Scrivo questo pezzo a pochissime ore dall’attentato subito da Donald Trump, avvenuto a Butler, in Pennsylvania, mentre da noi era da poco passata la mezzanotte. Grazie a uno dei tanti filmati (io utilizzo quello diffuso dalla BBC), è possibile notare alcuni elementi che meritano menzione.
Primo elemento: lo sparo
Mentre l’ex presidente sta parlando, si odono almeno tre colpi secchi in rapida sequenza, al che Trump porta una mano all’orecchio destro, per poi controllare se sulla stessa vi sia del sangue, nel gesto tipico di chi avverta di essere stato colpito da qualcosa, e subito si abbassa dietro al leggio del palco. Segue un “quasi silenzio” irreale, soltanto interrotto dalle grida di di un bambino, mentre gli uomini e le donne del Secret Service (quello che si occupa prevalentemente della sicurezza dei presidenti americani) si buttano sul corpo del ferito.
Qui si nota un elemento interessante. La gente che si trovava negli immediati pressi dell’ex presidente si abbassa, ma senza buttarsi a terra come si poteva immaginare, anzi, alcuni di loro restano in piedi e guardano avanti, probabilmente verso la direzione da cui hanno inteso i sommessi schiocchi dei colpi d’arma da fuoco.
L’operatore della telecamera compie una manovra che è esattamente opposta a quella che farebbe un dilettante in un caso del genere, ossia, invece che zoomare sul palco dell’oratore, allarga il campo, permettendo di riprendere l’intera scena con una ricchezza di particolari che certamente si riveleranno utili per ricostruire l’esatta cronologia degli accadimenti. A quanto si vede, ciascuno degli astanti, comunque, mantiene ordinatamente il proprio posto e ciò fa riflettere: cosa sarebbe accaduto in circostanze analoghe da noi? Pensatela come volete, ma gli americani sono gente tosta.
Secondo elemento: i soccorsi
Nella parte non visibile della scena, poiché coperta dal palco dell’oratore, si affrettano altri operatori della sicurezza in abito civile, nella consueta mise di abito grigio scuro e occhiali da sole. Sono trascorsi (il video ne è prova inconfutabile) meno di due secondi dallo sparo. Un tempo di reazione stupefacente, evidentemente frutto di una preparazione e allenamento di livello superiore. Altra cosa che salta agli occhi è l’avvicinamento di operatori foto/video al cuore della scena. Lo sappiamo, soprattutto oltreoceano, oggi più che mai le breaking news sono la spina dorsale dell’informazione.
Nel sostanziale silenzio delle migliaia di persone presenti all’accadimento, si odono distintamente le istruzioni di un capo della formazione di scorta che, evidentemente richiamando uno schema operativo ampiamente sperimentato, grida ai colleghi: “Are you ready? Go!” ed effettivamente, subito dopo, il candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali viene accompagnato e fatto salire sul veicolo blindato parcheggiato a pochi metri dal palco.
Gli uomini e le donne della scorta, fanno scudo col proprio corpo a Trump, che si rimette in piedi e, per niente intimorito, incita col suo tipico gesto del pugno chiuso a tener duro, dicendo più volte “Combattiamo”. Sono ben quattro le donne del servizio di sicurezza a circondare l’auto blindata di Trump e una di queste prende posto accanto all’autista, assai probabilmente un’altra donna, stando a quanto si evince dal filmato. Da noi le quote rosa obbligatorie.
Terzo elemento: la traiettoria del colpo
Non sarebbe serio avanzare teorie sull’aspetto strettamente balistico dell’attentato, e tale non sarà chiunque proverà a farlo non essendo sul posto e non avendo conoscenza dei luoghi esatti e dell’arma utilizzata (che pare essere stata recuperata).
Si potrebbe, tuttavia, escludere che sia stato impiegato un fucile di grosso calibro. Non avrebbe senso usarlo, dovendo il proiettile compiere un “viaggio” di alcune centinaia di metri per raggiungere con precisione il bersaglio, cosa che una moderna arma d’assalto a recupero di gas, come l’AR-15 (di solito in calibro 5,56 x 45 mm Nato) dimostra poter fare benissimo. Senza addentrarci nella materia, possiamo sintetizzare dicendo che le moderne munizioni di piccolo calibro ormai affermatesi rispetto ai calibri “storici” come il sorpassato 7,62 Nato, si stanno rivelando come efficacissime proprio nei fucili d’assalto, dove a efficacia e velocità dell’azione di fuoco si aggiunge sempre più la precisione richiesta dai combattimenti a fuoco in ambienti urbani.
Mi vorranno perdonare gli specialisti della balistica quando affermo che con i fucili a recupero di gas, almeno concettualmente, si ottiene qualcosa di simile all’uso della turbina nei motori a scoppio: una parte dei gas dell’esplosione interna, invece che essere rilasciato in aria, viene recuperata per aumentare la spinta. Assai probabilmente l’arma impiegata è quella che ci viene descritta dai report giornalistici. Il suo tiro utile (ossia quello con elevata probabilità di colpire il bersaglio) supera abbondantemente i 500 metri, ovviamente se dotato di ottica di puntamento, il che rende adatta l’arma utilizzata dall’attentatore. Che la distanza tra attentatore e Donald Trump fosse abbastanza ridotta lo testimonia il suono degli spari, chiaramente udibili nei filmati.
Si discute in ambiente giornalistico se un fucile d’assalto (come parrebbe essere quello impiegato in Pennsylvania) sia più o meno efficace rispetto ad uno “da tiratore scelto”, quest’ultimo capace di superare il chilometro e mezzo di tiro utile. Ma sono discussioni puramente scolastiche, laddove le circostanze stanno dimostrando che l’attentatore (ucciso a sua volta dalle forze di polizia e del quale, per ora, si sa soltanto che era un ventenne) riteneva che la portata e precisione della sua arma potesse essere adeguata allo scellerato proposito che si proponeva.
Quanto fosse, o meno, un buon tiratore lo sapremo forse nelle prossime ore, ma sta di fatto che soltanto per pochi centimetri di errore di tiro l’episodio avrebbe potuto avere ben altro epilogo. Lascio ad altri le eventuali dietrologie: questi delle primissime ore dopo l’attentato, parrebbero elementi assodati.