Le recenti tensioni divampate tra serbi e albanesi in Kosovo hanno riacceso l’annosa questione della legittimità e legalità del piccolo stato balcanico, la cui indipendenza è contestata dalla Serbia, storica alleata della Russia nella regione.
Il Kosovo, al contrario di quello che, per anni, ha ripetuto il nazionalismo serbo, non è mai stato la “culla della Serbia”, né la città di Mitrovica può essere considerata la “Gerusalemme della Serbia”. Certo vi si trovano alcuni bellissimi siti culturali serbo-ortodossi, tra cui il celebre monastero di Visoki Dečani, ma nulla che possa essere ricondotto a un’originaria presenza serba.
L’occupazione ottomana
I serbi si stabilirono nei Balcani intorno al VII secolo d.C. e conquistarono completamente il Kosovo solo all’inizio del 13°. Nel 1389, l’esercito serbo subì una pesante sconfitta nella battaglia di Kosovo Polje contro l’Impero ottomano. Il Kosovo fu, quindi, conquistato dagli ottomani e divenne parte del loro impero, segnando così l’inizio di un dominio che durò fino alla fine del XIX secolo.
Durante le guerre balcaniche del 1912 e del 1913, il regno di Serbia, con alcuni alleati regionali, riuscì a invadere e ad annettersi l’antico territorio. La propaganda monarchica e nazionalista serba salutò la “liberazione” della terra ancestrale, tuttavia, la popolazione albanese, che costituiva la maggioranza etnica nel Kosovo, iniziò a rivendicare la propria identità nazionale e a manifestare il proprio desiderio di autonomia.
Kosovo nella Jugoslavia
Sotto il profilo legale, il Kosovo non fu incorporato nel regno serbo nel 1912, ma rimase territorio occupato fino a qualche tempo dopo il 1918. La Serbia, infatti, non ne fece mai una provincia legale de jure. Poi, finalmente, fu integrato, non in uno stato serbo, ma in uno jugoslavo.
Questo significa che il Kosovo non è mai stato trattato o riconosciuto come territorio serbo all’interno della Jugoslavia. In seno alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, retta dal maresciallo Tito, il Kosovo possedeva un proprio parlamento e governo, ed era direttamente rappresentato a livello federale, accanto alla Serbia. Era, infatti, una delle otto unità che componevano la federazione.
La repressione di Milosevic
Nel 1989, Slobodan Milošević, infiammato dal nazionalismo, revocò l’autonomia del Kosovo, per poi continuare a distruggere l’intera federazione jugoslava in uno sforzo folle e genocida per mettere al suo posto una “Grande Serbia”. Tale azione fu percepita come una minaccia all’identità nazionale e ai diritti della popolazione albanese, che iniziò a organizzare proteste pacifiche.
Le tensioni raggiunsero il culmine a metà degli anni Novanta, quando le autorità della Repubblica Federale di Jugoslavia, ormai comprendente solo la Serbia e il Montenegro, intensificarono la repressione contro gli albanesi kosovari, con arresti arbitrari, violenze e discriminazioni di varia natura.
Nel 1996, l’Armata di Liberazione del Kosovo (UCK), un gruppo armato composto principalmente da albanesi-kosovari, iniziò una guerriglia contro le forze di sicurezza jugoslave. La situazione si deteriorò ulteriormente nel 1998, con scontri sempre più violenti tra l’UCK e le forze jugoslave.
La guerra
La guerra del Kosovo, che scoppiò ufficialmente nel 1998, portò a una crisi umanitaria con migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati, soprattutto kosovari. La comunità internazionale tentò di mediare una soluzione pacifica, ma i negoziati fallirono e il conflitto si intensificò nel 1999.
Proprio in quell’anno, il giornalista italiano Antonio Russo, corrispondente per Radio Radicale – che sarà ucciso in circostanze sospette l’anno successivo in Georgia, mentre investigava sui crimini russi in Cecenia – documentò la pulizia etnica messa in atto dai serbi.
Di fronte a massacri e violenze diffuse, la Nato intervenne con un’operazione militare aerea contro le truppe jugoslave, nel tentativo di proteggere la popolazione civile kosovara e porre fine alle violenze. Il bombardamento aereo durò 78 giorni e portò alla ritirata dell’esercito jugoslavo dal Kosovo.
Dopo un lungo periodo di amministrazione internazionale sotto l’egida dell’Onu, la regione albanofona, nel 2008, ha annunciato la nascita di uno Stato indipendente, la Republika e Kosovës.
Il paragone tra Crimea e Kosovo
La vicenda kosovara è divenuta, nel corso del tempo, un vero e proprio spauracchio dei filorussi e dei filoserbi. Questi hanno paragonato l’annessione della Crimea ucraina da parte della Federazione russa alla nascita della repubblica del Kosovo, nel tentativo di giustificare le azioni del Cremlino. I due eventi non possono essere nemmeno lontanamente paragonati.
Gli Stati Uniti e la Nato, infatti, non hanno occupato né la Serbia né il Kosovo. Quest’ultimo, come ricordato, è stato amministrato delle Nazioni Unite in base a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sostenuta anche dalla Russia.
Putin, invece, ha occupato e poi assorbito la Crimea sulla base di un referendum locale non consentito dalla Costituzione ucraina condotto in modo non libero né trasparente e in presenza di soldati russi occupanti, mentre ora tenta di conquistare tutta l’Ucraina in vista di un disegno espansionista a danno dell’Europa.
Le pretese di Belgrado
Dunque, sotto il profilo storico e giuridico, la Serbia non può rivendicare il possesso del Kosovo. Inoltre, è impensabile che i due milioni di abitanti albanofoni del Paese, a lungo privati dei più elementari diritti nazionali e umani, poi costretti sotto la minaccia delle armi su treni e camion di deportazione, sottoposti a un sistematico omicidio di massa, possano tornare sotto la “sovranità” serba.
Se a Belgrado qualcuno ritiene che l’esistenza autonoma del Kosovo sia un’offesa alla dignità nazionale serba, deve capire che tale offesa è autoinflitta. Sono state le politiche criminali e nazional-comuniste della Serbia a causare il disastro jugoslavo, sebbene tanti antiamericani di professione vadano dicendo il contrario.
È bene anche ricordare che i tanti serbi del Kosovo furono lì insediati da Milošević, che in puro stile stalinista tentò di alterare la demografia del territorio attraverso massicci spostamenti di popolazione. Si trattava dei serbi dell’area croata della Krajina, espulsi dalla Croazia in seguito all’aggressione jugoslava del 1991.
Se proprio sentono la necessità di tirare pietre e petardi, i serbi del Kosovo dovrebbero mirare ai loro leader nazionalisti, che già una volta li hanno condotti alla guerra e al disastro.