Esteri

Alle origini della violenza russa in Ucraina: un lascito dell’epoca sovietica

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Esattamente come gli jihadisti dell’Isis, i contractors russi della Brigata Wagner hanno pubblicato due giorni fa il video di un’esecuzione. Non una delle tante esecuzioni di civili e prigionieri di guerra ucraini di cui sono accusati, ma quella di un loro uomo, accusato di aver disertato in Ucraina.

Una brutale esecuzione

Il video si apre con due diversi interrogatori dell’uomo, un ex detenuto, di nome Evgenij Nuzhin, di 55 anni, reclutato quando la Wagner ha aperto le porte anche ai galeotti. Poi la scena dell’esecuzione: la testa legata col nastro isolante a un blocco di mattoni, l’ultima confessione di colpevolezza pronunciata con calma surreale dal condannato (altra caratteristica comune ai video dell’Isis) e poi l’esecuzione, inflitta non con un “umanitario” colpo di pistola, ma a colpi di mazza, fino alla morte.

In molti, adesso, hanno la tentazione di definirlo un falso, una delle solite fake news contro i russi. Invece, a rivendicarne l’autenticità, è lo stesso Jevgenij Prigozhin, lo “chef di Putin”, fondatore della compagnia Wagner:

Per quanto riguarda colui che è stato ucciso con un martello, questo spettacolo mostra che non ha trovato la felicità in Ucraina, ha incontrato persone scortesi ma giuste. Penso il titolo di questo video sia “il cane merita la morte di un cane”.

Messaggio intimidatorio?

Se di “fake news” si tratta, a questo punto, potrebbe essere una fake rivolta ai russi stessi, una scena ad uso e consumo delle truppe, della Wagner e non solo, per intimidirle: “guardate che se disertate, questa è la fine che vi meritate”.

La versione diverge sulla cattura del disertore: stando alla sua confessione, estorta in video, il prigioniero dichiara di essere stato rapito a Kiev da altri membri della Wagner. Un altro messaggio trasversale: possiamo prendervi ovunque, se disertate, non potete sentirvi al sicuro nemmeno nella capitale del nemico.

Secondo le autorità ucraine, invece, il disertore sarebbe stato restituito ai russi, in uno dei tanti scambi di prigionieri di guerra. Probabilmente non sapendo che fine avrebbe fatto.

La strategia del terrore

Il video pone comunque alcune necessarie riflessioni. Fiumi di inchiostro sono stati spesi per capire le ragioni della violenza estrema dell’Isis e delle altre formazioni jihadiste, ma si è scritto ancora pochissimo sulle cause della violenza russa, di quello che credevamo un esercito europeo e disciplinato, magari anche mosso da valori cristiani.

La tentazione di chiunque abbia lodato il sistema russo fino al 24 febbraio è quella di negare o relativizzare (esattamente come la sinistra multiculturale faceva con gli jihadisti). Negare: il crimine non esiste, è fabbricato dalla propaganda occidentale. Relativizzare: tutti fanno così, questa è la natura della guerra.

No. Entrambe le affermazioni sono false. Negare i crimini russi è sempre più difficile a fronte di riscontri oggettivi, foto satellitari, testimonianze di prima mano e reportage di giornalisti indipendenti di tutto il mondo. Soprattutto è impossibile in quest’ultimo caso criminale, quando è lo stesso fondatore della Wagner a vantarsi dell’operato dei suoi uomini.

Relativizzare: se pensate che nei corpi speciali della Nato i sospetti disertori vengano uccisi a martellate, forse vedete troppi film di Oliver Stone. In generale, quando un esercito occidentale commette crimini, nessun ufficiale se ne vanta pubblicamente. E questa è la vera grande differenza: negli eserciti dei Paesi liberali, i crimini commessi dalle forze armate sono puniti, quando vengono scoperti.

In un regime autoritario o totalitario vengono ignorati, in alcuni casi incoraggiati, addirittura premiati dai vertici, perché sono parte della strategia del terrore su cui questi regimi si basano. “Il cane merita la morte di un cane” è una frase che nessun uomo potrebbe pronunciare pubblicamente nel nostro mondo, senza essere considerato un criminale (e uccidere a martellate un cane, per altro, da noi è reato). In Russia, evidentemente, è normale.

I crimini di guerra russi

I crimini commessi dalle truppe russe non si limitano alla Wagner e neppure all’uccisione di presunti disertori. Quella è l’eccezione. La regola consiste nel saccheggio, nello stupro e nell’uccisione indiscriminata di civili. Oltre alla politica, da parte delle autorità occupanti, della deportazione di massa dei cittadini ucraini, anche minorenni.

I saccheggi

Limitandosi ai primi crimini, quelli commessi dai militari, sono ormai celebri i saccheggi nei sobborghi di Kiev, nella provincia di Kharkiv dopo il ritiro dei russi ed ora anche a Kherson. In quest’ultima città, appena riconquistata dagli ucraini, i militari hanno rubato anche gli animali dello zoo, fra cui sette procioni che sono diventati un caso nazionale, con tanto di petizione degli ucraini per riaverli indietro.

Lo zoo è stato l’ultimo luogo ad essere saccheggiato, prima sono stati ripuliti gli ospedali, le centrali elettriche, le case private e i musei. Nel bottino spunta anche una locomotiva di una giostra, come strano trofeo o regalo per qualche figlio di un ufficiale non si sa ancora.

Quando i russi si ritirarono dai sobborghi di Kiev, il saccheggio fu reso celebre dalle foto, diffuse sugli stessi social network russi, di militari con i loro trofei assurdi: lavatrici, cucce per cane, termosifoni, persino tazze del water.

Gli stupri

Secondo il rapporto Onu pubblicato il 18 ottobre, la violenza sessuale è stata molto diffusa, sistematica e ha colpito vittime che vanno dai quattro agli ottant’anni.

Gli autori (delle violenze sessuali, ndr) hanno violentato le donne e le ragazze nelle loro case o le hanno prese e violentate in abitazioni non occupate. Nella maggior parte dei casi, questi atti equivalgono anche a torture e trattamenti crudeli o disumani per le vittime e per i parenti costretti ad assistere.

Torture ed esecuzioni

Lo stesso rapporto delle Nazioni Unite documenta anche casi di tortura sistematica di prigionieri civili e molte esecuzioni sommarie. Le prove emergono, di volta in volta, man mano che le città e i villaggi vengono liberati.

La mattanza di Bucha, dove i cadaveri sono stati lasciati sulle strade, non è un caso unico. Anche dove i russi hanno avuto più modo e tempo di seppellire i cadaveri, come ad Izyum, sono state trovate fosse comuni con centinaia di corpi (440 finora scoperti), molti dei quali portano segni inequivocabili di tortura, alcuni sono anche evirati.

L’origine della violenza russa

Qual è allora l’origine della violenza russa? È facile ricorrere a generalizzazioni (paragonando i russi a un’antica orda) o a sociologismi (la guerra che scatena il demone nell’uomo, soprattutto quando è una guerra persa). Ma forse è la storia che ci dà una risposta.

Perché le scene a cui assistiamo in Ucraina sono esattamente le stesse che ritroviamo nei resoconti della Seconda Guerra Mondiale. Ovunque passasse l’Armata Rossa, lasciava una scia di saccheggi (intere città industriali furono rubate e trasportate in Urss), di stupri (un milione e mezzo di donne stuprate nella sola Germania orientale occupata nel 1945), di bambini rapiti e sovietizzati (in Spagna e altrove), di esecuzioni di massa di civili e militari.

E non fu solo una vendetta contro le atrocità commesse dai nazisti, nel corso della loro invasione dell’Urss. Quello dell’Armata Rossa fu un crimine sistematico, commesso anche prima dell’invasione nazista, come testimoniano gli oltre 20 mila ufficiali polacchi sepolti nelle fosse comuni di Katyn nel 1940, un anno prima dell’invasione.

Non è una novità nemmeno la punizione dei disertori. Persino i prigionieri di guerra sovietici, quando vennero rimpatriati nel 1945, anche se non avevano disertato, vennero comunque internati nei Gulag. Per i disertori, specialmente quelli dei corpi speciali, la morte era sicura e crudele, anche in tempi recentissimi.

Il libro autobiografico “Aquarium” dell’ex agente del GRU (servizi segreti militari) Vladimir Rezun, si apre con l’orrenda scena, descritta con dovizia di particolari, del rogo di un disertore, filmato e mostrato alle nuove reclute per mostrare loro cosa aspetta a chi tradisce.

Il lascito del comunismo sovietico

La violenza dei russi in Ucraina non è normale, non è “parte della guerra” e non è una fake news: è un chiaro lascito dell’Unione Sovietica.

Il comunismo, abolendo la proprietà privata, ha reso lecito il saccheggio delle terre capitaliste occupate. Ha scatenato la lotta di classe, quindi ha legittimato l’uccisione di prigionieri di guerra e civili “nemici di classe” o “traditori”. Ha abolito e combattuto tutte le religioni e così facendo ha fatto risuscitare antichi usi tribali, come lo stupro delle donne di un nemico vinto.

Ha creato le premesse di un settarismo estremo, rivoluzionario, dove il disertore o anche il militante che si arrende sono puniti con una crudeltà terrorizzante, per “educare” gli altri, con una violenza che nemmeno gli ufficiali dell’esercito italiano nella Grande Guerra (e parliamo di un secolo fa) hanno mai scatenato sui loro uomini.

La Russia può vantare tutti i valori cristiani che vuole, ma la mentalità della truppa russa è ancora profondamente sovietica, profondamente comunista, dunque materialista e intrinsecamente violenta.

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