“We will be with our friends again; we will be with our families again; we will meet again”
Ha fatto in tempo a celebrare il Platinum Jubilee, cioè i suoi settant’anni di regno, all’inizio dell’estate, e quindi a conferire in questi giorni l’incarico a Liz Truss. Poi, al termine di una vita letteralmente eccezionale, Elisabetta II ha concluso la sua parabola terrena, commuovendo il mondo, e insieme mostrando una volta di più la solennità e la miracolosa vitalità della monarchia britannica.
Una cavalcata nella storia
È quasi impossibile che una storia simile possa ripetersi. Per dare il senso dell’unicità dell’avventura di Elisabetta, parla da sé un video, da tempo virale sui social, che mostra il volto di lei (via via giovanissima, poi adulta, poi matura, e infine come la ricordiamo più di recente) affiancato alle immagini dei primi ministri che hanno servito durante il suo regno.
Una galleria che lascia letteralmente senza fiato: in sequenza, dal 1952 a oggi, Winston Churchill, Anthony Eden, Harold Macmillan, Alec Douglas-Home, Harold Wilson, Edward Heath, James Callaghan, Margaret Thatcher, John Major, Tony Blair, Gordon Brown, David Cameron, Theresa May, Boris Johnson (il video non ha fatto in tempo a essere aggiornato con l’immagine della Truss).
È sufficiente rileggere questi nomi per compiere una cavalcata nella storia, per attraversare epoche diversissime, per transitare dal secondo Dopoguerra fino ai cupi anni Settanta, e poi dalla gloriosa stagione thatcheriana al riformismo blairiano, fino agli ultimi anni segnati dalla scelta di Brexit e dal ritorno della Global Britain.
In tutto il mondo, non c’è un solo personaggio – tranne, appunto, Elisabetta – a cui sia capitato in sorte di guidare un’istituzione per un arco temporale così ampio, disegnando una traiettoria unica. Con un sorriso, basterebbe ricordare che, di quei primi ministri, sono tuttora viventi solo sette persone: Major, Blair, Brown, Cameron, la May, e naturalmente Johnson e la Truss.
La monarchia britannica come istituzione
Poi c’è il secondo piano di riflessione, che riguarda la monarchia britannica come istituzione. E qui si tratta di superare i pregiudizi: vivendo noi in una Repubblica, e avendo alle spalle – in Italia – prove novecentesche non lusinghiere della famiglia reale, si potrebbe essere portati, in modo automatico e quasi inintenzionale, a immaginare tutte le monarchie come fenomeni fuori dalla storia, impensabili, retaggi del passato.
A pensarci meglio, però, le cose sono ben diverse: anche perché, a partire proprio dal Regno Unito, alcune monarchie sono state storicamente capaci di aiutare il loro Paese a resistere agli incubi del Novecento.
E c’è di più: quando funzionano, le monarchie sono per definizione l’istituzione che cuce passato e presente, un bastione della tradizione e insieme un elemento di modernizzazione, accompagnando dolcemente le trasformazioni della società, incoraggiandole e insieme rispecchiandole.
Ovvio che in politica a decidere sia il Parlamento, in base al voto dei cittadini. Dalla Magna Charta in poi, i britannici hanno spiegato al mondo cosa siano le istituzioni rappresentative e quanto sia sana la limitazione del potere.
Ma è significativo che, al di là della contesa politica, ci sia un punto (un luogo “simbolico”) capace davvero di esprimere unità, senso di appartenenza e condivisione. Molto più di quanto possano farlo le repubbliche dei partiti, o cariche istituzionali monopolizzate da uomini di fazione, che difficilmente – nonostante la “grazia di stato” – possono essere o apparire o diventare del tutto “terzi”.
E con un felice paradosso – lo notava qualche mese fa sul Telegraph di Londra Allister Heath – proprio la monarchia, oggi, esprime bene quel senso di limitazione del potere assoluto che la Magna Charta volle introdurre per arginare il sovrano. A parti invertite, adesso è proprio l’istituzione monarchica a ricordare ai politici al potere pro tempore che non hanno “controllo totale”, che sopra di loro ci sono principi e istituzioni che dureranno anche dopo ogni singola stagione di governo.
La nostra Repubblica
È evidente che il Regno Unito abbia una storia del tutto peculiare, ben diversa da altre monarchie e altre case reali. Ma sarebbe il caso di compiere una riflessione senza pregiudizi. Pensate alla “performance” della nostra Repubblica: in tutta sincerità, possiamo dire di essere davvero uniti, al di là delle sane e fisiologiche divisioni politiche? Ci sono legami profondi che ci facciano sentire tutti parte di qualcosa di comune? Ci sono vincoli che ci aiutino a rendere più accettabile l’idea di poter perdere un’elezione e di essere governati dagli altri, da chi ci è più lontano, senza timori e con autentica fiducia? Con onestà intellettuale, si fa fatica a rispondere tre volte “sì” e senza incertezze a queste domande.
Scommessa sull’ottimismo
In questo quadro, merita di essere riletto il messaggio – semplice e altissimo – che Elisabetta rivolse alla Gran Bretagna nel giugno scorso per il Platinum Jubilee: “Guardare al futuro con fiducia ed entusiasmo”. Ecco, una meravigliosa signora di 96 anni si è potuta permettere – credibilmente – di scommettere sull’ottimismo, e di essere ascoltata con rispetto e ammirazione affettuosa.
Non hanno potuto né possono farlo – ahiloro – molti leader giovani e giovanilisti in giro per il mondo: hanno dalla propria parte l’anagrafe, certo, ma quelle stesse parole, pronunciate da loro, suonerebbero ipocrite, insincere, non credibili e dunque non credute. Addio, Maestà.