Abbiamo già scritto della visita in Europa di Xi Jinping, per tempo ed anticipandone il senso: nello scontro al calor bianco fra Washington e Berlino, Macrone sta con la seconda. Il fatto è grosso, però, ed ha spinto certi attori a scoprire le proprie carte.
Macrone il cinese
Feroce è l’attacco di Gideon Rachman, anzitutto contro il dittatore cinese: “dire agli europei che sono vassalli dell’America e che la Nato è un’organizzazione pericolosa, è un messaggio che la maggior parte degli europei troverà offensivo nel migliore dei casi, minaccioso nel peggiore”.
Poi, il complimento viene esteso al presidente francese, tramite enumerazione dei passi di Macrone contro la Nato: (1) l’aver “descritto la Nato come in stato di morte cerebrale”; (2) l’aver “lasciato intendere che l’Europa non aveva alcun interesse a difendere Taiwan da una potenziale invasione cinese”; (3) l’aver “bloccato i tentativi di aprire un ufficio di collegamento della Nato a Tokyo”; (4) l’aver insistito “sulla necessità che l’Europa raggiunga una autonomia strategica dagli Usa”; (5) l’aver proclamato “che l’Europa non dovrà mai essere un vassallo degli Usa – linguaggio preferito anche dalla Cina”.
Macrone la banderuola
Infine, l’articolo passa allo sbertucciamento: “i cinesi corrono il rischio di sovrainterpretare il radicalismo delle idee di Macron, quando si tratta della Nato”. Quest’ultimo, infatti, “negli ultimi tempi, ha adottato una linea molto più dura nei confronti della Russia”. Il riferimento è alle confuse parole spese da Macrone circa un possibile impiego di truppe francesi in Ucraina. Poi corrette – lo abbiamo visto – limitando l’ipotesi al caso di un’avanzata russa “verso Odessa o verso Kiev” (cioè, oltre il fiume Dnieper). Infine, annegate nella patetica invocazione di una “tregua olimpica”.
Roba che neanche al Circo. A mostrare un Macrone-banderuola, esposto a tutti i venti, pronto a compiacere chiunque paia concedergli del credito: un giorno atlantico, un altro giorno sino-tedesco. Così, secondo come tira il vento. Una politica estera in vendita, si direbbe.
Macrone il bancarottiere
Sicché – riassume Rachman – a Pechino farebbero meglio a soppesare con molta maggiore attenzione i “limiti reali alla volontà e alla capacità della Francia, di prendere le distanze dalla Nato o dagli Usa”.
Della volontà abbiamo detto. Della capacità – di quanto sia poca – sempre sullo stesso quotidiano scrivono Tony Barber e Shahin Vallée, con articoli profondamente critici dei risultati di Macrone in tema di deficit, etc..
Mentre la redazione commerciale si diverte a sottolineare l’apprensione dell’Eliseo per la minaccia cinese di tassare le importazioni di cognac. Sghignazza Alan Beattie: “l’approccio cinese per comprare i partner commerciali malcontenti, davvero non è sottile”. Traduzione, un Paese così conciato, dove vuoi che vada?
Merz l’anglofilo
“Andrà con il filo-cinese Scholz”, risponderanno in tanti. Il cui viaggio a Pechino – continua a sghignazzare Alan Beattie – “sembra avergli procurato alcuni favori sulle esportazioni tedesche di carne bovina, suina e mele”.
Ma qui interviene il secondo notevole pezzo di quello stesso quotidiano: una intervista a Friedrich Merz, il capo dell’opposizione democristiana tedesca che vincerà a mani basse le prossime elezioni leuropee.
Merz non si esprime direttamente sulla Cina, bensì su due temi di evocativo significato geo-politico. Anzitutto, egli accusa Merkel di non aver fatto abbastanza per evitare la Brexit. Esplicitamente ventilando un terreno di intesa prossimo venturo: “abbiamo una miriade di opportunità … che dovremmo esplorare insieme”. Il che equivale ad un pugno in faccia a Scholz, ma pure a quel Macrone noto per essersi distinto in notevoli contorsioni anti-britanniche.
Merz il non-italofobo
In secondo luogo, Merz loda il modello britannico di inviare i richiedenti asilo in Ruanda ed italiano di mandarli in Albania: “la semplice prospettiva di non finire nella terra promessa della Germania e di dover chiedere asilo in un Paese terzo – ad esempio l’Albania, se stai cercando di entrare in Italia, o il Ruanda, se vuoi entrare nel Regno Unito – ridurrà il numero dei richiedenti asilo”. Ciò di cui egli si dice “fermamente convinto”.
Il che equivale ad un pugno in faccia alla sinistra tedesca che candida Carola Rackete, ma pure a quel Macrone che ha spedito tanti migranti al di là delle Alpi e della Manica. Ed il cui poco amore per la soluzione Ruanda e la soluzione Albania è ben noto.
Insomma, no: un Paese conciato come la Francia di Macrone non può andare col filo-cinese Scholz … per la semplice ragione che ci troverebbe il filo-atlantico Merz.
Le Pen la non-melonizzata
Epperò – sempre secondo il Financial Times – un Paese conciato come la Francia di Macrone non può andare nemmeno con la Le Pen ed il di lei uomo di punta Bardella, del putinismo per mancata melonizzazione dei quali quel quotidiano è tutt’altro che amico.
Vero è che, dei due politici di opposizione, esso osserva le evoluzioni, ma con manifesto scetticismo. Lasciando Tony Barber vagheggiare una replica dell’imprevedibile: “non sono convinto che il terroir politico francese – sebbene disseminato delle macerie del macronismo – sia diventato del tutto sterile. Potrebbe succedere qualcosa, anche se non sono sicuro di dove cercare”.
Conclusioni
La disanima che abbiamo presentato, concede una univoca interpretazione: quello del Financial Times non è un avviso di licenziamento, bensì un richiamo all’ordine atlantico. Rivolto al solito Macrone, benché solo faute de mieux.
E che tale richiamo appaia proprio su quel giornale – già distintosi come megafono incensatore del presidente francese – significa che la visita di Xi Jinping a Parigi è stata accolta davvero molto male.