Al di sopra della legge: l’indagine su Hunter Biden sabotata dal DOJ

5 milioni dalla Cina pochi giorni dopo le minacce di Hunter ad un socio cinese: “sono qui con mio padre, paga o te ne pentirai”. Le testimonianze di due informatori al Congresso

6.1k 1
generica_porro_1-1200
  • Indagini rallentate, negati interrogatori e perquisizioni
  • Nascosti agli investigatori dell’IRS il laptop di Hunter e il rapporto di un informatore FBI sullo schema corruttivo dei Biden
  • 5 milioni dalla Cina pochi giorni dopo le minacce di Hunter ad un socio d’affari cinese: “sono qui con mio padre, paga o te ne pentirai”
  • L’FBI sapeva che il laptop era autentico un anno prima di suggerire ai social di censurarlo in quanto difinsformazione russa

Non c’è solo il patteggiamento-farsa di Hunter Biden, un tentativo di “demolizione controllata” per comunque consentire all’amministrazione Biden e ai media compiacenti di dichiarare chiuso il caso nonostante i ben più gravi reati che emergono dal laptop del figlio del presidente e dal rapporto di un informatore dell’FBI.

Giovedì sera nuove prove sullo schema di corruzione in cui sarebbero stati coinvolti i Biden – figlio e padre – e sull’interferenza del Dipartimento di Giustizia nelle indagini sono emerse dalle testimonianze al Congresso dei due informatori dell’IRS (l’agenzia fiscale Usa) che hanno lavorato dall’inizio all’indagine su Hunter Biden.

L’FBI sapeva del laptop

Innanzitutto, secondo quando riferiscono i due informatori, l’FBI apprese dell’esistenza del laptop di Hunter, e di possibili prove di reati al suo interno, nell’ottobre 2019. Ne verificò l’autenticità nel novembre 2019 tramite l’ID iCloud di Apple e ne prese possesso nel dicembre 2019, notificando all’IRS che probabilmente conteneva le prove di reati fiscali.

La tempistica è molto rilevante, perché stiamo parlando di quasi un anno prima che la CIA e l’FBI suggerissero ai social media di censurare lo scoop del New York Post sul laptop, sostenendo che si trattava di una operazione di disinformazione orchestrata dalla Russia. Argomento usato dallo stesso presidente Biden in un dibattito tv con Trump. La disinformazione era la loro.

Il caso dell’IRS su Hunter, tra l’altro, fu aperto nel 2018 (nome in codice “Sportsman”) “come filone di un’indagine che l’IRS stava conducendo su una piattaforma di pornografia online amatoriale con sede all’estero”.

Indagine sabotata

Ma le due testimonianze sono importanti soprattutto perché rivelano come il Dipartimento di Giustizia di Biden abbia ostacolato l’indagine su Hunter Biden, rallentando le attività investigative, limitando la possibilità di interrogare i testimoni, opponendosi a richieste di perquisizione, fuorviando gli investigatori riguardo la titolarità dell’azione penale, ritardando qualsiasi azione nei mesi precedenti le elezioni presidenziali del 2020.

In particolare, il Dipartimento ha nascosto le prove dei reati fiscali di Hunter e impedito che le accuse fossero portate in due diverse giurisdizioni, Washington DC nel marzo 2022 e California centrale nell’autunno 2022. E ha inoltre respinto nella primavera del 2022 la richiesta del procuratore federale del Delaware, David Weiss, quello del patteggiamento, di essere nominato procuratore speciale.

Agli investigatori dell’IRS che seguivano il caso dall’inizio non fu permesso di visionare il laptop di Hunter, né il rapporto di un informatore dell’FBI in cui si descrive lo schema corruttivo dei Biden con un uomo d’affari ucraino.

Quando Gary Shapley, che guidava gli agenti dell’IRS sul caso, si è fatto avanti denunciando che funzionari politici del DOJ erano intervenuti per impedire l’incriminazione di Hunter e che Weiss non aveva l’autorità per farlo autonomamente, il Dipartimento ha rimosso tutto il suo team dal caso. Uno dei suoi agenti subordinati, ancora non identificato, ha confermato le affermazioni di Shapley in una testimonianza separata.

Reati fiscali e corruzione

L’IRS aveva suggerito l’incriminazione di Hunter Biden per diversi reati gravi (felony): evasione fiscale e false dichiarazioni fiscali nel periodo 2014-2019. E aveva sottoposto le sue raccomandazioni al Dipartimento di Giustizia, ma i reati sono stati declassati a due illeciti minori (misdemeanor).

Stiamo parlando di 2,2 milioni di dollari evasi su 8,3 milioni di proventi da soggetti esteri in Ucraina, Cina e Romania. Hunter Biden avrebbe ricevuto almeno 6 milioni di dollari da CEFC China Energy, un conglomerato energetico legato all’Intelligence militare cinese. Un altro milione di dollari da un uomo d’affari rumeno indagato per corruzione in cambio del suo aiuto in una causa legale.

E poi 80 mila dollari al mese da Burisma Holdings, una società energetica ucraina, come membro del suo consiglio di amministrazione. Come noto, il padre Joe, quando era vicepresidente, chiese e ottenne da Kiev la rimozione del procuratore generale ucraino che indagava su Burisma.

Le interferenze

Con le sue tattiche dilatorie, il Dipartimento di Giustizia ha lasciato scadere i termini di prescrizione per i crimini commessi nel 2014 e nel 2015, quando Biden non ha denunciato circa 400 mila euro di reddito da Burisma, “la condotta criminale e i fatti materiali nascosti più rilevanti”, secondo gli informatori.

Quando gli investigatori dell’IRS vennero a conoscenza di potenziali prove “nella guest house dell’ex vicepresidente Biden”, nella residenza in Delaware, l’assistente procuratrice del DOJ Lesley Wolf rispose che era “fuori discussione”, il mandato di perquisizione “non sarebbe mai stato approvato”, e i legali di Biden furono allertati dando loro il tempo di rimuovere le prove.

Il 4 settembre 2020, ricorda Shapley, il DOJ ordinò di “cessare” qualsiasi attività di indagine aperta su Hunter Biden o sul traffico di influenza della famiglia Biden a causa delle imminenti elezioni.

E quando nel dicembre 2020 gli investigatori dell’IRS volevano interrogare un socio in affari di Hunter, Rob Walker, sulla frase contenuta in una e-mail “Ten held by H for the big guy”, dieci trattenuti da H (Hunter, ndr) per “the big guy” (Joe Biden, ndr), la procuratrice Wolf obiettò spiegando che non voleva che fossero poste domande su “papà” Biden.

L’impedimento a portare avanti l’accusa nei distretti di Washington DC e California centrale è in netto contrasto con la testimonianza al Congresso dell’Attorney General Merrick Garland, che nel marzo del 2023 ha affermato che il procuratore Weiss aveva la piena autorità di “portare casi in altre giurisdizioni”. Garland ha anche affermato che si sarebbe assicurato personalmente che Weiss potesse “svolgere la sua indagine e che fosse in grado di gestirla”. Affermazioni false, almeno alla luce delle testimonianze dei due informatori dell’IRS.

Dunque, quello che emerge non è un semplice trattamento preferenziale a favore di Hunter Biden, ma un vero e proprio sabotaggio, il tentativo “attivo” di ostacolare passaggi investigativi chiave e impedirne l’incriminazione.

Joe Biden nella stanza

Ma la vera prova-bomba delle rivelazioni di giovedì è un messaggio WhatsApp del 30 luglio 2017, in cui Hunter Biden intima al suo socio in affari cinese, Henry Zhao, di inviargli al più presto il denaro promesso, minacciando esplicitamente che lui e il padre Joe – che diceva essere accanto a lui nella stanza – lo avrebbero rovinato se non avesse pagato immediatamente.

Sono seduto qui con mio padre e vorremmo capire perché l’impegno preso non è stato rispettato. Dì al direttore che vorrei risolvere la questione ora prima che scappi di mano, e ora significa stasera. Se ricevo una chiamata o un messaggio da chiunque sia coinvolto in questo diverso da te, Zhang o il presidente, mi assicurerò che tra l’uomo seduto accanto a me e ogni persona che conosce, e la mia capacità di portare rancore per sempre, ti pentirai di non aver seguito le mie indicazioni. Sono seduto qui ad aspettare la chiamata con mio padre.

Pochi giorni dopo quel messaggio, il 4 agosto 2017, la società cinese CEFC Infrastructure Investment bonifica 100 mila dollari allo studio legale Owasco di Hunter Biden, secondo un rapporto del 2020 pubblicato dalla Commissione per la sicurezza interna e gli affari governativi del Senato. Passa ancora qualche giorno e l’8 agosto dalla stessa società cinese arrivano ben 5 milioni di dollari alla Hudson West III, una società aperta da Biden con soci cinesi.

Le due transazioni, per un totale di 5,1 milioni di dollari, sono arrivate in soli 10 giorni dalle minacce di Hunter via WhatsApp. Sempre dallo stesso rapporto, a partire dal 14 agosto Hunter Biden ha avviato una serie di 20 transazioni bancarie da Owasco a Lion Hall Group, una società di consulenza legata al fratello del presidente, James Biden, e a sua moglie Sara, per un totale di 1,4 milioni fino al 3 agosto 2018.

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version