità in Sudafrica e a livello internazionale.

Buthelezi rifiuta a più riprese l’indipendenza del proprio territorio, offertagli dal governo sudafricano – cioè il percorso intrapreso da altre homeland nere (Transkei, Bophutatswana, Ciskei e Venda) – perché ritiene che essa rappresenterebbe un avallo del sistema dell’apartheid. Crede invece che le diverse comunità ed etnie del Sudafrica debbano sviluppare un modello di convivenza più equilibrato e plurale.

Pur nell’opposizione all’apartheid, la distanza di Buthelezi con l’African National Congress è netta. Per il leader zulu, il cambiamento in Sudafrica è necessario, ma deve avvenire attraverso strumenti non-violenti e nel rispetto della pluri-nazionalità del Paese. Serve, in altre parole, un approccio basato su un forte federalismo che non miri a cancellare le differenze, ma a consentire una loro efficace coesistenza in un contesto di pari dignità.

Sostenitore del sistema capitalista

Buthelezi è anche un convinto sostenitore del modello occidentale, del sistema capitalista e dell’economia di mercato – ed è contrario alle sanzioni economiche al Sudafrica e al disinvestimento che ritiene penalizzanti per l’intera popolazione e addirittura in primis per i sudafricani neri. Non sorprende, da questo punto di vista, che la figura di Buthelezi sia stata sovente svilita o addirittura demonizzata negli ambienti della sinistra internazionale.

Durante gli anni ’80 Buthelezi visita Ronald Reagan e, più volte, Margaret Thatcher con la quale stringe una significativa amicizia. La Lady di Ferro ricambierà la visita nel 1991, poco dopo aver lasciato Downing Street, intervenendo davanti al Parlamento del Kwazulu.

Per la Thatcher era decisamente Buthelezi, e non Mandela, l’uomo su cui l’Occidente doveva puntare per una transizione verso un nuovo equilibrio costituzionale in Sudafrica.

L’opposizione all’accordo De Klerk-Mandela

Le cose, in realtà, andranno in maniera diversa. I negoziati per costruire il nuovo Sudafrica si ridurranno, in termini sostanziali, ad un’interlocuzione a due tra il governo del National Party di F.W. De Klerk e l’African National Congress.

I punti di vista delle forze politiche che rappresentano un approccio più favorevole al federalismo ed a strumenti di autodeterminazione dei vari gruppi etnici vengono rapidamente emarginati e, tra questi, anche quello di Buthelezi e dell’Inkhata.

Nel 1992, insieme al Partito Conservatore bianco ed ai governi del Ciskei e del Bophutatswana, Buthelezi costituisce il Concerned South Africans Group (COSAG), che diverrà poi, nel 1993, la Freedom Alliance. L’obiettivo è di contrastare l’impianto costituzionale centralista scaturito dagli accordi tra De Klerk e Mandela e di cercare di negoziare dispositivi di pluralismo istituzionale che passino da assetti di federalismo territoriale e non territoriale.

Un impianto basato sulla semplice decisione a maggioranza, in un contesto centralista e “uninazionale”, mal si addice alla complessità della società sudafricana che invece dovrebbe essere composta attraverso soluzioni costituzionali innovative magari sul modello svizzero, belga o su quello che poco tempo dopo sarà implementato in Irlanda del Nord.

Da parte di De Klerk e di Mandela, tuttavia, non c’è alcuna volontà di riaprire il negoziato. La Freedom Alliance, dal canto suo, minaccia di boicottare le elezioni, eventualità che avrebbe conseguenze concrete in virtù della sovranità del Ciskei e del Bophutatswana, che non accetterebbero di farsi riassorbire all’interno di un Sudafrica unitario.

Le elezioni del 1994

Tuttavia, con la deposizione del presidente del Bophutatswana Lucas Mangope e, pochi giorni dopo, del leader del Ciskei, Gzopo, viene meno ogni possibilità realistica, per la Freedom Alliance, di forzare la riaprire di un tavolo costituzionale.

Buthelezi decide così, all’ultimo momento, la partecipazione alle elezioni, così come parallelamente fa Constand Viljoen in rappresentanza della destra afrikaner. La strategia diviene, ormai, quella di conquistare un’influenza all’interno del nuovo sistema.

L’Inkatha ottiene oltre il 10 per cento dei voti alle elezioni del 1994, venendo cooptata in un governo di unità nazionale sotto la presidenza di Nelson Mandela, nell’ambito del quale Buthelezi assume il ruolo di ministro dell’interno. Rimarrà nella veste di ministro fino al 2004, per poi collocarsi all’opposizione.

Va riconosciuto tuttavia che, per quanto Buthelezi sia rimasto una figura rispettata ed importante della politica sudafricana per molti anni, la sua capacità di incidere effettivamente sulla politica nazionale è progressivamente scesa.

Tra il 1992 e il 1994 vi fu grande interesse per il potenziale politico dell’Inkatha, ben al di là della sua naturale base zulu, come testimoniato anche dall’adesione di vari politici bianchi che vi vedevano il più efficace strumento politico per introdurre forme di federalismo nel nuovo Sudafrica.

Tuttavia, in realtà, negli anni successivi l’Inkatha non sempre è stato in grado di articolare una visione riconoscibile, basata su un impianto filosofico chiaro e su un’elaborazione di policies conseguente. Ha finito, così, in gran parte per ripiegarsi sulla dimensione locale, lasciando alla più dinamica Democratic Alliance il ruolo di rappresentare in modo più visibile e ideologicamente sviluppato l’opposizione al governo dell’African National Congress.

Limiti di leadership

Certo si sono evidenziati i limiti della leadership largamente autocratica di Buthelezi sul proprio movimento che, in termini generali, non ha consentito di sviluppare una vivacità interna e una narrazione politica adatte allo scenario degli ultimi due-tre decenni.

Non è stato sufficiente, da questo punto di vista, che Buthelezi si sia comunque circondato di alcune individualità di grande valore, come il giurista italiano naturalizzato sudafricano Mario Oriani-Ambrosini, che da stretto collaboratore di Buthelezi e deputato dell’Inkatha (fino alla prematura scomparsa) fece un notevole lavoro sui temi della libertà individuale e del costituzionalismo liberale.

In termini complessivi, malgrado la presenza di limiti, debolezze e di qualche contraddizione non possa essere negata, Mangosuthu Buthelezi ha saputo rappresentare un punto di vista importante che, insieme ad altri, avrebbe dovuto essere maggiormente compreso e valorizzato per ricercare equilibri costituzionali e istituzionali alternativi, che non fossero la pedissequa applicazione al Sudafrica di un tradizionale modello statuale unitario e centralista.

Alternativa al centralismo socialista

La figura del leader zulu deve essere ricordata ed onorata e può ancora servire di ispirazione nel prefigurare per il Sudafrica esiti diversi rispetto al “centralismo socialista” dell’African National Congress e delle forze alla sua sinistra.

Il “Multi-party Charter for South Africa”, un accordo tra i principali partiti dell’opposizione democratica firmato proprio pochi giorni fa in vista delle elezioni del prossimo anno, nei fatti già si candida a raccogliere l’eredità politica e storica di Buthelezi, nel suo sostegno alla decentralizzazione del potere, ad un’economia di mercato aperta e ad un concetto di “unità nella diversità”.