Africa, Xi Jinping rilancia e l’Occidente arretra

Investimenti per 50 miliardi, trappola del debito e ora Pechino cerca anche di istruire gli africani sui metodi della governance cinese, definita “la più efficiente del mondo”

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Si è tenuto a Pechino, nella Grande sala del Popolo, il IX Forum sulla cooperazione tra Africa e Cina (Focac), istituito nel 2000, che ha visto la partecipazione diretta di 53 nazioni africane. Quella di quest’anno è stata un’edizione importante del suddetto Forum, poiché è avvenuta dopo che la Repubblica Popolare è stata costretta a rallentare i suoi impegni africani a causa dei problemi posti dalla pandemia e dal rallentamento della corsa del Pil cinese.

Il rilancio di Xi

Xi Jinping ha giocato in grande, promettendo ai leader dei Paesi africani aiuti per 50 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, suddivisi in linee di credito e in investimenti diretti delle aziende di Pechino. Si tratta di una cifra inferiore ai 60 miliardi di dollari erogati nel 2018, ma comunque superiore a quella del 2021 (40 miliardi).

Per la Repubblica Popolare l’Africa rappresenta un investimento strategico, e Xi lo ha sottolineato di fronte ai 53 capi di Stato africani presenti e al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, lui pure invitato al Forum. Xi ha inoltre sostenuto che i rapporti tra Cina e Africa sono giunti “al punto più alto della storia”, aggiungendo che i nuovi investimenti da parte della Repubblica Popolare costituiscono l’occasione per avviare un’ondata di modernizzazione nell’intero Sud del mondo.

L’Occidente arretra

L’Occidente ha nel frattempo perduto molte posizioni nel continente nero. Francesi e inglesi sono stati in pratica espulsi da molti Paesi, in particolare nel Sahel, e gli Stati Uniti non paiono avere una strategia efficace per contrastare la penetrazione della Repubblica Popolare.

La trappola del debito

Ma che ne è della “trappola del debito”? Com’è noto gli africani non sono in grado di restituire le enormi somme erogate dalla Cina, e sono quindi costretti a pagare cedendo asset strategici come porti e aeroporti, e assicurando a Pechino un accesso privilegiato ai loro giacimenti di materie prime.

La risposta cinese a tale quesito è molto vaga. I Paesi africani dovrebbero capire che la questione del debito si può risolvere soltanto a livello internazionale, coinvolgendo gli altri creditori e favorendo l’intervento della Banca Mondiale. Resta però il fatto che il creditore di gran lunga più importante è proprio la Cina, la quale ovviamente vuole aumentare la propria penetrazione senza fare beneficenza, e il problema resta sul tappeto in tutta la sua drammaticità.

A scuola di governance cinese

Xi Jinping ha comunque fornito una serie di indicazioni per distogliere l’attenzione degli africani dalla questione del debito. Invierà nel continente un numero consistente di medici e agronomi, mentre verranno invitati a Pechino molti rappresentanti di partiti politici africani, per essere istruiti sui metodi della governance cinese, definita “la più efficiente del mondo”.

Più in particolare, e per citare un solo esempio significativo, la Repubblica Popolare aiuterà il Niger (che ha espulso i francesi) a sfruttare al meglio i suoi grandi giacimenti di uranio per costruire centrali nucleari che producano energia elettrica in Africa occidentale. Previsti anche grandi investimenti infrastrutturali destinati a migliorare gli scambi commerciali nel continente, e l’invio di docenti cinesi di materie scientifiche e tecnologiche per istruire gli studenti in loco.

Le reazioni dei leader africani sono state molto positive, anche perché Pechino non nomina i diritti umani e tratta con tutti i governi, di qualunque colore essi siano. Si tratta indubbiamente di una strategia molto astuta che, tra l’altro, la Repubblica Popolare sta praticando anche nell’America Latina, un tempo “cortile di casa” degli Stati Uniti.

Purtroppo manca una risposta plausibile da parte dell’Occidente, e ciò può comportare serie conseguenze sugli equilibri globali. La Cina comunista sta insomma lavorando a pieno ritmo per scardinare il già traballante ordine mondiale a trazione Usa.

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