La notizia è di martedì ed è rimasta abbastanza in sordina, così come il Team Biden, con la complicità dei media amici, è riuscito a mantenere molto defilato il ruolo dell’Iran nell’attacco del 7 ottobre.
L’amministrazione Biden ha prorogato di ulteriori quattro mesi la deroga alle sanzioni che consentirà all’Iraq di continuare ad acquistare elettricità dall’Iran. Ma soprattutto, darà a Teheran accesso agli introiti della vendita, sebbene limitandone l’uso – in teoria – all’acquisto di beni umanitari. Parliamo di circa 10 miliardi di dollari attualmente congelati in conti in Iraq. Il segretario di Stato Antony Blinken ha firmato la proroga e l’ha trasmessa al Congresso martedì, dopo la chiusura degli uffici.
Cosa prevede la deroga
La deroga non solo consentirà a Baghdad di continuare le sue importazioni di energia senza timore di incappare nelle sanzioni Usa per aver violato le sanzioni contro l’Iran, ma anche a quest’ultimo di accedere ai suoi fondi. Nella deroga viene infatti previsto che una parte dei proventi possano essere trasferiti su conti in Oman e poi convertiti in euro o altre valute affinché l’Iran possa acquistare prodotti non sottoposti a sanzione.
Funzionari Usa hanno provato a giustificarsi spiegando che si tratta di una proroga della deroga emessa per la prima volta nel 2018 dall’amministrazione Trump. Ma questo è vero solo in parte, cioè è sostanzialmente falso.
La deroga originaria infatti consentiva all’Iraq di acquistare elettricità iraniana ed effettuare pagamenti su conti iraniani bloccati in Iraq, purché Teheran non potesse accedervi. La deroga approvata ieri è invece identica a quella di luglio, che per la prima volta consentiva anche di scongelare i fondi iraniani e spostarli su conti in Paesi terzi, consentendo al regime di convertire il denaro, per esempio in euro, e utilizzarlo.
Le deroghe del passato quindi erano sensibilmente diverse: condizionavano l’importazione di energia al fatto che l’Iraq pagasse in dinari su un conto deposito a garanzia per ostacolare l’accesso dell’Iran ai fondi. Da luglio, è stato eliminato il requisito della valuta locale, consentendo il cambio in euro e quindi a Teheran di accedere ai fondi al di fuori dell’Iraq e di spenderli.
Alleggerimento delle sanzioni
Dunque, molto diversa dalla deroga introdotta da Trump, si tratta di un effettivo e rilevante alleggerimento delle sanzioni. Il problema è che da luglio ad oggi è cambiato qualcosa, c’è di mezzo quanto avvenuto il 7 ottobre.
Come ha precisato un portavoce del Dipartimento di Stato, “nessuno di questi fondi viene inviato all’Iran. Sono detenuti su conti di terzi al di fuori dell’Iran e possono essere utilizzati solo per scopi umanitari e per altri scopi non sanzionabili a beneficio del popolo iraniano”. Nelle sue precisazioni l’amministrazione Biden riconosce che l’Iran “finanzia il terrorismo e attività di destabilizzazione” nella regione, ma l’argomento è che li finanzierebbe comunque, negando i beni necessari alla popolazione.
Piccolo particolare: il denaro è fungibile. Non diversamente dai 6 miliardi di dollari scongelati a settembre scorso per il riscatto degli ostaggi americani, anche questi 10 miliardi ne liberano altrettanti nel bilancio iraniano per altre voci di spesa e per ripagare i suoi debiti. Com’è noto, tra l’altro, non è così problematico per Teheran utilizzare la copertura di beni umanitari per acquistare beni sanzionati. Lo ha già fatto in passato e continuerà a farlo.
Il tempismo
Se non altro il tempismo di questa proroga, dunque, appare sospetto e rafforza l’impressione che tutta la gestione della crisi in Medio Oriente da parte di Washington sia volta a salvaguardare la politica di riallineamento verso Teheran (e Doha) piuttosto che a debellare una volta per tutte la loro minaccia terroristica nella regione, o per lo meno a esercitare una deterrenza credibile.
L’estensione della deroga, infatti, arriva dopo l’attacco del 7 ottobre messo a segno da Hamas con il sostegno finanziario e militare dell’Iran. Attacco in cui sono stati uccisi oltre 30 cittadini americani, mentre diversi altri sono ancora ostaggio dei terroristi. E dal 17 ottobre le forze Usa in Siria e Iraq hanno subito 55 attacchi da parte delle milizie filo-iraniane. Almeno 135 dal gennaio 2021, da quando Biden è in carica.
Insomma, dubitiamo che premiare l’Iran in queste circostanze possa rivelarsi il miglior strumento di pressione per costringerlo a porre fine al suo sostegno ai suoi eserciti proxies nella regione, incluso Hamas, che stanno destabilizzando il Medio Oriente.
Coerente con la nostra lettura la notizia di Axios secondo cui il segretario alla Difesa Lloyd Austin avrebbe espresso le sue preoccupazioni al ministro della difesa israeliano Yoav Gallant circa il rischio che le operazioni dell’IDF in Libano in risposta agli attacchi di Hezbollah possano provocare una escalation e una guerra regionale. Alcuni nell’amministrazione Biden, riporta Axios, “temono che Israele stia cercando di provocare Hezbollah e creare un pretesto per una guerra più ampia in Libano che potrebbe coinvolgere ulteriormente gli Stati Uniti e altri Paesi nel conflitto”, anche se “funzionari israeliani negano categoricamente”.
Ma se Hezbollah sta gradualmente intensificando il lancio dei suoi missili, cosa dovrebbe fare Israele? Notizie come queste segnalano a Teheran che gli Usa temono il suo “Asse della Resistenza” più di quanto Teheran tema gli Stati Uniti. Ed è questo il genere di debolezza, anche se solo percepita, che incoraggia una escalation.
Le ipotesi
Ma come spiegare allora il tempismo di questa deroga, che come detto non riguarda solo l’acquisto di elettricità iraniana da parte dell’Iraq, ma anche l’accesso di Teheran ai suoi fondi? Per quale contorta politica potrebbe essere interesse degli Stati Uniti restituire al regime iraniano 10 miliardi di dollari un mese dopo il peggior massacro di ebrei dall’Olocausto e l’uccisione di oltre 30 americani da parte di uno dei suoi proxies?
Possiamo solo azzardare qualche ipotesi. Un modo per segnalare al regime iraniano che Washington non ha intenzione di escalare ed anzi è disposta a proseguire con il business as usual di alleggerimento delle sanzioni nonostante le tensioni in Medio Oriente, salvaguardando così la politica di riallineamento verso Teheran (e Doha) inaugurata dall’amministrazione Obama. Per dirla in termini ancor più espliciti, il prezzo per convincere Teheran ad accettare la distruzione di Hamas senza reagire attraverso i suoi proxies, primo fra tutti Hezbollah, il che costringerebbe gli Usa a intervenire. Insomma, il prezzo per evitare una escalation.
Oppure, la deroga potrebbe far parte di un pacchetto più ampio, negoziato con la mediazione del Qatar, per ottenere la liberazione degli ostaggi. Il problema è che il pagamento dell’ultimo riscatto all’Iran, i 6 miliardi sbloccati a settembre, non ha fermato l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Cosa dobbiamo aspettarci dopo lo sblocco di questi 10 miliardi?